Editoriale. Una polifonia ‘negativa’

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Miriam Aiello

(Università degli studi Roma Tre)
miriam.aiello@uniroma3.it

 
 
MIRO

“Chinati, ti devo sussurrare all’orecchio qualcosa:
per tutto io sono grato, per un osso
di pollo come per lo stridio delle forbici che già un vuoto
ritagliano per me, perché quel vuoto è Tuo.
Non importa se è nero. E non importa
se in esso non c’è mano, e non c’è viso, né il suo ovale.
La cosa quanto più è invisibile, tanto più è certo
che sulla terra è esistita una volta,
e quindi tanto più essa è dovunque”
I. Brodskij
«Elegie romane»

 
 
‘Non essere’ e ‘nulla’ sono i due nomi più noti di un antico e indocile cruccio del pensiero, la cui storia è lastricata in egual misura di orrore e di fascinazione, di condanna e di salvezza. Quest’idea liminale ha, con le sue numerose sembianze (non-essere, nessuna cosa, nullità, vuoto, zero) dato filo da torcere all’antico non meno che al contemporaneo, innervandosi in procedimenti logici (astrazione, negazione, negazione determinata) o addirittura ponendosi a fondamento di veri e propri indirizzi teorici (nichilismo, me-ontologia). Accostarsi a questo materiale, a prima vista così difficilmente maneggiabile, è in effetti un’operazione di cui è opportuno esplicitare preliminarmente gli scopi e le ragioni. Questa breve presentazione si prefigge il compito di offrire al lettore alcune coordinate in questo senso.

Perché, dunque, un numero sul ‘nulla’? Perché violare l’interdetto parmenideo e dedicarsi a un concetto ineffabile, inafferrabile e forse addirittura impossibile? Una prima risposta può essere articolata come segue: sul ruolo, sull’esistenza, sui vizi e sulle virtù del non-essere si sono, da un lato, combattute aspre battaglie che hanno segnato profondamente la storia del pensiero; dall’altro, si giocano ancora oggi importanti partite filosofiche.

Nel segno dell’indirizzo teoretico di questa Rivista – imperniato su una ricostruzione dei filosofemi fondamentali e sulla loro articolazione rispetto al panorama culturale contemporaneo – si è inteso comporre un numero polifonico, capace di offrire, senza pretesa di esaustività, strumenti storico-filosofici e analitici, per esplorare le figurazioni classiche non meno che i luoghi apparentemente più marginali del concetto. L’intento è dunque cogliere, attraverso la pluralità e il pluralismo dei contributi, le diverse declinazioni del ‘nulla’, a partire dalla loro comune radice.

 

Dove il non essere (mé òn) denota una dimensione privativa rispetto all’essere, che precede logicamente e ontologicamente ogni stato possibile di privazione, il nulla (nihil) sembra esibire una consistenza linguistico-ontologica propria, come concetto-limite o significante-limite per denotare l’assenza – immaginata come completa – di essere, di materia, di numero, di linguaggio, di logos.

Il non essere può avere un valore predicativo (x non è y, o x non ha la proprietà A) o un valore esistenziale (l’ircocervo non esiste, oppure nell’insieme delle cose esistenti l’ircocervo non c’è, l’ircocervo esiste nell’insieme delle cose non esistenti); la semplice posizione di simili esempi fa scaturire un complesso insieme di questioni in cui l’aspetto logico-predicativo e quello esistenziale vanno invariabilmente e aporeticamente a convergere: esiste un insieme delle cose non esistenti? Che tipo di esistenza è quella del non essere? Si tratta di un’esistenza logica, linguistico-nominale, psicologica o reale?

Sin dagli albori del pensiero, il non-essere ha manifestato una spiccata “vocazione” logico-predicativa. La stessa originaria attitudine che sembra connotare la specie umana, cioè quella di riferirsi simbolicamente a oggetti e realtà anche in absentia, è legata alla capacità di tollerarne l’assenza, trasfigurandone la passata presenza in simboli sempre disponibili ed evocabili, indipendentemente dalla presenza o dalla persistenza dello scenario di realtà cui ci si riferisce. Anche il processo logico di astrazione ‘trae via’ l’universale, togliendo e negando le determinazioni particolari o inessenziali. Ma la negazione agisce in modo così fondamentale sulla struttura del pensiero umano che anche quello che Aristotele definiva il più saldo di tutti i principi – il principio di non contraddizione – contiene appunto una prescrizione negativa, cioè prescrive che non si dia contraddizione tra due predicati nel medesimo tempo e nel medesimo rispetto, pena l’inconsistenza dell’argomentazione. Attraverso la negazione di contraddizione logica si nega una pericolosa contraddizione ontologica, che metterebbe a repentaglio la possibilità di riferirsi in modo univoco alla realtà.

