L’individuo concreto, il soggetto. Note per una rilettura di ‘Idéologie et appareils idéologiques d’Etat’

francesco toto

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slide6ABSTRACT. This article aims to demonstrate the idealistic character of the theses stated in Idéologie et appareils idéologiques d’Etat and their apparent materialism as the result of a particular mechanism of psychological repression. In this respect, I first show the presence, already in Lire le Capital, of numerous concepts that during the ’70s will be rearticulated within the theory of ideology, such as those of evidence, guarantee, and structure of recognition/misrecognition. I then show how this rearticulation, which allows the formulation of both the concept of interpellation and the idea that there is no subject unless as a product of a certain ideology, should be understood in the light of the comparison with the work of J. Lacan, and his reading of Freud. The reconstruction of this comparison makes clear the idealistic sense of the theses stating that “the human being is an animal which is ideological by nature”, and, therefore, the concrete individual is “abstract” when compared to the subject produced by ideology: the human being is not a body, a biological being, because the body is nothing more than an indifferent substrate of a subjectivity which is placed from the outside.


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Introduzione. Apparso nel giugno 1970 su “La pensée”, e ripubblicato a cura di J. Bidet in appendice all’opera, incompiuta, di cui costituisce un parziale “montaggio”1, il celebre scritto di L. Althusser su Idéologie et appareils idéologiques d’Etat (IAIE) sembra offrire una teoria rigorosamente materialistica dell’ideologia. Una delle sue tesi più note, infatti, è proprio quella secondo la quale «l’ideologia ha un’esistenza materiale». L’evidenza che ha per noi l’«esistenza ideale […], spirituale delle “idee” proviene esclusivamente da un’ideologia dell’idea e dell’ideologia» (291), della quale è in un certo senso l’«effetto ideologico elementare» (296). Il carattere apparentemente immediato di questa evidenza, che fa apparire «ciò che accade […] nell’ideologia» come se si verificasse «al di fuori di essa» (298), è inseparabile da un doppio misconoscimento: misconoscimento non solo del fatto che le idee di un soggetto sono in realtà «degli atti materiali, inscritti entro pratiche materiali, regolate da rituali materiali definiti a propria volta da un apparato ideologico materiale», ma anche dello stesso «carattere ideologico dell’ideologia». Ciò che qui di seguito sosterremo, contro ogni verosimiglianza, è che il carattere materialistico delle tesi althusseriane è un’apparenza (un’“evidenza”!) prodotta da un preciso meccanismo testuale di presupposizione/rimozione. Dopo una rapida esposizione di queste tesi mostreremo in primo luogo come la strategia argomentativa di IAIE sia costruita attorno ad alcuni presupposti non tematizzati. Mostreremo poi, in secondo luogo, come i due testi di Althusser inclusi in Lire le Capital presentassero già, seppure dispersi, molti dei concetti che saranno convocati e concatenati in IAIE, ma non quello che dell’articolo apparso su La pensée rappresenta il vero e proprio concetto-cardine, e che istaura tra i testi del ’65 e quello del ’70  una vera e propria cesura. Mostreremo allora, in terzo luogo, che questa cesura può essere ricucita, ed i vuoti che affettano il discorso di IAIE possono essere colmati, se ci si rivolge al confronto di Althusser con Lacan, quale è testimoniato pubblicamente già in un importante passaggio di Lire le Capital e nella schematica esposizione contenuta nell’articolo su Freud e Lacan, ma preso di petto soprattutto nei testi postumi delle due conferenze su Psychanalyse et sciences humaines e delle Trois notes sur la théorie des discours. La considerazione di questo confronto, che apparirà in un primo momento procedere su una strada parallela a quella percorsa nel confronto col Marx del Capitale, permetterà di comprendere il processo di elaborazione che ha consentito la genesi di una tesi oggettivamente nuova a partire dalla riorganizzazione di elementi teorici parzialmente già esistenti, di rinvenire i presupposti che IAIE ha lasciato impliciti, e di leggere la loro non esplicitazione come una vera e propria rimozione. Risulterà chiaro, infatti, che la loro scomparsa deve esser stata determinata non solo dalla rottura ‒biografica o intellettuale‒ con Lacan, di cui si ha già sentore nella terza delle Trois notes e che sarà invece del tutto chiara ne La découverte du docteur Freud (1976), ma soprattutto dall’esigenza di rispettare i canoni di riconoscibilità prescritti da una certa ortodossia, e di imporre al testo,  attraverso la dissimulazione di un significato latente schiettamente idealistico, una “evidenza” capace di garantire la legittimità della sua autointerpretazione materialistica. Cominciamo allora col fornire un succinto riassunto delle tesi esposte in IAIE, che ci consenta di metterne in risalto sia i presupposti sia la prossimità e la distanza rispetto alle tesi di Leggere il Capitale da una parte, di Freud e Lacan e delle conferenze su Psychanalyse et sciences humaines dall’altra.

1. La prima cosa da notare, riguardo alla teoria dell’ideologia esposta in IAIE, è che essa si inscrive nel contesto di una più ampia teoria della «riproduzione delle condizioni della produzione» (263), e cioè di una riproduzione non solo delle forze produttive (mezzi di produzione e lavoro), ma anche dei rapporti di produzione. La cosa interessante, qui, è che l’ideologia è direttamente legata non solo alla riproduzione dei rapporti di produzione, ma delle stesse forze produttive. La riproduzione dei rapporti di produzione, per un verso, non è mai garantita dallo Stato come semplice insieme unitario di apparati repressivi, come invece pretende la classica dottrina marxista-leninista dello Stato. Essa richiede per Althusser, che rielabora in questo punto la lezione gramsciana, l’articolazione degli «Apparati (repressivi) di Stato» e di quegli «Apparati Ideologici di Stato» ‒quali possono essere la scuola la famiglia o la chiesa‒ che normalmente sono pensati come esterni allo Stato ed interni alla “società civile”. Il ruolo degli «Apparati (repressivi) di Stato», in un certo senso, non è un ruolo autonomo, ma quello di assicurare «le condizioni politiche dell’esercizio degli Apparati Ideologici di Stato» (280). Per altro verso, la riproduzione del lavoro ‒e perciò delle stesse forze produttive di cui esso è uno dei fattori‒ non è mai semplice garanzia della riproduzione della forza-lavoro incarnata nel corpo biologico del proletario, o della sua qualificazione, ma sempre anche riproduzione della sua sottomissione ad un «ordine stabilito»: la sua coerenza con determinati rapporti di produzione, e per ciò stesso con l’altrettanto determinata ideologia dominante che ne garantisce la riproduzione (267). Riassumendo, la riproduzione delle forze produttive dipende, come propria «condizione ultima» (263), da quella dei rapporti di produzione. Questa riproduzione dipende a propria volta, in ultima istanza, dal funzionamento degli Apparati ideologici di Stato, funzionamento nel quale l’ideologia ha la propria esistenza materiale, e del quale quello degli apparati repressivi è un semplice presupposto. L’intera riproduzione delle condizioni della produzione si ritrova appesa all’assoggettamento del lavoro ad un ordine prestabilito, in cui consiste appunto la specifica funzione dell’ideologia, che secondo Althusser costituisce un «rapporto immaginario degli individui alle loro condizioni reali d’esistenza» (289), ossia in ultima istanza dei rapporti di produzione di cui sono gli «agenti» (290). Si capisce, con ciò, la ragione per la quale l’ideologia non può avere storia, nel senso ‒radicalmente diverso da quello attribuito dal Marx dell’Ideologia tedesca a questa stesse tesi‒ in cui deve essere di per sé stessa eterna, od «onni-storica» (288). «L’uomo è per natura un animale ideologico» (295), e «l’ideologia è eterna» (288), perché l’ideologia è la condizione stessa di qualunque storia: perché nessuna «formazione sociale», compresa la futura società comunista2, è possibile senza la riproduzione delle sue