Fabio Ciaramelli
1. La psiche come categoria filosofica.
Fra i “testi filosofici inediti”, redatti da Cornelius Castoriadis tra il 1945 e il 1967 ma pubblicati solo nel 2009 da Nicolas Poirier1, autore egli stesso di una lunga e importante monografia sull’ontologia politica di Castoriadis2, c’è una prima versione di “Marxisme et théorie révolutionnaire”, cioè dello scritto pubblicato tra il 1964 e il 1965 negli ultimi numeri di Socialisme ou Barbarie e poi confluito nel 1975 in L’institution imaginaire de la société, di cui costituisce la prima parte3. Nella versione da poco pubblicata, e in modo particolare nelle sue pagine introduttive sulla critica dell’alienazione come concetto teologico4, Castoriadis tematizza il rapporto inaugurale tra la psiche come “immaginazione radicale” e il desiderio, in modo da mettere esplicitamente in luce il carattere fantasmatico della “fase originaria” che successivamente verrà presentata come chiusura monadica della psiche su sé stessa. “Il nucleo monadico del soggetto originario” recita infatti il titolo del paragrafo forse più significativo del penultimo capitolo dell’opus magnum del 1975, nel quale l’autore fornisce la sua rilettura complessiva dell’eredità freudiana5; poche pagine prima, vi si possono leggere queste eloquenti righe introduttive: “L’essenziale del lavoro di Freud è probabilmente consistito nella scoperta dell’elemento immaginario della psiche, cioè nel mettere a nudo le dimensioni più profonde di ciò che qui io chiamo l’immaginazione radicale. Ma si può dire altrettanto fondatamente che una gran parte della sua opera tende o conduce ineluttabilmente a ridurre, misconoscere e occultare il nuovo ruolo dell’immaginario. Nell’atmosfera positivistica che lo circondava e che lo ha influenzato profondamente fino alla fine – e dietro la quale ovviamente sta la metafisica tradizionale, l’essere-determinato, le cause che diventano forze, i fini che diventano ‘princìpi’ – Freud ha cominciato con il cercare i fattori ‘reali’ in grado di render conto della storia della psiche, della sua organizzazione, nonché infine del suo essere”6.
Ebbene, dalla lettura delle pagine dei primi anni Sessanta, rimaste a lungo inedite, emerge in modo evidente che, secondo Castoriadis, il primo fattore ‘reale’ a dover essere ricondotto al lavorio dell’immaginazione radicale è la psiche stessa, la sua chiusura “monadica”, la coincidenza di desiderio e sua realizzazione che la costituisce. Perché si produca l’accesso della psiche al mondo comune, è indispensabile l’elaborazione del lutto, il quale in tanto può prendere di mira l’onnipotenza dei desideri, in quanto solo a livello immaginario quest’ultima costituisce il nucleo della psiche come istanza radicale di singolarità. Rispetto alle analisi pubblicate sia nella prima sia nella seconda parte di L’istituzione immaginaria della società, alle quali sostanzialmente s’attiene anche l’opera successiva7, dallo scritto rimasto a lungo inedito, attraverso l’esplicitazione del carattere smisurato e perciò tragico del desiderio psichico, emerge un’originale accentuazione di quest’ultimo come oggetto inaugurale e necessario del lutto. La delucidazione di questo passaggio concettuale chiarisce che la concezione del desiderio psichico, fatta propria da Castoriadis, risulta esplicitamente irriducibile alla tradizionale riconduzione del desiderio al ritrovamento dell’oggetto perduto. Il nucleo teorico decisivo di queste pagine mira perciò esattamente a mettere in luce le ragioni strutturali che impediscono al desiderato di coincidere con un qualunque oggetto venuto solo accidentalmente a mancare, che si tratterebbe perciò di ritrovare, recuperare o ripristinare. L’analisi si concentra dunque sullo statuto dell’attività psichica originaria in cui consiste il desiderio ma in cui al tempo stesso si radica la necessità del lutto che rende possibile la relazione tra desiderio e istituzione (nomos), senza di cui la psiche non potrebbe sopravvivere. La necessità del lutto nasce dunque dalla struttura stessa della psiche come desiderio smisurato.