La negazione, intesa in modo massimamente generale come esercizio logico-predicativo del non-essere, esibisce tuttavia un aspetto non solo di privazione logica assoluta, ma anche di privazione logica relativa, cioè di determinazione. Il parricidio platonico sta esattamente all’origine di questa vis construens immanente al non essere, che dunque non è più solo da intendere nella sua ineffabile assolutezza negativa, ma anche da esercitare nella sua felice capacità di determinazione positiva; in questo solco, la fortunata formula spinoziana «omnis determinatio est negatio» contiene la promessa di quel germe concettuale che Hegel svilupperà nell’idea di negazione determinata.

L’esercizio logico della negazione può, inoltre, farsi lato sensu “metodo”, in un pensare dialettico che pone il non-essere come contrappunto produttivo in relazione all’essere, o in una teologia negativa, per la quale la sistematica negazione di determinazioni sempre inadeguate, manchevoli, povere, mondane – ovvero le sole che l’uomo possa mai produrre – è l’unica via attraverso cui lambire intellettualmente l’infinità assolutamente altra di Dio.

Ma il non essere può pure essere interrogato come oggetto-soggetto di predicazione e di (paradossale) forma di esistenza. In altre parole, ci si può interrogare sul suo valore esistenziale. Nella disciplina matematica l’introduzione dello zero ha segnato un punto di non ritorno. La storia del pensiero fisico è tormentata da varie e perigliose apparizioni dell’ipotesi del vacuum. A oggi, il vuoto è la pietra angolare della teoria atomica contemporanea, gli stessi campi quantistici sembrano costringere a una revisione massiccia del concetto stesso di oggetto materiale: in una battuta, a uno sguardo scientifico contemporaneo quello che per il pensiero umano è sempre stato inequivocabilmente essere, nient’altro che essere e, di più, essere continuo e persistente – la realtà, la natura, la materia – è molto più intessuto di non-essere, di vuoto, di mancanza, di eventi quantistici di assenza e presenza intermittenti.

Rispetto al pensiero filosofico il ruolo del non essere e del nulla ha ragioni assai più frastagliate e ancor meno univocamente valutabili. Senza alcuna pretesa di esaurire l’immensità dei riferimenti che una storia filosofica del non-essere richiederebbe, questo numero monografico ha allora interrogato alcuni luoghi classici del non-essere e del nulla e altri meno battuti, più laterali, ma altamente significativi e pregnanti, con l’obiettivo di tessere una trama di senso e di orientamenti, di far emergere la fecondità trans-storica che accompagna le riflessioni sul non-essere. La parte «Monografica» di questo numero è idealmente distinguibile in quattro sezioni.
 
1 – Nella prima vengono messi a tema tre orientamenti fondamentali legati alla storia dei concetti di nulla e di negazione. La triade di saggi di cui è idealmente composta affronta, rispettivamente, il problema predicativo ed esistenziale comportato dal ‘nulla’, il nulla nel paradigma heideggeriano della differenza ontologica e il paradigma della dialettica, nella peculiare declinazione ‘negativa’ conferitale da Adorno.

Franca D’Agostini propone un contributo di amplissimo respiro storico e teorico dedicato all’ l’Epistula de nihilo et tenebriis di Fredegiso di Tours. Questo testo medioevale non solo pone il nulla come precipuo oggetto di indagine logico-predicativa ed esistenziale, ma anche (indirettamente) suggella l’atto di nascita di una stagione storica e culturale propriamente “europea” e precisamente quella peculiare esperienza di ibridazione anglosassone, latina, franca e germanica addensatasi in via eminente presso la corte carolingia tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del IX secolo d.C. e talvolta indicata come renovatio carolingia. L’Autrice illustra inoltre, alla luce del dibattito ottocentesco e novecentesco, le molte difficoltà e strategie connesse alla pensabilità del nulla e il nesso profondo con l’idea di contraddizione. Infine, propone un’originale suggestione, volta a reperire, nel fondo ‘nichilistico’ della cultura europea, il seme di un universalismo critico e inclusivo, capace di costituire una fonte d’ispirazione e un criterio normativo per il difficile e controverso processo di integrazione avviato nel dopoguerra.