determinate condizioni di produzione, e quindi senza una ideologia altrettanto determinata che assoggetti il lavoro al particolare «ordine stabilito» in cui quella formazione sociale giustappunto consiste. La seconda cosa da notare è che il modo in cui l’ideologia marginalizza il ruolo della repressione ed assolve alla propria funzione strutturale consiste nel “trasformare” degli «individui concreti» in «soggetti» tramite una «interpellanza». Un individuo, per Althusser, non è interpellato come un essere «individuale, inconfondibile e naturalmente insostituibile» (296), che è al tempo stesso un «centro di iniziativa, autore e responsabile dei propri atti» (303), se non «affinché accetti (liberamente) il proprio assoggettamento», assolva spontaneamente e senza bisogno di interventi repressivi ai ruoli stereotipi che la struttura sociale gli assegna. Per via della funzione propriamente strutturale svolta da questa loro soggettivazione/assoggettamento, gli individui devono essere «già da sempre soggetti» (299), nel duplice senso della parola francese sujet: già da sempre, e in un unico atto, interpellati come portatori di una presupposta «soggettività libera» e «assoggettati», «denudati di ogni libertà, salvo quella di accettare liberamente la propria sottomissione». Come effetto di superficie delle pratiche e dei rituali nei quali l’ideologia ha la propria esistenza materiale, e attraverso i quali l’«individuo concreto» si ritrova già da sempre soggettivato e assoggettato «al ruolo che deve assolvere nella società di classe» (284)3, la soggettività è dunque essenzialmente un prodotto ideologico, ed anzi il prodotto ideologico fondamentale. L’evidenza che rende la soggettività “riconoscibile” come un dato originario e immediato, impone la categoria di soggetto come una categoria prima, consente ad ogni individuo concreto di «riconoscere» sé stesso e l’altro come soggetti, fa tutt’uno col «misconoscimento» o la «negazione» tanto del vuoto che separa l’individuo dal soggetto che ne viene «supportato» (297), quanto dell’assoggettamento dal quale quel vuoto viene colmato: sono un solo e medesimo prodotto dell’ideologia, del modo in cui essa lavora attraverso l’interpellanza. La terza cosa da notare, è che il concetto-cardine dell’intera costruzione althusseriana, quello di interpellanza, non è assunto ad oggetto di un discorso teorico. Attraverso un «modo di esposizione particolare» che dovrebbe garantirne la riconoscibilità (297), esso viene messo in scena attraverso alcuni esempi, dai quali Althusser si limita poi a trarre alcune rapide conclusioni. Nella prima scena un individuo cammina per strada, sente pronunciare un nome che è il suo, si volta riconoscendo sé stesso come colui che è stato interpellato, ossia come colui al quale l’altro fa riconoscere tramite un segno acustico di averlo riconosciuto, ed i due si stringono la mano, conformemente ad «una pratica rituale materiale di riconoscimento ideologico» (296, 298). Attraverso quella che Althusser stesso conosce come una «figura retorica» (300), nella seconda scena è l’ideologia religiosa cristiana a parlare in prima persona, a rivolgersi agli individui in nome di Dio, ossia di un «Altro Soggetto Unico, Assoluto», a chiamarli per nome, a dir loro chi sono e qual è il loro posto nel mondo, in modo tale che ognuno possa riconoscersi come il soggetto interpellato, «sujet de Dieu, assujeti à Dieu, sujet par le Sujet et assujeti au Sujet» (301). Poiché però Dio è solo colui in nome del quale si parla, e l’ideologia stessa non esiste nelle «forme materiali del suo funzionamento», bisogna intendere che, al di là della figura retorica impiegata da Althusser, il discorso messo in scena come se fosse pronunciato direttamente dell’ideologia è in realtà l’azione o la pratica, regolate da un rituale, di un qualche individuo concreto, materiale, quale può essere ad esempio un «professionista dell’ideologia» (284). Come già ricordato, è l’autore stesso a confessare che nella sua particolarità gli esempi che fornisce sono costruiti apposta per rendere “riconoscibili” le conclusioni. Sta di fatto, comunque, che solo a partire dal secondo esempio ‒quello dell’ideologia religiosa‒ Althusser può concludere che la struttura dell’ideologia è, in generale, non solo «speculare», ma anche «centrata». Speculare, perché è solo la specularità della coppia soggetto/Soggetto, il fatto cioè che nel Soggetto «ogni soggetto può contemplare la propria immagine», a consentire agli individui concreti di riconoscersi come i soggetti che sono stati interpellati dal «Soggetto Assoluto», ad offrire loro la garanzia che sono proprio loro ad essere interpellati, e che è proprio il Soggetto ad interpellarli. Centrata, poi, perché è senz’altro vero, da una parte, che nella realtà non esistono se non individui concreti, e che le pratiche di soggettivazione/assoggettamento attraverso le quali un individuo è indotto a riconosce sé stesso come soggetto sono già da sempre delle pratiche rituali che si svolgono tra gli individui, nelle quali l’individuo si ritrova riconosciuto o interpellato come soggetto da colui che egli riconosce come tale, ma è altrettanto vero, d’altra parte, che questo processo ideologicamente “intersoggettivo” non può apparire, nell’ideologia, se non come fondato sull’interpellanza da parte del Soggetto, garantito dal riconoscimento tra i soggetti e l’unico Soggetto che li interpella. La possibilità del riconoscimento di sé come colui che è interpellato nelle pratiche e nei rituali nei quali l’ideologia ha la propria esistenza materiale, inseparabile dalla possibilità del riconoscimento reciproco, e dal misconoscimento della cesura tra individualità concrete e soggettività assoggettate, è quindi strutturalmente fondata sul riferimento ad un istanza supposta terza, esterna. Se ora gettiamo un rapido sguardo d’insieme alla teoria sommariamente esposta da Althusser, e ancor più sommariamente riassunta da noi, non possiamo non avere l’impressione che essa presenti parecchi vuoti, e parecchie resistenze all’intelligenza del lettore. Non si capisce, in primo luogo, né cosa sia l’«individuo concreto» che è chiamato a “supportare” il soggetto, né in che senso esso sarebbe «astratto» (299) in rapporto al soggetto che esso già da sempre è. Resta oscuro, in secondo luogo, quale genere di relazione sia quella in forza della quale il soggetto è “supportato” da un individuo «concreto», individuo che in questa sua “concretezza” deve essere però al tempo stesso “astratto” rispetto al soggetto che esso supporta. Sfugge, in terzo luogo, il significato più preciso della tesi per la quale, l’individuo essendo già da sempre soggetto, e la soggettività «la categoria […] costitutiva di ogni ideologia» (295), l’uomo non può che essere «per natura un animale ideologico». Se si eccettua la decisione di passare dall’esempio del saluto tra uomini che passeggiano per strada a quello di ordine religioso, in quarto luogo, non si riesce a cogliere la ragione per la quale la specularità del rapporto di soggettivazione/assoggettamento, coerentemente alla quale un individuo concreto si fa soggetto unicamente nell’“intersoggettività” di un rapporto decentrato, esige di essere duplicata in una relazione, altrettanto speculare ma questa volta centrata. Perché, in altre parole, sarebbe necessario passare da un individuo che riconosce sé stesso come soggetto unicamente in quanto si riconosca riconosciuto come tale da un altro individuo, che si trova in una posizione speculare alla sua, ad un individuo che può riconoscere sé stesso come soggetto solo in quanto riconosciuto come tale da quello che egli riconosce come Soggetto Assoluto? A risultare teoricamente inesplicata, se non nella forma della generalizzazione, è la stessa nozione di interpellanza, ed i meccanismi attraverso i quali l’ideologia riesce a costituire forme di soggettività in forza delle quali gli individui concreti che le supportano adempiono spontaneamente alla loro strutturale funzione di riproduzione dei rapporti di produzione. A pensarci bene, vediamo che l’esposizione del concetto di interpellanza, che dovrebbe rappresentare la chiave di volta dell’intero edificio teorico pazientemente costruito Althusser, è in realtà appeso a un vuoto, che gli elementi disposti all’interno di IAIE non sono sufficienti a colmare.