Nel lutto, indagato negli scritti inediti come l’interfaccia del desiderio, è in gioco il precoce avvertimento di questa perdita della propria pienezza immaginaria da parte della psiche. In tal modo, si viene a contatto, nella genesi del pensiero di Castoriadis, con lo statuto propriamente filosofico della categoria di psiche, le cui implicazioni superano di gran lunga la “psicologia” e coinvolgono esplicitamente l’ontologia, a patto che quest’ultima non sia fatta consistere nell’illusione d’un rapporto immediato e trasparente all’essere in sé; al contrario, il senso dell’ontologia consiste nel mettere a fuoco la complessità e la stratificazione del nostro modo di avere accesso al reale, dentro e fuori di noi. L’opera propria della psiche consiste esattamente nell’elaborazione di questo accesso, che non potrebbe aver luogo senza la socializzazione della psiche stessa, resa possibile dall’elaborazione del lutto. Ne consegue che, nella prospettiva della psiche come radicale istanza di singolarità, l’essere – cioè la realtà extrapsichica cui avere accesso – è anzitutto costituito dalla società. Per approdarvi la psiche non realizza un passaggio automatico, ma intraprende un’elaborazione creativa. Il che è reso possibile dallo statuto poietico della psiche, la cui creatività è originariamente e radicalmente immaginaria, dal momento che consiste nel far emergere immagini attraverso cui la realtà in senso lato acquista senso.
2. Il fantasma dell’essere pieno.
Lo specifico della psiche come luogo del senso viene completamente frainteso se si trascura l’intreccio originario di desiderio psichico e immaginazione radicale che costituisce il nucleo delle pagine inedite sull’alienazione. Il punto di partenza del ragionamento di Castoriadis è qui la necessità di far emergere e demistificare il “fantasma dell’essere pieno” o “fantasma autistico primario” che mentre postula “una ipseità libera e trasparente”, al tempo stesso proclama che essa non appartiene a noi esseri umani limitati e finiti, condannati perciò all’alienazione, cioè a una sorta di insuperabile inferiorità metafisica che costituirebbe il destino della psiche umana8. Questo riconoscimento – circonfuso di rammarico – della nostra limitatezza e imperfezione non sarebbe neanche possibile senza presupporre, dandola per scontata, la pienezza dell’essere come dato ‘reale’ o ‘effettivo’, rispetto alla cui (ovviamente presunta) compiutezza metafisica la situazione concreta dell’esistenza umana, essa sì reale ed effettiva, risulta fatalmente difettiva e perciò del tutto insoddisfacente. Come va inteso lo scarto tra l’immaginaria pienezza ontologica, cui non mancherebbe nulla, e la realtà del soggetto concreto, intessuta di privazioni e limiti?
La pienezza originaria su cui tutto si fonderebbe – in modo particolare l’assunto della difettività ontologico-metafisica, attribuita al soggetto – in tanto può esser definita presunta e dunque immaginaria, in quanto non è in alcun modo una constatazione, un’esperienza, un vissuto o un dato primario. In definitiva, quella pienezza ontologica non è altro che il contenuto immaginario fondamentale del desiderio psichico, e in questo senso è talora detta “irreale”, perché estranea alla realtà concretamente vissuta nel mondo comune. “E’ chiaramente da questo desiderio smisurato che il soggetto incomincia: come fantasmatizzazione illimitata veicolata da questo desiderio, relativamente a cui un intero versante della realtà vissuta come intollerabile viene denegato, rigettato, escluso. Questo atteggiamento sopravvive, pur subendo una trasformazione essenziale, nei significati immaginari sociali. In essi, il diniego non è più semplice diniego, ma diventa accettazione a parole del reale in quanto realtà inferiore, dominata da una meta-realtà che appagherebbe il desiderio. Ecco ciò che Freud chiamava Wunschkompensatorische Phantasien, i fantasmi di compensazione del desiderio (G.W. VIII)”9. La funzione compensativa dei fenomeni culturali come la religione o l’arte, e dei significati immaginari sociali che li costituiscono, è alla base dell’osservazione freudiana, qui richiamata da Castoriadis, secondo cui «le nevrosi si sono rivelate tentativi di risolvere a livello individuale i problemi della compensazione di desiderio che le istituzioni devono risolvere a livello sociale »10.