Roberto Morani conduce il lettore attraverso l’impervio sentiero dell’evoluzione del pensiero di Heidegger tra gli anni ’20 e gli anni ’30, mettendo brillantemente a fuoco lo slittamento concettuale e il mutamento di funzione del Nulla nel passaggio da Essere e tempo ai Beiträge zur Philosophie. Nella distinzione tra ‘nulla esistenziale’ e ‘nulla differenziale’ si esprime la radicale eterogeneità tra una fondazione ontica del nulla e il successivo pensiero della differenza ontologica, nel cui quadro il Ni-ente assume la funzione di avvicinare il pensiero all’Essere, che non coincide con nessun ente determinato. La coappartenenza di Essere e Nulla risulta allora centrale per il progetto di oltrepassamento della metafisica.

A fare da contraltare al paradigma della differenza ontologica tra Essere ed Ente, si trova la dialettica. Un contraltare, sia chiaro, meno recisamente oppositivo e rigido di quanto il senso comune filosofico sia portato a credere. Sono infatti ormai noti il costante interesse di Heidegger per il pensiero hegeliano e la sua fascinazione per l’idea di negatività, certo piegata nel senso esistenziale di un Esserci segnato dalla ‘colpa’ di non poter essere fondamento di se stesso, e pertanto sospinto costantemente oltre sé in una progettualità asintotica, così come le determinazioni logiche e le figure della coscienza sono, per Hegel, private della capacità di consistere autonomamente, e vedono la loro unilateralità dissolversi in un movimento dialettico che segue lo sviluppo della loro intima contraddizione. Un lato ‘dialettico’ e ‘fenomenologico’ del pensiero di Heidegger, questo, certamente sacrificato dalla riflessione storiografica e teoretica, in favore di una filosofia della decisione originaria capace di trascendere tanto le attribuzioni di senso ordinarie, quanto lo stallo di un’angoscia esistenziale che impedisce di identificarsi con qualsivoglia determinazione.

Nel segno di questa non risolta tensione e di questo complesso intreccio di idiosincrasie e assonanze tra paradigma dialettico e paradigma della differenza ontologica, il saggio di Angelo Cicatello interviene a ricostruire la natura e il ruolo del negativo nel pensiero di Theodor W. Adorno, sottolineandone l’eterogeneità tanto rispetto all’idea di una conciliazione finale, quanto rispetto all’idea di una semplice iterazione e ricorsività della negazione, per far emergere invece la fragile ipotesi ontologica – ed etica – del non-identico.
 
2 – La seconda ideale sezione raccoglie e inanella secondo una direttrice cronologica, dal Medioevo al Novecento, alcune rilevanti tematizzazioni del non-essere, i cui motivi interni non mancano di richiamarsi vicendevolmente.

Come già anticipato dal ricco contributo di D’Agostini, ciò che non è sembra acquisire un autentico e autonomo spessore ontologico con l’avvento del pensiero cristiano. Il nihil è la condizione su cui Dio “agisce” la creazione e che il peccato, in primo luogo quello originale, minaccia di ripristinare, ri-degradando la creatura. Massimiliano Lenzi, a partire dal pensiero di Tommaso d’Aquino, introduce il lettore all’abisso del nihil medievale, che è il fondamento stesso della creatura, dispiegando così sia la contraddizione dell’essere del Creato, voluto e portato all’essere dal nulla e per se un nulla, sia il carattere ri-creativo della redenzione (nel senso letterale di una ri-Creazione) dal nulla del peccato.

Lo stesso Kant ha interrogato il nulla, suddividendolo in una tavola dedicata. Claude Romano consegna al lettore un contributo non solo capace di esplorare concettualmente le molteplici accezioni del Nichts kantiano, ma anche di segnare e mettere in luce tanto i debiti del filosofo di Königsberg nei confronti della stagione filosofica precedente (Baumgarten, Wolff) e di più remote influenze scolastiche, quanto le peculiari riarticolazioni proprie della filosofia trascendentale kantiana.