2. Prima di passare alla ricostruzione della genesi delle tesi di IAIE entro il confronto con Lacan, ci sembra utile rivolgerci un momento a Lire le Capital (LC)[1]. Come tutti sanno, si tratta di un’opera collettiva nata dal seminario che Althusser organizzò insieme ai suoi allievi nel ’65, l’anno successivo a quello in cui Althusser invitò Lacan a tenere il proprio seminario presso l’Ecole normale supérieure, e organizzò lui stesso un seminario su Lacan e la psicanalisi, nel contesto del quale saranno pronunciate le due conferenze su Psychanalyse et sciences humaines (PSH), a partire dalle quali sarà elaborato l’articolo Freud e Lacan (FL). La lettura dei due testi althusseriani inclusi in LC ci consentirà di stabilire un immaginario di punto di partenza del processo che condurrà alla formulazione del concetto di interpellanza: buona parte degli elementi teorici che saranno convocati in seguito a definire la nozione di interpellanza sono già presenti, ma ancora dispersi e privi di ogni esplicita connessione sistematica. La lettura dei nostri due testi ci consentirà inoltre di constatare che, nonostante la loro posteriorità all’inizio del confronto con Lacan, e nonostante la presenza di un passaggio in cui Lacan viene esplicitamente citato, il lavoro di sintesi tra la riflessione sul Capitale e quella sulla psicanalisi lacaniana, che sarà tentato solo nelle Trois notes e rimosso in IAIE, è ancora largamente carente. Se ora ci concentriamo su quelli, tra gli elementi presenti nei due testi althusseriani inclusi in LC, che torneranno in IAIE, e che sono quindi suscettibili di essere letti retrospettivamente come “anticipazioni”, non possiamo non partire dalla constatazione che, anche se non si avvicina neppure lontanamente alle ossessive quasi seicento occorrenze della coppia théorie/théorique, idéologie e idéologique tornano comunque quasi trecento volte. Questo semplice fatto è sufficiente ad affermare che una definizione di ideologia deve essere, già per l’Althusser del ’65, una delle principali poste in gioco della sua elaborazione teorica. Senza mai essere affrontato di per sé stesso e in generale, nella portata per così dire antropologica che assumerà in IAIE, il concetto di ideologia viene messo a tema nel rapporto differenziale tra «modo di produzione teorico dell’ideologia» e «modo di produzione teorico della scienza» (62), o anche tra «pratica ideologica» e «pratica scientifica (o teorica)» (70), e nella funzione che esso assolve entro la problematica epistemologica circoscritta da quel rapporto. Particolarmente interessante, per noi, è il modo in cui in questo contesto più ampio viene caratterizzata la formulazione ideologica del problema della conoscenza. Ciò che in tutte le sue diverse versioni (idealista, empirista, pragmatista, fenomenologica…) caratterizza per Althusser la formulazione ideologica del problema della conoscenza, infatti, è la sua impostazione in termini di «garanzia della possibilità della conoscenza» (67): di garanzia, più precisamente, «dell’accordo tra la conoscenza (Soggetto) e il suo oggetto reale (Oggetto)» (69). La natura ideologica di questa impostazione è legata al modo in cui essa costruisce un problema artificiale, ed in senso stretto immaginario, a partire dalla risposta che esso deve ricevere: come «esatto riflesso» (60) o «specchio teorico» (62) di una soluzione imposta da istanze od esigenze extra-teoriche (religiosi, etici, politici…). L’impostazione ideologica del problema della conoscenza produce allora uno spazio chiuso all’interno del quale il «gioco speculare proprio dell’immaginario ideologico» (146) è in grado di svolgersi senza intoppi, una «struttura di riconoscimento speculare» entro la quale non solo problema e risposta si riflettono l’uno nell’altra, ma «i personaggi ideologici di Soggetto e Oggetto» (66) si affrontano in un «faccia a faccia» (65) che li presuppone come dati anteriormente al processo di conoscenza (38). A costo di ridurre l’intera conoscenza ad un semplice fenomeno di riconoscimento di un oggetto dato da parte di un soggetto ugualmente dato, e di misconoscere tanto il meccanismo reale della produzione delle conoscenze quanto la sua falsificazione e sottomissione ad opera di determinati interessi sociali, l’ideologia riesce così a conferire alla propria risposta al problema dell’accordo tra Soggetto e Oggetto una «evidenza» capace di garantire la possibilità della conoscenza. Come si può vedere da questa rapidissima sintesi, i due testi althusseriani inclusi in LC presentano già molti degli elementi che nel ’70 saranno usati per definire la nozione di interpellanza, e dunque dell’ideologia in generale. Torna, in particolare, l’idea che la specificità dell’«effetto di conoscenza ideologico», «l’essenziale» cioè non solo dell’impostazione ideologica del problema della conoscenza, ma dell’ideologia in generale (62), risieda nel suo costituirsi come un effetto di «riconoscimento-misconoscimento speculare» (82), specularità alla quale sono legate la sua «evidenza» e la garanzia o legittimità che essa comporta. Mancano, però, almeno due punti fondamentali. Manca, innanzitutto, tanto il carattere intersoggettivo e per così dire “orizzontale” della relazione di riconoscimento/misconoscimento, quanto, conseguentemente, l’idea che questa prima relazione speculare richieda di duplicarsi in una relazione analogamente speculare, ma questa volta “verticale”, tra soggetti e Soggetto. Manca, inoltre, qualunque messa in questione del nesso tra individuo e soggetto. Riguardo a questo secondo punto, a dire il vero, bisogna riconoscere che vi sono almeno quattro luoghi suscettibili di essere letti in maniera retrospettiva come altrettante “anticipazioni” di una problematizzazione del rapporto di soggettivazione/assoggettamento attraverso il quale l’ideologia costituisce degli individui come soggetti. In uno di essi, tra l’altro, compare di sfuggita anche il tema dell’intersoggettività. Secondo il primo passo, che si colloca all’interno della problematica epistemologica, il processo di produzione della conoscenza, di quell’oggetto della conoscenza che va cioè tenuto distinto dall’oggetto reale, accade tutto all’interno pensiero. «Sebbene gli individui ne siano gli agenti», tale pensiero non va inteso però come la «facoltà di un soggetto» (psicologico, trascendentale o assoluto che sia), ma come un «apparato di pensiero» storicamente costituito ed articolato sul mondo naturale e sociale, che solo «assegna a questo o quell’individuo (soggetto) pensante il suo posto o la sua funzione nella produzione delle conoscenze» (47). Gli altri passi hanno una portata più generale. Il secondo passo riguarda la critica quella concezione umanista della storia, non estranea al marxismo, secondo la quale sarebbero gli uomini ‒ossia «questi “uomini reali”, questi “individui concreti”» di cui parla l’Ideologia tedesca‒ a fare la storia. Il presupposto di questa tesi, al quale essa deve la propria “evidenza”, è che «gli “attori” della storia siano gli autori del suo testo, i soggetti della sua produzione». Il suo prezzo, invece, è quello di ridurre «i rapporti di produzione, i rapporti sociali, politici o ideologici […] a dei rapporti interumani, intersoggettivi» (178-9). In realtà, come si evince dagli ultimi due passaggi, secondo Althusser ogni particolare modo di produzione produce esso stesso, a seconda delle «funzioni di cui gli individui sono portatori (Träger) nella divisione del lavoro», «le forme di esistenza storica degli individui» (140). Una teoria che pretenda di spiegare il funzionamento di una società in generale non può considerarsi compiuta, quindi, finché non giunga a rendere conto della correlazione (di cui l’etnologia fornisce soltanto una testimonianza empirica) tra la varietà dei modi di produzione e quella degli «effetti di feticismo, o ideologia», nei quali, «consciamente o inconsciamente, gli uomini vivono le loro idee, i loro progetti, le loro azioni, i loro comportamenti, le loro funzioni come sociali» (81). Anche qui, come in precedenza, tra LC e AIEI si produce un innegabile effetto di risonanza. Non solo sembra quasi di poter capire cosa debbano essere gli «individui concreti» di cui Althusser parlerà in IAIE come altrettanti “supporti” delle forme storiche di soggettività, ma l’individuo compare inoltre proprio come ciò che una concezione ideologica della storia indica come «soggetto», e una concezione scientifica smaschera invece come semplice «attore», mero supporto di funzioni specifiche e di altrettanto specifiche forme ideologiche di consapevolezza delle proprie condizioni reali o sociali di esistenza. A guardare le cose con maggiore attenzione, però, ci si rende conto di come l’effetto di risonanza che si produce tra i due testi nasconda una serie di rotture. Gli individui, nei passaggi citati, sono certo già considerati come attori, agenti, o supporti (Träger): non però di forme di soggettivazione/assoggettamento, ma unicamente delle funzioni che sono assegnate loro dalla struttura dei processi di produzione, sia materiale sia cognitiva (ideologica), in cui sono inclusi. È inoltre tutt’altro che chiara, in LC, la connessione tra i diversi livelli su cui si articola il discorso sull’ideologia: tra il livello che si è detto “epistemologico”, nel quale l’evidenza della tesi per cui la conoscenza dell’oggetto sarebbe l’opera di una facoltà di un soggetto e il misconoscimento del reale processo di produzione della conoscenza sono entrambi garantiti dalla specularità della struttura Soggetto/Oggetto, e il livello che si è detto invece “antropologico”, trattato solo di sfuggita e subordinatamente a quello epistemologico, e nel quale la struttura del processo produttivo assegna agli individui particolari funzioni e forme di coscienza ideologica corrispondenti. È vero, poi, che già in LC «individui concreti» e «soggetti» compaiono in un medesimo contesto. Come testimonia la confusione implicita nell’espressione «individuo (soggetto)», appare però tutt’altro che chiara la loro distinzione, alla quale Althusser non sembra attribuire ancora alcun particolare valore. In LC, infine, abbiamo a che fare con particolari formazioni ideologiche (il marxismo di stampo umanistico, ad es.) che pensano illusoriamente gli individui come soggetti (e i loro rapporti come rapporti intersoggettivi). In IAIE, al contrario, l’ideologia in generale ha la funzione di “trasformare”, “costituire” realmente gli individui in soggetti, di produrre cioè forme non solo immaginarie, ma anche reali, di soggettivazione/assoggettamento (e di “intersoggettività). Riassumendo quanto si è avuto modo di notare nel corso della lettura di LC, si può concludere che ciò che in questo resta non-pensato è precisamente quel concetto di interpellanza che costituisce tutta la novità di IAIE, e che in tanto consente di ricombinare in forma unitaria tutti gli elementi già presenti nel testo del ’65 entro una teoria diversa da quella in cui originariamente compaiono in forma dispersa, in quanto consente di articolare, nella forma di una gerarchizzazione tra due relazioni di riconoscimento, “orizzontale” e “verticale”, il rapporto tra individuo e soggetto. LC, è vero, presenta già molti degli elementi che saranno convocati dal secondo nella definizione del concetto di interpellanza. Tra LC e IAIE, ciò nondimeno, resta aperta una cesura. Solo retrospettivamente, quindi, i passi che si sono citati possono essere letti come “anticipazioni” della teoria esposta in IAIE.

