Carlo Scognamiglio, Storia e libertà: quattro passi con Hegel e Tolstoj, Pensa multimedia, Lecce; Rovato 2013

Pierfrancesco Lorenzini

 


STORIA_E_LIBERT__51cbe7b73a91aLo sforzo teorico che ha impegnato Carlo Scognamiglio in Storia e libertà: quattro passi con Hegel e Tolstoj concerne la questione sempre aperta del «nostro rapporto con la storia» (p. 9). L’intento principale è quello di recuperare un ragionamento sul fondamento categoriale della disciplina storica, a partire dal quale sarà possibile riflettere sull’elemento filosoficamente più problematico della storia: la libertà. Il punto è quindi mettere in discussione la prospettiva storiografica contemporanea che appiattendosi sulle fonti documentarie demanda esclusivamente a queste ultime il compito di determinare la struttura del discorso storico. L’impegno filosofico di Scognamiglio consiste nel tentare di dare ragione della relazione dialettica non disgiungibile tra fatti e discorso sui fatti, tra accadimento e narrazione, tra storia e filosofia, tra res gestae historia rerum gestarum. Le prospettive degli autori a cui viene data la parola nel primo capitolo enunciano ragioni, mutamenti, implicazioni e contraddizioni di questo rapporto. La cornice iniziale entro cui muove l’orizzonte critico di Scognamiglio, che definisce comunque «più congeniale al nostro ragionamento il moto dialettico della posizione idealista» (p.38), è quella di Hegel. Lo spirito oggettivo come essenza della Weltgeschichte, concetto che fonda la concezione hegeliana di filosofia della storia, è coinvolto in un confronto serrato con le posizioni di pensatori critici verso tale impostazione, come Hartmann e Croce. La lettura di questi ultimi due autori è utilizzata da Scognamiglio per anticipare il senso della sua posizione finale: la salvezza della libertà. Al di là dello spirito oggettivo, che si realizza come concreta libertà soltanto nell’esclusione della libertà individuale e nella sua riduzione a inessenziale contingenza, Hartmann propone «una concezione pluristratificata del mondo, e dunque della storia» (p. 21), che consideri la realtà come processo in atto di infinite forze eterogenee. Malgrado lo scetticismo che lo porta a «mettere in dubbio ogni pretesa di verità da parte della conoscenza storica» (p. 25), e la consapevolezza «dell’impossibilità di tener dentro ogni considerazione gli infinitesimali del condizionamento reale» (p. 22), Tolstoj, in Guerra e pace, dà il massimo risalto ai “microeventi” da cui è tessuto il grande affresco della storia.

Tuttavia, nonostante il riconoscimento di difficoltà radicali nella riducibilità postulata da Hegel, all’interno della figura dello Stato, tra categorie e fatti, essenziale e inessenziale, sostanziale e accidentale, l’autore presenta argomenti che giustificano una lettura della dialettica hegeliana come strumento che non risolva ma quantomeno esibisca le problematiche più critiche della relazione tra storia oggettiva e soggettiva, storia prammatica e storia filosofica. È un’argomentazione che riflette l’impostazione dialettica hegeliana quella che Scognamiglio rivolge, in apertura del primo capitolo, contro l’interpretazione löwithiana della filosofia della storia come processo moderno di secolarizzazione della fede nella “provvidenza”: teoria che non sfugge all’inevitabilità logica di costituire «un orizzonte in cui lo stesso esercizio genealogico dedicato alla filosofia della storia – che indubbiamente mira a relativizzarne e criticarne le pretese veritative – per costituirsi deve presupporre una concezione filosofica del processo storico» (p. 18).