C’è dunque una reciproca corrispondenza tra la forza poietica del desiderio psichico e la creazione sociale dei significati immaginari. Questi ultimi sono dotati di effetti storici, perché costituiscono produzioni collettive di senso capaci di fornire al desiderio degli individui socializzati immagini socio-culturali idonee a mobilitarne le energie psichiche. Ma questa attitudine dei significati sociali a colmare un’esigenza della psiche singola non va confusa con la pretesa di quest’ultima d’esserne la sorgente autoreferenziale. Al contrario, la fonte dei significati sociali è sempre al di là della psiche singola, che da sola, per ragioni strutturali, può tutt’al più produrre fantasmi privati, ma non significati pubblici capaci di oggettivarsi in istituzioni.
Anche queste ultime, tuttavia, s’originano nell’immaginario: ma nella dimensione collettiva di quest’ultimo, e non nella sua componente individuale. Ed è esattamente la sorgente immaginaria delle istituzioni, cioè l’intervento umano nella creazione sociale dei significati, che la tradizione metafisica tende a disconoscere e negare. L’alienazione consiste esattamente in questa subordinazione della responsabilità umana, individuale e sociale, all’anonimato dell’immaginario sociale, disconoscendo il carattere istituito di quest’ultimo e perciò denegando il ruolo attivo del desiderio nella elaborazione di questa subordinazione.
A questo riguardo Castoriadis osserva che tanto nella religione tradizionale – che teorizza nell’essere umano una difettività metafisica e perciò la dipendenza assoluta nei confronti del trascendente – quanto nella cultura moderna secolarizzata – nella quale la struttura trascendentale della soggettività continua a riferirsi implicitamente al medesimo fantasma di pienezza a cui sarebbe subordinata la finitezza umana – il rapporto tra umanità e istituzione del senso è stato generalmente interpretato in termini alienanti. Infatti, l’esistenza umana in ciascuno dei due casi appare sprovvista di creatività e perciò in posizione di dipendenza rispetto a un’alterità immaginaria da cui proviene unilateralmente la determinazione del senso. Senonché questa esclusione d’un attivo intervento umano nel processo di produzione del senso, lungi dall’essere la registrazione di una situazione vissuta o reale, è una costruzione immaginaria, attraverso la quale l’umanità declina la propria responsabilità nella creazione e istituzione anonima e collettiva dei significati sociali e culturali che fanno umana la vita, li pone come costanti naturali, rivelazioni divine, strutture trascendentali e si aliena – cioè si sottomette – a codesta loro presunta oggettività universale e necessaria.
Nella struttura dell’alienazione va perciò sottolineato l’intervento attivo del desiderio. E’ la creatività fantasmatica di quest’ultimo che svolge un ruolo centrale nel processo di produzione dell’Altro come luogo trascendentale dei significati che strutturano l’esistenza umana e a cui quest’ultima viene sottomessa. Il criterio standard o l’unità di misura del senso da attribuire alla vita umana e al mondo viene in tal modo collocato in una dimensione estranea al vissuto individuale e collettivo, in una dimensione che perciò può esser definita irreale, in rapporto alla quale la realtà concreta – la situazione vissuta dai soggetti – appare come una “somma di determinazioni negative affettivamente colorate in termini di privazioni e mancanze”11. In questa coloritura affettiva, comportante il rammarico o il rimpianto per ciò che avremmo desiderato di essere e non siamo, è all’opera la dimensione nostalgico-melanconica del desiderio psichico, incapace di “accettare il soggetto per ciò che è” e di conseguenza mosso dalla “ricerca di una rassicurazione fantasmatica” e dalla “rabbia contro la sua impossibilità”12.