3. Ciò che tenteremo di mostrare, nei seguenti due paragrafi, è l’ordine o la connessione di idee che ha reso possibile il passaggio da LC a IAIE in occasione del confronto con Lacan. Un riferimento a Lacan, si è detto, è già presente in LC, in un luogo in cui la struttura di riconoscimento/ misconoscimento che a suo parere definisce lo spazio dell’ideologia come tale viene assimilata al «circolo inevitabilmente chiuso di ciò che in un altro contesto, ad altri fini, Lacan ha chiamato “relazione speculare duale”» (63). Nonostante questo riferimento, la riflessione portata avanti in LC sembra muoversi lungo ancora una traiettoria ancora in gran parte parallela rispetto ai problemi che pure erano già stati cominciati ad affrontare nelle due conferenze su Psychanalyse et sciences humaines (PSH) e in Freud e Lacan (FL), scritti nel ’64. Per comprendere meglio il tentativo di sintesi tentato  nelle Trois notes redatte nel ’66, nelle quali la nozione di interpellanza compare per la prima volta, qui di seguito ci rivolgeremo in un primo momento ai due testi precedenti LC, per passare nel prossimo paragrafo al testo successivo. Di questi due testi, ci interesseremo soprattutto alla valorizzazione che Althusser fa della lettura lacaniana di Freud, come l’unica fedele alla novità del pensiero freudiano, e capace perciò di preservarne l’irriducibilità. Risulteranno allora chiari i motivi per i quali tutta la “fedeltà” di Lacan consisterà precisamente nel rescindere ogni legame, ancora fattualmente presente in Freud, tra il desiderio ed una dimensione corporea. Giustificato dalla volontà di levare l’interdetto di cui la psicanalisi è stata ingiustamente oggetto da parte della cultura comunista ufficiale4, il problema comune a PSH e a FL resta quello di rendere conto della rupture o coupure épistémologique alla quale sarebbe legata la carica rivoluzionaria della disciplina scientifica fondata da Freud, e dalla quale questa disciplina sarebbe essenzialmente separata dal campo ideologico già costituito sullo sfondo del quale essa emerge, e all’interno del quale rischia sempre di nuovo di essere nuovamente riassorbita. Scienza «totalmente nuova», in cui sorge una «verità nuova», fondata sulla definizione di un «oggetto nuovo», che è suo e solamente suo (l’inconscio), la psicanalisi sorge con Freud sullo sfondo di un campo «pieno», «in cui tutti i posti sono presi», e rispetto al quale essa non può non rompere, occupare «luogo vuoto», un «fuori-campo». Questa rottura, per altro verso, non può compiersi se non «all’interno del campo in cui essa deve intervenire, praticamente nello stesso linguaggio con il quale questa nuova disciplina deve rompere». La psicanalisi, in altre parole, non può produrre i propri concetti «domestici» ‒secondo una distinzione che Althusser afferma di riprendere da Kant‒ se non sotto la protezione di concetti «importati» da discipline che le sono essenzialmente estranee (fisica energetica, biologia darwiniana, economia politica, filosofia…) e al costo, perciò, di una vera e propria «sproporzione», o addirittura «contraddizione», tra la rete di concetti presi «a destra e a manca» ed intrecciati per catturare il proprio oggetto ed il loro autentico contenuto teorico. Se da un lato la nuova disciplina tenderà allora a produrre nel campo in cui si iscrive una ristrutturazione complessiva, il campo, d’altro lato, non potrà mancare di opporvi resistenza: all’inizio denunciandone lo scandalo, ma in seguito offrendole il proprio «riconoscimento» e la propria «ospitalità divorante» (PSH,78-81, LC, 23-6 e 31-2). Tra tutti i vari tentativi di riannessione, il più pericoloso è senz’altro, per Althusser, quello messo in atto dalla disciplina più prossima alla psicanalisi, la psicologia, e che trova la propria espressione più rappresentativa nell’opera nel vero e proprio parricidio teorico compiuto dalla stessa figlia di Freud. A partire dalla necessità extra-teorica di concepire la malattia psichica come disadattamento sociale, o il disadattato come malato, Anna Freud concepisce un soggetto centrato sull’Io, il cui compito è quello di conciliare le proprie pulsioni biologiche interne (l’ES) con la realtà esterna e con le norme sociali, introiettate come Super-Io, riconosciute grazie al rapporto con i genitori. In questo modo la costruzione del soggetto psicologico richiede l’appiattimento l’una sull’altra tre realtà o concetti eterogenei: l’individuo, che è un concetto biologico; il soggetto, che ha un valore nella divisione sociale del lavoro, designa colui che, sottomesso ad un ordine o a un padrone, è al tempo stesso pensato come attivo, origine delle proprie azioni, ed è quindi chiamato a rispondere della propria condotta di fronte a un terzo; infine l’Io, concetto nato all’interno ad una problematica filosofica, che designa una funzione al tempo stesso conoscitiva in rapporto al mondo esterno e di sintesi in rapporto alle istanze del mondo interno (PSH,106-8). Si capisce allora il valore propriamente ideologico di questa costruzione centrata sull’Io, che non solo abusa della terminologia freudiana per riannettere la psicanalisi alla psicologia e ridurre l’inconscio a qualcosa di interno alla coscienza, ma assegna alla pratica della cura lo scopo di un rafforzamento dell’Io, ossia della capacità del soggetto di pervenire ad una sintesi sostenibile delle proprie opposizioni interne, di adattarsi al ruolo che la realtà esterna gli impone senza essere frantumato dall’aggressività delle proprie pulsioni (51-4 e 97-101)5. Di fronte ai tentativi di riannessione, l’unica possibilità per la psicanalisi di restare fedele a sé stessa e alla propria carica rivoluzionaria, di perseverare nella rottura che essa rappresenta, di condurre ad un reale sconvolgimento del campo in cui si inscrive, consiste per Althusser nel proteggersi da ogni riduzione alle discipline preesistenti, e in particolare alla psicologia. La difesa del carattere scientifico della psicanalisi passa dunque, in maniera particolare, dalla rescissione di qualunque continuità tra individuo biologico e soggetto, che della costruzione ideologica di un soggetto psicologico centrato sull’Io costituisce appunto il presupposto. Ed è proprio qui che compare Lacan. Nel Trattato teologico-politico, secondo Althusser, Spinoza avrebbe già mostrato, contro Cartesio, che non è l’immaginazione ad essere la facoltà di un soggetto psicologico, ma che è al contrario la costituzione di un soggetto psicologico ad essere imposta «dalla struttura dell’immaginario», ossia da una struttura sociale storicamente determinata, «che per poter sussistere produce necessariamente quel soggetto» (120). Denunciando nell’uomo naturale hobbesiano il doppio speculare dell’uomo contemporaneo, attraverso il quale il passaggio dalla non-società ad una società determinata può essere spiegato e giustificato tramite la presupposizione del punto d’arrivo già nel punto di partenza, Rousseau avrebbe poi affermato che la cultura «precede sempre sé stessa» (93). Di fronte all’eterno problema del «passaggio dall’esistenza (al limite puramente) biologica all’esistenza umana», dell’attraversamento di «questo spazio infinito che separa la vita dall’umano, il biologico dallo storico, la “natura” dalla “cultura”», di questa «ominazione forzata» che «trasforma i bambini umani da larve di mammiferi in soggetti» (LC,36 e38), la scoperta rivoluzionaria di Freud consisterebbe tutta nel fatto che anche per Freud «la cultura precede costantemente sé stessa»: che è cioè soltanto «l’azione della cultura» a trasformare l’individuo biologico in un «soggetto umano» (91). Può sembrare strano, ma la strana novità del Freud riletto da Lacan consiste proprio, per Althusser, nel non dire nulla di diverso da ciò che Althusser stesso può mettere in bocca a Spinoza e Rousseau solo a costo di rimuovere completamente quel rapporto mente/corpo, o côté physique/côte métaphysique ou moral, che pure del loro pensiero costituisce un aspetto fondamentale6. La valorizzazione del lacaniano “ritorno a Freud”, attraverso il quale Lacan ristabilisce nella sua verità originaria la teoria «ben stabilita, ben fissata […] da Freud stesso», e supera l’inadeguatezza concettuale sulla quale fanno leva i vari revisionismi trasformando i concetti importati in concetti domestici, è in buona parte legata proprio alla sua capacità di disinnescare ogni continuità tra individuo biologico e soggetto, e di riaffermare con ciò l’autonomia della scienza psicanalitica rispetto all’ideologia psicologica. Su quale sia il rapporto tra questa affermazione e l’irriducibilità della psicanalisi, legata come sappiamo alla specificità del suo oggetto (l’inconscio), PSH non dice pressoché nulla. Una conclusione non infondata ci pare poter essere tratta, in questo senso, dall’accostamento dei luoghi che in FL ricostruiscono il “passaggio” dell’individuo biologico al soggetto umano e di un’importante nota a piè di pagina. Riguardo al passaggio dall’individuo al soggetto, per Althusser il punto da tenere fermo è uno solo. Esso si articola certo in due momenti, nella formazione “prima” di una struttura duale, nella quale la «fascinazione immaginaria dell’Ego» sorge grazie all’identificazione narcisistica primaria con questo o quell’altro, e “poi” di una struttura triadica, nella quale l’intervento di un terzo rompe la soddisfazione immaginaria legata alle fascinazioni duali, e introduce il bambino in un ordine simbolico. Nonostante questa apparente successione, l’intero passaggio dipende però, in realtà, dall’«efficacia assoluta […] della Legge della Cultura», che è il modo in cui Althusser preferisce chiamare il lacaniano ordine simbolico, o ordine del significante: al di sotto del proprio apparente primato cronologico, il momento dell’immaginario non è in realtà null’altro se non il modo in cui il bambino «vive