Il percorso argomentativo del primo capitolo poggia, dunque, su una interlocuzione continua con Hegel. In questo senso viene svolta un’analisi profonda e lucida sull’identificazione hegeliana tra res gestae historia rerum gestarum, storia accaduta e narrata. Per Hegel risulta necessario porre l’accento sul valore del termine stesso di storia che racchiude in sé tanto il lato oggettivo quanto quello soggettivo, per cui le narrazioni risultano essere accadimenti stessi e gli accadimenti ottengono identificazione storica solo se narrati, accaduti nel racconto di una memoria storica comune. Tale memoria non è ricordo e resoconto della singola soggettività, ma struttura interna di un ente che sia unità di dimensione oggettiva e soggettiva. Questo ente storico è sempre lo stato, compimento dello spirito oggettivo che, osserva Scognamiglio, possiamo definire «la determinazione della storia universale: tanto come concreta caduta esistenziale, quanto come costituzione narrativa della memoria di sé» (p. 31). Proprio in virtù della pretesa unità tra storia soggettiva e oggettiva emerge un nuovo problema nel modello idealista hegeliano. Si tratta del residuo di discernibilità tra res gestae e historia rerum gestarum. Che una differenza residui è inevitabile, secondo Scognamiglio, riflettendo sull’ambiguità con cui Hegel tratta il tempo passato: da un lato come ciò che è in sé escluso dall’attualità eterna dello sguardo storico, dall’altro come l’insieme dei momenti trascorsi che comunque sopravvivono nella profondità dello spirito. I fatti, nella concezione hegeliana di una vera filosofia della storia, accadono sempre nell’ora della narrazione, e non possono fondare quest’ultima; ma l’attualità è pur sempre il risultato di un cammino antecedente.

Alla fine di un percorso critico su cui occorre soffermarsi attentamente e a lungo – che coinvolge anche il punto di vista crociano sulla filosofia della storia hegeliana – Scognamiglio enuclea il problema fondamentale del libro, rimasto forse troppo sullo sfondo delle analisi del primo capitolo: a partire dall’affermazione hegeliana dell’attualità della storia che tuttavia non riesce a pensare fino in fondo né l’elemento soggettivo né quello temporale come suoi negativi dialettici, e da un concetto di filosofia della storia che sembra più interessata a dar conto degli elementi categoriali e metafisici della storia che dei suoi “fatti”, i quali pure esistono così come esiste ed è diffusa la storiografia, ci si deve interrogare moralmente su quella che resiste come «la percezione di uno scarto, tra un orizzonte categoriale, essenziale o metastorico, cui il soggetto mira pensando storicamente, pensando la storia, e il sistema di fatti accidentali ed evenemenziali» (p.47).

La questione, come si diceva, riguarda sempre più da vicino l’ambito morale. Con il secondo capitolo del libro, – che Scognamiglio continua a dedicare a un’analisi precisa ma talvolta troppo presente delle teorie dei suoi “interlocutori” principali -, si apre una riflessione sulla relazione tra categorie e fatti, da pensare alla luce dell’unità concepita da Hegel in sede logica tra essenziale e inessenziale. Questo parallelo non costituisce, secondo la ricostruzione dell’autore, un’eccezione: molti sono i luoghi della logica in cui Hegel troverebbe appoggio per i suoi risultati nel campo della filosofia della storia. Secondo la medesima compenetrazione, infatti, che nella Scienza della logica rende conto della non reale contrapposizione tra essenziale e inessenziale, la filosofia della storia pensa la relazione tra storia e mondo attraverso il paradigma teleologico. La ragione è il senso ultimo del mondo, non come senso statico, che in quanto tale escluderebbe una teleologia perché sarebbe eternamente compiuto, ma come senso dinamico, come libero tendere a sé dello spirito. Lo spirito è così il fondamento e il contenuto stesso della storia, ed emerge nello stato e nelle sue istituzioni. È il problema della struttura dinamica ma monolitica dello spirito che interessa l’autore, perché del tutto orientata a giustificare una coincidenza piena tra coscienza e oggetto, storia e suo contenuto spirituale. Nella storia lo spirito si manifesta come ciò che deve conoscere se stesso; il suo fine è necessario e coincide con la realtà in qualunque momento, costituendo una vera e propria teodicea. Il riconoscimento del razionale nel reale trasfigura qualunque ingiustizia, manifestandone il fondamento nell’idea stessa. È a partire da questo ordine teleologico che l’autore giunge allo snodo concettuale etico, che riguarda il sacrificio della libertà personale, nell’idea di filosofia della storia di Hegel, come prezzo da pagare per l’affermazione dell’universale libertà da conseguirsi all’interno dello spirito oggettivo. La libertà dello spirito, che nella storia conosce se stesso in una perenne tensione al perfezionamento, manca, come è rilevato da Scognamiglio facendo riferimento all’analisi di Hartmann sulla teleologia aristotelica – che è caratteristicamente orientata sul modello umano del processo noetico e poietico – del carattere predittivo, essenziale nel concetto di libertà della persona. Per l’autore si tratta pertanto di operare «una scelta: la teleologia cosmica o la teleologia umana; esse si escludono reciprocamente, non possono coesistere, l’una annulla l’altra» (p. 81); è dunque il pensare lo stato come vita morale esistente che unisce la volontà universale e la volontà soggettiva a costituire lo sfondo problematico morale che Scognamiglio considera come difficoltà della reale determinazione di una libertà soggettiva. Quest’ultima non può essere soffocata dalla necessità della ragione. Si tratta di valutare, insomma, fino in fondo, le implicazioni dell’idea di Hegel per cui la subordinazione della volontà umana alle leggi dello stato farebbe scomparire concretamente l’antitesi tra libertà e necessità.