Nella stagione post-kantiana, il nulla si presta a farsi fondamento di specifiche concezioni e di molti nichilismi, dalla connessione di idealismo filosofico e nichilismo ontologico, polemicamente argomentata da Jacobi, al tema otto-novecentesco dell’erosione del fondamento dei valori. In quest’ottica, il contributo di Fabio Ciracì non solo illustra la specificità della «metafisica del nulla» in Schopenhauer, ma introduce anche alle peculiari ricezioni e riarticolazioni da parte dei suoi allievi, a testimonianza dell’impetuosità dell’impatto di questa nuova centralità pratica e metafisica dei motivi del Nichtsein.

In quest’orizzonte di continuità cronologica e tematica, nel suo saggio Pietro Gori percorre alcune rare, ma oltremodo significative, occorrenze dell’espressione nietzscheana «volontà di nulla»: discutendone i nessi con quella di «volontà di verità» e con il tema dell’«ideale ascetico», l’Autore profila un’interessante riflessione per la quale, accanto e contro la professione di nichilismo cui pervengono specifici stadi della produzione nietzscheana, emerge una altrettanto veemente e irriducibile professione di realismo, delineato nei termini di un «coraggio della Realtà».

A coronamento di questa seconda partizione tematica, è posto il saggio di Roberto Garaventa. Questo contributo, entro una cornice di ampio respiro storico-filosofico, illustra e squaderna l’originale e significativa polisemia del nulla contenuta nel pensiero di Jaspers nel quale si trovano riarticolati, in nuove rotte di senso, molti motivi delle tradizioni precedenti.
 
3 – La terza ideale sezione ospita due contributi, di taglio diverso, accomunati dalla tematizzazione di poste in gioco più contemporanee connesse alla scivolosa natura del non essere e, nella fattispecie, alla perenne difficoltà di concepibilità e rappresentabilità da un lato, e al rischio di una indebita iper-potenzializzazione dall’altro.

Infatti, come mette bene in luce il contributo di Marco Simionato, il nulla e il suo statuto non cessano di interrogare anche l’ontologia analitica contemporanea. L’Autore discute criticamente la formalizzazione della ‘nothingness’ offerta da autorevoli filosofi contemporanei (Priest, Oliver, Smiley, Voltolini), valutando in particolare l’idoneità dell’idea di un «possible absolutely empty world» in ordine a una rappresentazione affidabile della ‘nothingness’, e al contempo l’intrinseca contraddittorietà e la conseguente impossibilità esistenziale implicate dall’idea di totale assenza di ogni oggetto possibile.

In riferimento a tutt’altro contesto teorico, rappresentato dall’opera di Giorgio Agamben e dalla discussione intorno al concetto del politico, si distingue una singolare interpretazione del non essere come analogo della nozione di potenza, in quanto non solo potenza di essere, ma anche come potenza di non essere. Il saggio di Simone Seminara discute criticamente a partire dalla lettera aristotelica lo scenario interpretativo agambeniano, verificandone e discutendone la pertinenza sia concettuale e sia filologica.
 
4 – Due contributi di respiro internazionale chiudono la parte monografica, costituendo una quarta ideale sezione, di taglio teorico-politico.

Tom Rockmore istituisce un proficuo confronto tra lo Heidegger di Essere e tempo e il Lukács di Storia e coscienza di classe, laddove nella prospettiva dell’Autore l’ontologia post-fenomenologica e post-metafisica del primo può essere letta come reazione alla concezione della reificazione propria del secondo.

Il saggio di Emmanuel Barot ripercorre le considerazioni che, da L’essere e il nulla ai Cahiers pour une morale, Sartre produce al riguardo del peculiare intreccio di storia, morale e libertà della Sittlickheit hegeliana, discutendole in riferimento tanto al pensiero di Hegel, quanto a uno scritto di Trotskij sulla morale rivoluzionaria.
 

Laddove questi ultimi due contributi perfezionano l’itinerario tematico dedicato alle «declinazioni» del non essere, il numero si conclude propriamente con il saggio di Stefano Bracaletti che si presenta come un’introduzione alla Teoria della scelta razionale; l’Autore, da un lato, riscostruisce agilmente i capisaldi di questo paradigma, su cui è peraltro basata larga parte delle teorie economiche contemporanee, e, dall’altro, ne problematizza i presupposti, evidenziando i limiti applicativi ed esplicativi del modello stesso.

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