la sua relazione immediata con un altro essere umano (la madre) senza riconoscerla praticamente come la relazione simbolica che essa è», come già «marcata e strutturata nella sua dialettica dalla dialettica stessa dell’Ordine Simbolico» (FL,39-40). È del resto proprio la subordinazione del primo livello al secondo, e dunque della relazione duale immaginaria alla relazione simbolica triadica, il fatto cioè la costruzione di un Io in un rapporto apparentemente immediato con un altro Io è in realtà già da sempre mediata e regolata dalla misconosciuta presenza di un terzo, a sostanziare la polemica althusseriana contro ogni interpretazione filosofica intersoggettivista della psicanalisi, da Sartre a Ricoeur. Il discorso dell’inconscio è già da sempre cominciato, perché esso non è nient’altro che il discorso dell’Altro, del grande Terzo, di quella Legge della Cultura che precede sempre sé stessa e che, pur misconosciuta, struttura il processo di formazione dell’Io sin dal primo respiro del bambino (42). Sulla base di questa identificazione del discorso dell’inconscio alla Legge della cultura, appare chiara l’importanza della nota che commenta il passaggio in cui si legge che il bambino subisce «sin dal primo respiro» gli effetti della Legge. Secondo la nostra nota, infatti, il desiderio è la categoria fondamentale dell’inconscio. Più precisamente, esso è  «il senso singolare del discorso dell’inconscio del soggetto umano», che sorge nel gioco della catena significante di cui il discorso dell’inconscio è composto. È per questa ragione che il desiderio «si distingue radicalmente dal bisogno organico di essenza biologica», e «tra il bisogno organico e il desiderio inconscio non esiste una continuità di essenza, non più di quanto non esista una continuità di essenza tra l’esistenza biologica dell’uomo e la sua esistenza storica». I concetti “importati” attraverso i quali Freud pensa il contenuto dell’inconscio, come quelli di «libido, affetti, pulsioni» sono quindi solo «apparentemente biologici», non hanno che un’«apparenza biologica». L’esistenza storica dell’uomo, «ivi comprese le determinazioni in apparenza puramente biologiche, come i bisogni», non può essere compresa se non attraverso le categorie dell’esistenza storica dell’uomo. Esattamente allo stesso modo, sono «le categorie essenziali dell’inconscio che permettono di apprendere e definire il senso stesso del desiderio, di distinguerlo dalle realtà biologiche che lo supportano (esattamente come l’esistenza biologica supporta l’esistenza storica), ma senza costituirlo né determinarlo». La specifica novità e  della psicanalisi freudiana, quella sua irriducibilità che all’inizio poteva non sembrare chiara, sta allora tutta qui: nel dimostrare che il valore biologico delle pulsioni è solo apparente, perché l’individuo biologico ne è il supporto, ma non il soggetto. Sebbene sia ancora materialmente assente quella nozione di interpellanza, PSH e FL presentano già, sconnessi tra loro, tutta una serie di elementi che saranno convocati nella teoria dell’ideologia esposta in IAIE. In IAIE, ad esempio, Althusser si richiamava esplicitamente a Freud in almeno due occasioni. Nella prima, per illustrare che gli individui sono già da sempre soggetti. Se il bambino è già da sempre soggetto, in IAIE come in FL, è appunto perché è immediatamente circondato dalla serie di rituali nei quali l’ideologia familiare ha la sua esistenza (299)7: perché è iscritto sin dal suo primo respiro nelle «formazioni ideologiche» legate alla struttura della parentela, ed esposto perciò al discorso della legge. Nella seconda occasione, non a caso, il riferimento a Freud compare per IAIE per accostare la tesi dell’«eternità» dell’ideologia in generale alla freudiana «eternità dell’inconscio» (288). Il discorso dell’inconscio, in FL, è tutt’uno con quello della Legge della Cultura, quale si fa sentire attraverso le «formazioni ideologiche» della parentela. Come in FL l’individuo biologico è già da sempre divenuto un soggetto umano per via dell’efficacia del discorso della legge, in quanto discorso dell’inconscio, così l’individuo concreto di IAIE è già da sempre soggetto, perché è già da sempre esposto agli effetti di un certo discorso ideologico. Col la figura del «grande Terzo» lacaniano compare inoltre già in FL qualcosa di innegabilmente simile all’«Altro Assoluto» dal quale l’individuo sarà interpellato in IAIE. Nella subordinazione dell’immaginario al simbolico, e nella conseguente critica delle letture filosofiche e intersoggettiviste della psicanalisi, l’intersoggettività è vista inoltre in PSH, proprio come in IAIE, come una costruzione ideologica. Nel contesto della polemica contro Anna Freud, in una dunque posizione assai defilata, compare anche l’idea che la nozione di soggettività abbia una funzione entro la divisione sociale del lavoro, e che il soggetto sia sempre, al tempo stesso, assoggettato a un certo ordine presupposto e supposto libero, e come tale chiamato a rispondere delle proprie azioni. Ciò che più conta, ai nostri occhi, è però il fatto che si fa chiaro, in FL, il nesso che in IAIE farà dell’individuo concreto il “supporto” del soggetto, sul quale dovremo tornare alla fine di questo articolo. Come Althusser constaterà con grande chiarezza nella prima delle due Lettres à D…, ciò che sorge nel bambino umano, in quanto soggetto umano, è qualcosa di «nuovo», di «irriducibile al biologico», e che rispetto al biologico non può dunque se non «funzionare in maniera autonoma» (Ecrits sur la psychanalyse, 66). È proprio in questa autonomia che consiste tutta la specificità dell’oggetto della psicanalisi, la novità ed irriducibilità della quale consiste interamente nel saperne cogliere le leggi. Come già è si è visto succedere in LC, anche PSH e FL presentano già, allo stato gassoso, molti degli elementi che troveranno una propria più stabile configurazione nella più tarda teoria dell’ideologia. Si ha inoltre l’impressione che questi elementi consentano già di colmare alcuni dei vuoti che si sono visti aprirsi all’interno dell’esposizione contenuta in IAIE. In particolare, si intuisce finalmente chi debba essere l’«individuo concreto» che nel testo del ’70 sarà chiamato a supportare il soggetto. Su questi punti, che sono di estrema importanza per la nostra dimostrazione dell’idealismo della teoria althusseriana dell’ideologia, torneremo nella conclusione di questo lavoro. Assieme a quella di interpellanza, però, manca ancora almeno un’idea centrale: l’idea che la categoria di “soggetto” sia una categoria esclusivamente ideologica, ed il soggetto stesso (e non semplicemente “la categoria di ‘soggetto’”!) il prodotto specifico dell’ideologia. Il carattere ideologico della nozione di «soggetto psicologico», in altre parole, è perfettamente chiaro, ma non altrettanto lo è quello del «soggetto umano» che l’individuo biologico è già da sempre divenuto: non sembra, in altre parole, esservi un significato univoco del concetto di soggettività. Contrariamente al soggetto centrato sull’Ego, che nell’ideologia psicologica costituisce soltanto il presupposto teorico di una pratica ben precisa, quella di una cura tesa a riadattare l’individuo alle esigenze della divisione sociale del lavoro, il «soggetto umano» non può essere il semplice effetto di una mistificazione ideologica: come oggetto di scienza, infatti, deve avere una sua realtà non illusoria. È proprio questa impossibilità di interrogare la differenza tra il «soggetto» ideologico della psicologia e il «soggetto» scientifico della psicanalisi, allora, a far sì che il ruolo determinante giocato dalle «formazioni ideologiche» della parentela nella produzione del «soggetto umano» non possa essere riconosciuto se non marginalmente. È questa medesima impossibilità, ci pare, a vietare di mettere a tema il rapporto tra ideologia e discorso della Legge della Cultura, il rapporto tra questo discorso e quello dell’inconscio (ossia il desiderio), ed il rapporto tra la divisione sociale del lavoro legata ad una certa struttura economica e la soggettività umana. Interrogare questi rapporti vorrebbe dire domandarsi se il discorso della Legge della Cultura sia o non sia un discorso essenzialmente ideologico, se il desiderio, come discorso dell’inconscio, sia o non sia null’altro che un effetto della Legge della Cultura, e quindi di quell’ideologia che impone agli individui certi ruoli in funzione di un ordine prestabilito, e lasciare aperta la possibilità che il «soggetto umano» non solo si confonda con il «soggetto psicologico», ma riveli di non essere nient’altro, in fondo, che il modo in cui gli individui biologici vengono sussunti alle funzioni predeterminate dalla struttura sociale. La psicanalisi rischierebbe allora di non essere altro, per dirlo in una parola, che l’assoggettamento stesso contemplato sub specie aeternitatis: scienza della produzione ideologica di soggettività necessariamente coerenti con le strutture sociali in cui sono incluse. Si renderebbe non solo inafferrabile la portata rivoluzionaria della psicanalisi (se non come una pseudo-spinozista “coscienza della necessità”), ma evidente, inoltre, come tutta la lettura althusseriana di Freud fosse inconsapevolmente finalizzata a costruire un’immagine propriamente ideologica della psicanalisi, ridotta a rispecchiarsi nel materialismo storico come nel proprio doppio speculare, o quanto meno destinata ad essere «digerita» dalla «divorante ospitalità» dell’interpretazione althusseriana del pensiero di Marx. Prima di passare alle conclusioni, mostrando che è stato il loro carattere schiettamente idealistico ad imporre la rimozione i  presupposti della teoria dell’ideologia esposta in IAEI, resta ancora da affrontare il testo delle Trois notes sur la théorie des discours, ed il tentativo di sintesi in esso compiuto da Althusser.