Il dilemma della libertà personale è dunque il compito di indagine del terzo capitolo, in cui diventa dirimente, al fianco di Hegel, la figura di Tolstoj. Scognamiglio presenta la visione della storia, esposta dallo scrittore russo nell’epilogo di Guerra e pace, come oscillante «tra una metafisica teleologica e un causalismo meccanicistico» (p. 87). Per Tolstoj è essenziale distinguere tra l’uomo che vede nella storia un causalismo insensato e Dio, il cui disegno governa la storia senza lasciarsi ascrivere in alcuno schema categoriale. Causalità e necessità sono categorie modali della ragione e non riguardano il divenire nella sua struttura ontologica. Si torna, con Tolstoj, a una concezione della storia che, nonostante le differenze inconciliabili con il pensiero hegeliano,  recupera l’idea per cui il divenire storico risolverebbe, in conclusione, ogni soggettività così come ogni forma di discrezione fenomenica in un’unica, continua oggettività. Nella concezione di Tolstoj, così come era accaduto per quella di Hegel, Scognamiglio ritiene che sia possibile rilevare la stessa aporia radicale: la determinazione dell’arbitrio personale tende comunque a eccedere la storia, sia se consideriamo quest’ultima come mera, continua effettualità, sia se la consideriamo come affermazione di una ragione necessaria e universale. Ma per Tolstoj la libertà della persona è illusoria, così come lo spettro della molteplicità delle possibilità future, generato dall’attività astraente del nostro pensiero, incapace di cogliere le infinite catene di condizioni dei fatti. A resistere, in questa visione, è tuttavia il sentimento della libertà, fatto incontestabile e quindi a sua volta necessario nella storia dell’uomo, che sarebbe annientato nella propria esistenza dal pensiero di una verità storica come continua, universale, auto-determinantesi necessità.

L’intero percorso del libro è dunque orientato a presentare la suggestione dell’autore, concepita come richiamo al tener conto dell’atto volitivo che riguarda la coscienza in relazione alla propria libertà. La libertà della persona deve essere accolta come un “voluto”, oltre la dialettica hegeliana, che nel pensarla razionalmente finisce, in fondo, per annullarla. Scognamiglio riserva pertanto all’ethos filosofico il dovere di «volere la libertà della persona, pur non potendola accogliere razionalmente» (p. 111). Questa tesi finale rimane, tuttavia, un qualcosa di solamente suggerito. L’autore ha cercato, in fondo, soprattutto rispetto alle posizioni sull’identificazione razionale e dialettica tra soggetto e oggetto, essenza ed esistenza, necessità e libertà, di mostrare come residui sempre una difficoltà decisiva e probabilmente inaggirabile: quella che si trova «nella scissione radicale tra arbitrio e libertà» (p. 107), che la tesi di una storia priva della singolarità determinante dell’uomo produce.

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