4. Le Trois notes, con le quali il filosofo si proponeva di lanciare un gruppo di ricerca del quale avrebbero fatto parte A. Badiou8, E. Balibar, Y. Deroux e P. Macherey, presentano per noi diversi motivi di interesse. Testimoniano, innanzitutto, di una prima, faticosa, parziale presa di distanza da Lacan. Tentano, inoltre, di elaborare un modello capace di pensare il rapporto tra la psicanalisi ed il campo in cui essa si inscrive in una forma diversa da quella della coupure épistémologique. Prendono di petto, soprattutto, il problema del rapporto tra inconscio ideologia, e del ruolo dell’ideologia nella formazione sociale di cui è una funzione. Su queste basi, c’è senz’altro da sperare che molte delle questioni lasciate in sospeso nei testi precedenti trovino finalmente una soluzione. Vedremo però che proprio su un punto fondamentale, quello di una possibile articolazione della teoria psicanalitica e teoria dell’ideologia, gli sforzi di Althusser vadano incontro a uno scacco. Il punto di maggiore attrito, nella presa di distanze da Lacan, è senza dubbio raggiunto nella terza delle Trois notes, nella quale viene negato uno degli assunti fondamentali delle prime due: viene negato, cioè, che «tutte le forme di discorso esistenti», come ad esempio il discorso inconscio, il discorso ideologico, il discorso estetico, o il discorso scientifico, «producono un effetto di soggettività» (131). È così che, forte di questa decisione teorica, nella lettera che accompagnava il testo inviato ai propri allievi Althusser poteva affermare di non credere più alla possibilità di parlare, come fa Lacan, di un soggetto dell’inconscio, o di un soggetto della scienza: la categoria di soggetto non è pertinente, se non in un senso equivoco, al di fuori del dominio dell’ideologia. È però un’altra presa di distanze, oggettivamente secondaria, a costituire il vero e proprio nucleo generatore del nostro testo. La subalternità implicita nel riconoscimento che «l’essenziale dell’impresa teorica di Lacan» è giusta, e nell’accettazione, a mo’ di postulato, che l’inconscio sia effettivamente «strutturato come un linguaggio», non impedisce ad Althusser di denunciare tanto la confusione in cui Lacan sembra cadere quando assume ora la linguistica ora la psicanalisi come il fondamento di tutte le discipline che hanno a che vedere con la produzione di significati (151), quanto i limiti nella concezione dei rapporti tra le varie discipline che questa confusione implica e rende palesi (128). È proprio il riconoscimento di questa oscillazione della psicanalisi lacaniana tra vocazione egemonica e genuflessione di fronte alla superiore autorità della linguistica psicanalisi, ci pare, a spingere Althusser a rimettere in questione la propria precedente teorizzazione del rapporto tra una “scienza nuova” ed il campo in cui essa si inscrive. Per quanto riguarda questo secondo punto, bisogna notare che tutti gli sforzi di Althusser sono tesi a ripensare il rapporto della psicanalisi con la discipline che costituiscono il campo in cui essa si inscrive come un rapporto differenziale con le diverse «teorie regionali» (TR) di una medesima «teoria generale» (TG), in modo tale che  la sua articolazione con le altre discipline l’una sull’altra possa essere pensata non nella forma ideologica dell’interdisciplinarità9, ma come interna alla loro stessa definizione. È solo la formulazione della TG di cui la psicanalisi è una TR a permettere alle TR di rompere l’isolamento in cui rischiano di irrigidirsi, contribuire ognuna a rettificare i concetti dell’altra, resistere alla tentazione di pretendere l’una al rango di TG di tutte le altre, ma soprattutto dare prova della propria scientificità. Non può essere che la TG, infatti, a chiarire il rapporto differenziale che si intreccia tra lo specifico oggetto proprio di ognuna e gli oggetti delle altre entro il campo dell’oggettività scientifica esistente (122-3, 151), intreccio in cui giustappunto consiste lo statuto di scientificità di una disciplina. La cosa per noi più interessante, in questa nuova concezione del rapporto tra discipline, consiste nel fatto che essa sembra costruita apposta per permettere ad Althusser di formulare il problema del rapporto tra il discorso dell’inconscio, che come sappiamo costituisce l’oggetto specifico della psicanalisi, ed il discorso ideologico, «il cui concetto appartiene alla TG del materialismo storico» (149). Sulla base del presupposto che l’inconscio sia «strutturato come un linguaggio», infatti, la TG di cui la psicanalisi è la TR non può essere che una ancora non elaborata «teoria dei discorsi». L’inconscio viene pensato come una struttura o una macchina (un discorso) la quale combina elementi o significanti specifici (i “fantasmi”, 133) secondo vincoli o leggi di combinazione altrettanto specifiche (sintassi, 157), dalle quali essa è determinata a funzionare producendo degli specifici effetti, effetti nei quali soltanto essa stessa esiste (129), e che rispetto ad essa non hanno nessuna «esteriorità, anteriorità, trascendenza» (158), e sono tutti riconducibili ad altrettante variazioni di uno stesso «effetto-libido» (158). Assumendo che la specificità di una struttura significante si colga solo nella sua articolazione con altre strutture significanti (ma anche con strutture non-significanti, 133), e che tra tutte le articolazioni possibili ve ne sia una prioritaria, o propriamente «essenziale», Althusser si rivolge non già ad illustrare gli elementi, le leggi di combinazione, e gli effetti del discorso inconscio considerato in sé solo, ma ad indagarne l’«articolazione princeps» con quell’altra macchina discorsiva che è l’ideologia (160), e il rapporto con quella macchina non discorsiva che è una struttura sociale. È proprio in questo contesto che le riflessioni portate avanti parallelamente in LC e in PSH e FL trovano una propria sintesi, e compare la teoria dell’ideologia come funzione legata alla riproduzione dei rapporti di produzione incentrata sulla nozione di interpellanza che sarà esposta pubblicamente in IAIE. Una struttura definisce delle funzioni-Träger come altrettante posizioni da occupare nella divisione tecnica e sociale del lavoro, lasciando all’ideologia il compito di selezionare chi debba occupare quelle posizioni. Nel discorso ideologico un Soggetto si rivolge agli individui interpellandoli come soggetti: partendo dal presupposto extra-teorico, impostogli dalla struttura sociale, che esistano dei soggetti disposti a farsi carico di certe funzioni, il discorso ideologico produce dei soggetti fornendo agli individui delle «ragioni-da soggetto», ossia delle garanzie, per assumere le funzioni-Träger definite dalla struttura: induce un effetto-soggetto negli individui istaurando una doppia relazione speculare che consenta loro di riconoscersi come i soggetti che sono interpellati dal centro da cui emana ogni interpellanza, il Soggetto (cfr.134-9). L’esposizione di questa concezione dell’ideologia, che è esattamente la stessa che sarà ripresa e ulteriormente sviluppata in IAIE, non è fine a sé stessa, ma subordinata alla comprensione di un problema che non lascerà al contrario quasi traccia nel testo del ’70: quello dell’articolazione tra discorso dell’ideologia e discorso dell’inconscio, o tra gli specifici effetti nella produzione dei quali essi consistono, o in una parola tra l’effetto-soggetto e l’effetto libido. Su questo punto nodale, però, vanno incontro al naufragio. Facendo astrazione da tutti gli elementi resi caduchi dalla conquista teorica maturata nella terza nota, secondo la quale non esiste soggetto se non nel dominio dell’ideologia, si può comunque constatare che la prima nota pensa l’articolazione tra desiderio e soggetto, o tra inconscio e ideologia, secondo due versioni che per un verso non sono facilmente conciliabili, e che per altro verso condividono entrambe una medesima conseguenza di ordine generale. Secondo la prima versione, nella quale il discorso dell’inconscio sembra ancora mantenere una pur relativa autonomia rispetto a quello dell’ideologia, si può dire che l’inconscio è un meccanismo che funziona «a ideologia», nello stesso senso in cui si dice che un motore funziona a benzina (141). Esso produce i propri effetti nel vissuto soggettivo, informato dall’ideologia attraverso l’interpellanza (142), e dunque nei frammenti del discorso ideologico nei quali l’inconscio riesce a “giocare”, o a “fare presa” (143). Il discorso dell’inconscio si produce allora dentro e attraverso il discorso ideologico, all’interno del quale parla un altro discorso. Ciò che nel discorso ideologico funge da “sintomo” del discorso inconscio non è però soltanto questo o quel frammento, ma le sue stesse categorie fondamentali: il Soggetto che nel discorso ideologico interpella gli individui, ad esempio, «è evidentemente molto prossimo al super-Io (144-5). Questa prima versione dell’articolazione tra le due tipologie di discorso presenta almeno un problema interno. Se nessun meccanismo esiste separatamente dagli effetti che esso produce dentro di sé e secondo le proprie specifiche leggi, e se il discorso dell’inconscio è un meccanismo che funziona “a ideologia”, che non produce cioè i propri effetti se non facendo presa sul discorso dell’ideologia, allora la distinzione tra i due discorsi si fa propriamente inafferrabile, e contro l’assunto di base bisogna ritenere che o l’inconscio ha un’esistenza separata dall’ideologia, oppure l’ideologia è un meccanismo eteronomo. È precisamente per via di questa sua interna fragilità, ci pare, che nel testo althusseriano la prima versione viene massicciamente subordinata ad una seconda, più forte, nella quale il discorso dell’inconscio perde ogni autonomia di fronte a quello dell’ideologia. Althusser, è vero, non la introduce se non con precauzione, affermando che la terminologia che impiega non va presa alla lettera, ma rappresenta solo una «prima approssimazione» (140). In mancanza di una “seconda approssimazione”, però, non possiamo che attenerci alla lettera del testo, secondo la quale «la funzione-soggetto, che è l’effetto proprio del discorso ideologico, richiede, produce, induce un effetto proprio, che è l’effetto-inconscio» (135). «L’esistenza del discorso inconscio è indispensabile affinché funzioni il sistema attraverso il quale l’individuo assume il suo ruolo di soggetto ideologico» (139-40). È del resto proprio «l’interpellanza degli individui come soggetti ideologici», che pure in precedenza era sembrata fornire all’inconscio unicamente la situazione su cui “fare presa”, a farsi carico di «produrre in essi un effetto specifico, l’effetto inconscio, che permette agli individui di assumere la funzione di soggetti ideologici» (139). In questo senso, il «Grande Altro», il cui discorso è il discorso dell’inconscio, non è tanto una categoria interna all’inconscio, la quale farebbe semplicemente presa sul «Soggetto» interno a discorso ideologico assumendolo come proprio sintomo, ma «il discorso ideologico stesso, fattosi inconscio» (141). Si capisce, allora, la ragione per la quale la teoria generale dei discorsi non può essere sufficiente a comprendere l’articolazione della teoria regionale del discorso inconscio sulla teoria regionale del discorso ideologico: perché il concetto del discorso ideologico appartiene non alla teoria genera dei discorsi, ma alla teoria generale del materialismo storico, dalla quale la prima è «determinata» (145). In questo modo il circolo si chiude, e si capisce in che modo la struttura sociale riesca a riprodurre sé stessa  attraverso una ideologia che produce ad un tempo il soggetto e il suo inconscio, ossia il suo desiderio. In un passo abbastanza fuori contesto, Althusser distingue i discorsi, che non producono altro se non effetti di significazione, dalle pratiche, che producono invece «modificazioni-trasformazioni reali in oggetti esistenti». Subito dopo, però, ci tiene a sottolineare che «questo non significa che i discorsi non possano esercitare alcuna efficacia sugli oggetti reali, ma che non possono esercitare alcuna efficacia sugli oggetti reali se non attraverso la loro inserzione nelle pratiche in questione» (167). Se Althusser aveva bisogno di subordinare il discorso dell’inconscio al discorso dell’ideologia, era precisamente per consentire al discorso dell’ideologia, attraverso la produzione di un discorso dell’inconscio il cui effetto è un desiderio, a fare in modo che gli individui agiscano spontaneamente, ossia lavorino e trasformino cose reali, in maniera coerente con le esigenze della struttura sociale, ossia della divisione del lavoro. Capovolgendo una critica che Althusser rivolge ad esempio a Sartre, che aveva bisogno di una “ghiandola pineale” per comprendere il rapporto tra individuo e società, si può dire che il problema di Althusser è quello di non aver cercato nessuna ghiandola pineale capace di spiegare in che modo l’individuo materiale, biologico, possa essere determinato a certe pratiche altrettanto materiali da un desiderio che non è altro che l’effetto di senso prodotto dal gioco dei significanti dell’inconscio, i fantasmi. In assenza di ghiandole pineali capaci di spiegare l’articolazione del discorso dell’inconscio non solo col discorso dell’ideologia, ma anche con quella «struttura non significante» che è il corpo umano, non resta ad Althusser che arrendersi inconsapevolmente a quel «parallelismo degli attributi» che da lui stesso denunciato come un deficit teorico (150). Sulla base di tutto quanto detto possiamo finalmente passare alle conclusioni.

Conclusione. Il percorso che si è compiuto passando prima per PSH e FL, poi per le Trois notes, dovrebbe non solo aver già chiarito in che modo il confronto con Lacan abbia permesso ad Althusser di passare dal concetto di ideologia presente in LC alla teoria esposta in IAIE, ma anche consentirci oramai di colmare i vuoti lasciati aperti da questo ultimo testo, e di capire la rimozione che esso mette in atto. A proposito dei vuoti che oscuravano il senso della teoria dell’ideologia contenuta in IAIE, il punto fondamentale è l’identificazione, che i testi analizzati ci consentono di operare, tra l’«individuo concreto» di cui parla il testo del ’70 e l’«individuo biologico» che compare invece nei testi sulla psicanalisi. La ragione per la quale questo «individuo concreto» viene detto «astratto» rispetto al soggetto che esso già da sempre è, come consente di capire la nota di FL che distingue desiderio e bisogno, è non solo perché ciò che normalmente appare come appartenente alla sfera del biologico è in realtà determinato solo dalla sfera della cultura e della storia, ma più radicalmente perché l’individuo biologico non ha nessuna determinazione che gli appartenga in proprio: nessuna pulsione, nessun bisogno, nessun affetto neppure di piacere o di dolore al di fuori del modo in cui essi sono determinati dalle forme di soggettività che esso si limita a supportare, e la cui formazione avviene non già in relazione al corpo, ma in funzione di rapporti di riconoscimento immaginari, regolati dall’«efficacia assoluta» della Legge della Cultura, o del simbolico. Non solo l’«individuo concreto» non ha di per sé stesso, nell’“astrazione” della sua indeterminatezza biologica, alcunché di effettivamente individuale, irripetibile, ma la stessa soggettività, in virtù della propria indifferenza al corpo, non può essere se non una maschera di funzioni sociali oggettive, mero nodo dell’autoriproduzione di una certa formazione sociale. L’individuo deve limitarsi a “supportare” il soggetto, perché quest’ultimo è perfettamente indifferente al corpo su cui si appoggia, non essendo di per sé stesso null’altro che il modo in cui un corpo qualunque viene sussunto alle funzioni sociali stabilite da una struttura sociale data e dalla divisione del lavoro che essa implica. Tra corpo e mente, in una parola, non può esistere nessun dialogo, perché il corpo è muto, e la mente non ha altra voce oltre quella che le viene prestata dalle istanze esterne di cui è la cassa di risonanza. Il discorso dell’inconscio e il desiderio che ne è l’effetto non sono nulla di corporeo, perché non si distinguono dal discorso dell’ideologia: Soggetto fattosi soggetto, Dio padre divenuto uomo, semplice incarnazione di una funzione sociale prestabilita. Quello che superficialmente può apparire come l’intreccio tra un rapporto verticale ed uno orizzontale, intersezione del rapporto tra le istanze psichiche di uno stesso soggetto da una parte e del rapporto tra il soggetto ed altri soggetti dall’altra, non è che la maschera di una relazione verticale di un altro tipo: quella di una struttura sociale con gli elementi interni che essa ricombina conformemente alle proprie leggi, e che non hanno nessuna precedenza o trascendenza rispetto alla struttura in cui sono inclusi. Ne risulta non solo una antropologia piatta, ma soprattutto una concezione schiettamente idealistica: la materia in generale, ed in particolare quella materia vivente che l’individuo biologico è, non hanno alcuna autonomia ontologica od epistemologica, perché non esistono né possono essere conosciute se non come realizzazione di una certa idea, per il modo cioè in cui sono informate da certe strutture ideali, di cui esse –come la “materia prima” Aristotelica‒ sono il semplice sostrato. L’uomo è per natura un animale ideologico, dunque, perché esso non esiste come un soggetto distinto da un individuo biologico se non in quanto momento in cui si esprime l’autoproduzione di una certa totalità organica. Althusser, si sa, è l’autore che più di tutti si è sforzato di separare le sorti del marxismo da ogni tentazione hegeliana e giovane-marxiana. Dietro un’apparente coerenza con la lezione del Capitale, però, la teoria esposta in IAIE, quale può essere riletta attraverso la ricostruzione della propria genesi, finisce per palesare, contro la propria volontà, un senso nascosto. Per la subordinazione della filosofia della natura alla filosofia dello spirito, e all’interno di quest’ultima dello spirito soggettivo allo spirito oggettivo, riecheggia la sistemazione hegeliana messa a punto nella grande Enciclopedia. Per il modo in cui concepisce il corpo come un oggetto sostanzialmente inerte, che non può essere incluso nella sfera della soggettività se non in quanto integrato in una certa collettività e “trasfigurato” dalle pratiche e dai rituali attraverso i quali si esercita l’efficacia assoluta della Legge della Cultura, ricorda la posizione del giovane Marx, quale si è tentato di delineare nell’editoriale di questo stesso numero di Consecutio temporum. La rimozione degli elementi che avrebbero consentito di riempire i vuoti lasciati aperti dal testo di IAIE, la cancellazione della genesi dei concetti che in esso sono esposti, è allora l’unico modo in cui Althusser può produrre la propria “evidenza” materialistica, e dissimulare l’idealismo latente del proprio discorso. Idealismo che pure non è stato privo di effetti sulla posterità althusseriana10.


[1]

  1. Cfr. L. Althusser, Sur la reproduction, a cura di J. Bidet e con un’introduzione di E. Balibar, Paris, 2011. Gli altri testi che utilizzeremo sono i seguenti: L. Althusser, Lire le Capital, Paris, 1973; Id, Psychanalyse et sciences humaines. Deux conférences, a cura di O. Corpet e F. Matheron, Paris, 1996 ; sia Freud et Lacan, sia le Trois notes sur la théorie des discours, sia le Lettres à D…, sia infine La découverte du Dott. Freud sono compresi in Id, Ecrits sur la psychanalyse. Freud et Lacan, a cura di O. Corpet e F. Matheron, Paris, 1993.
  2. Cfr. L. Althusser, Marxisme et humanisme, in «Pour Marx», Paris, 1965.
  3. Ci sembra interessante, il fatto che l’ideologia sia da un lato supposta eterna, e rappresentare quindi una condizione necessaria di qualunque formazione sociale, e che però il campo di applicazione dell’interpellanza sia qui incidentalmente ristretto a quello di una società di classe.  Se si vuole tener fermo che la funzione generale dell’interpellanza sia quella di costituire gli individui in soggetti e di dissimulare il loro assoggettamento, bisogna concluderne che o anche nella società comunista gli individui sono assoggettati, se non ad un padrone, almeno ad un ordine precostituito, oppure che la nozione di interpellanza non riesce a descrivere, almeno nella forma definita da Althusser nel nostro senso, il funzionamento dell’ideologia in generale, né quel suo ruolo possibilmente emancipatore che pure l’autore richiama in altri testi. Su questo punto, ci sembra che quando J. Bidet propone di integrare il concetto di “interpellanza” esplicitamente stabilito da Althusser come funzione di soggettivazione/assoggettamento, coglie un’esigenza interna del pensiero althusseriano. Cfr. su questo punto J. Bidet, Althusser et Foucault, Révolution et Résistance, Interpellation et biopolitique, di prossima pubblicazione.
  4. Come conferma l’ellittica conclusione dell’articolo, secondo Althusser la costruzione di una teoria generale dell’ideologia deve passare attraverso l’integrazione di Marx e Freud, che hanno smascherato l’uno la struttura ideologica di misconoscimento entro la quale il «“soggetto” umano» può essere pensato come il centro della storia, l’altro quel «misconoscimento immaginario» del proprio decentramento che solo consente a quello stesso soggetto di riconoscersi come un Ego (FL,47). Sebbene occultata dalla lettura ideologica che dell’opera freudiana è stata data da tutta una serie di correnti revisionistiche interne alla psicanalisi, e che ne ha favorito usi oggettivamente reazionari, la scoperta dell’inconscio ha dunque una portata realmente rivoluzionaria. Nell’escludere la psicanalisi dall’ambito dei propri riferimenti culturali, la cultura comunista ha scambiato la realtà del pensiero freudiano con l’immagine ideologica restituita nello specchio deformante del revisionismo psicanalitico.
  5. Come vedremo tra breve, il desiderio non è per Althusser un dato biologico. La produzione di forme storiche di soggettività, inoltre, coincide con la produzione di certe configurazioni del desiderio. Ci sembra interessante, in questo senso, la polemica di Althusser contro la riduzione dei traumatismi infantili a delle semplici «“frustrazioni” biologiche», ossia alla repressione di pulsioni di carattere corporeo. Se il desiderio non può essere represso, come si intuisce, è essenzialmente perché esso deve innanzitutto essere prodotto, perché non ha alcuna esistenza separata rispetto alle forme concrete nelle quali viene “indotto”. La polemica contro l’idea di frustrazione e di repressione costituisce, non a caso, uno dei leit-motiv del pensiero più maturo di Foucault, che di Althusser è senza dubbio l’allievo più famoso, e che almeno su questo punto dimostra secondo noi di risentire l’influenza del maestro. Per la polemica di Foucault contro l’idea di repressione, cfr. soprattutto M. Foucault, La volonté de savoir, Paris, 1976, ma anche, ad esempio, Id, Securité, territoir, population, Paris, 2004. Vedi P. Asiai, Foucault croise Marx, ou assonances entre Foucault et Althusser, alla pagina http://stl.recherche.univ-lille3.fr/seminaires/philosophie/macherey/macherey20072008/macherey21052008.html .
  6. Per Rousseau, mi permetto di rinviare a F. Toto, Passione, riconoscimento, diritto nel ‘Discorso sull’ineguaglianza’ di J.-J. Rousseau, in «Post–filosofie. Rivista di pratica filosofica e di scienze umane», n. 4, 2007, e a  Id, Les facultés que l’homme naturel avait reçues en puissance. Riflessione, intelletto, ragione nel ‘Discorso sull’origine della diseguaglianza’ in «Studi settecenteschi», n. 27-28, 2007-2008 (di prossima pubblicazione).
  7. Se Althusser preferisce parlare di Legge della Cultura piuttosto che di un ordine simbolico, o di un ordine del significante, è perché l’ordine che quella legge definisce si confonde certo, nella sua «essenza formale (38), con l’ordine del linguaggio, è bensì formalmente identico all’ordine del linguaggio, ma non si esaurisce nel linguaggio. Legge astratta, che prescinde da qualunque contenuto particolare, la legge della Cultura può includere tra i propri contenuti, oltre al linguaggio stesso, non solo «le strutture reali della parentela, e le formazioni ideologiche nelle quali i personaggi inscritti in queste strutture vivono le loro funzioni» (40n), ma anche una serie di norme o di pratiche (alimentari, igieniche…).
  8. Leggere Althusser dopo Badiou, come è capitato a chi scrive, non può non destare un certo stupore. Chi volesse sfogliare il testo dell’Ethique accanto a quelli di Althusser che stiamo considerando qui non potrebbe non notare, tanto per fare un esempio, una identica impostazione del problema del rapporto tra “animale umano” e “Soggetto, con la differenza in fondo marginale che Badiou inverte la posizione althusseriana, facendo del Soggetto il supporto non di una funzione ideologica, ma di un processo di verità. Cfr. A. Badiou, Ethique. Essai sur la connaissance du mal, Paris, 1993.
  9. Sulla critica della nozione di interdisciplinarità, cfr. L. Althusser, Philosophie et philosophie spontanée des savants (1967), Paris, 1974, passim.
  10. Per quanto riguarda A. Badiou, ad esempio, cfr. F. Toto, La fedeltà e l’evento. Appunti per una critica della teoria del soggetto in A. Badiou, in «Polemos. Materiali di filosofia e critica sociale», n. 2-3, 2010, pp. 190-205.
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