La tesi superficialmente ritenuta “filosofica”, che postula l’assoluta insignificanza del mondo o la totale assurdità del finito, ha le medesimi radici psichiche. “Come non si può dire del soggetto che esso sia ‘mancanza a essere’, allo stesso modo non si può dire del mondo che esso sia ‘mancanza di senso’, senza dimostrare che si continua a prendere i propri desideri per realtà. ‘Il mondo non ha senso’, questa idea significa solo sulla base di quest’altra, che essa presuppone: ‘il mondo potrebbe e dovrebbe avere un senso’. Gli atteggiamenti più sofisticati della filosofia più ‘radicale’ perpetuano il più arcaico infantilismo, secondo il quale il mondo, oggetto che ci è dato, non è quello che noi avremmo voluto. Ci era dovuto un mondo corrispondente al nostro desiderio. Solo un tale mondo ‘avrebbe senso’ – cioè si troverebbe al suo posto nel riparo fantasmatico scavato dal desiderio, venendo a inserirsi là dove doveva stare, senza eccesso né mancanza, nello schema proiettivo costituente il proto-soggetto”13. Un’impostazione del genere è insostenibile, a prescindere dalla qualifica effettiva dell’esperienza del mondo, perché il fatto stesso di enunciare una simile tesi tradisce la persistenza del narcisismo primario e di conseguenza l’incapacità di uscire dalla sua autoreferenzialità tutta dominata dall’onnipotenza dei desideri. Questa persistenza rende impossibile e contradditorio ogni tentativo di esprimere un giudizio sul valore o sul senso del mondo esterno, dal momento che il narcisismo primario non conosce altro punto di riferimento se non l’autoreferenza della psiche, caratterizzata dalla coincidenza immediata, ma solo fantasmatica, tra desiderio e sua realizzazione.
“A questo stadio – continua Castoriadis –, il ‘senso’ dell’oggetto è la sua posizione relativamente al desiderio, e l’esigenza del desiderio è che l’oggetto gli corrisponda o lo colmi; questa articolazione costituisce la significatività. L’oggetto mancante o inadeguato è l’infelicità del desiderio inappagato; l’oggetto sempre presente (non importa se positivo o negativo) e sempre pieno di senso, è la piscosi. Questo vicolo cieco è sormontato dalla maggioranza dei bambini ed in via eccezionale da una piccola minoranza di pensatori. La maturazione dell’individuo, l’assunzione della realtà della propria esistenza da parte del singolo essere umano non può aver luogo se non sulla base dell’accettazione di questo fatto ‘primario’: il mondo non è l’oggetto del mio desiderio ma qualcosa di radicalmente altro”14. Nasce da qui la necessità della socializzazione come fuoriuscita del desiderio psichico dalla sua fantasia solipsistica.
Ecco il contesto in cui fa la sua comparsa l’elaborazione del lutto, a cui si deve il superamento della chiusura in sé del desiderio. Senza questa sua estroversione, la psiche non potrebbe avere accesso al mondo comune, ma resterebbe imprigionata nel suo mondo immaginario; il desiderio si atrofizzerebbe e sarebbe destinato all’estinzione. In questo senso, Castoriadis dirà che, in virtù della sua natura immaginaria, la psiche umana, lasciata a sé stessa, è inadatta alla vita; solo la socializzazione, attraverso l’elaborazione del lutto, oltrepassa questa inettitudine a vivere propria del desiderio psichico solipsistico.
3. La dismisura del desiderio come vero oggetto del lutto.
Senonché anche il lutto, indispensabile premessa della transizione al mondo comune e pubblico, è messo in opera dall’immaginario, perché la psiche non potrebbe elaborarlo senza l’investimento delle proprie energie in significati sociali immaginari, che si situano oltre la sfera autoreferenziale del desiderio solipsistico, confinato nell’ambito privato dell’immaginazione radicale della psiche singola.
L’elaborazione del lutto comporta esattamente il passaggio dell’immaginazione radicale propria di quest’ultima alla sfera pubblica dell’immaginario sociale, che permea di sé l’intera estensione della società; in tal modo, attraverso il lavoro del lutto, e la conseguente scoperta del carattere fantasmatico della pienezza ontologica da cui l’essere umano rimpiange d’essersi separato, s’accede alla realtà comune, extrapsichica e quindi sociale, che viceversa nella fantasia solipsistica viene negata ed esclusa. Questa saldatura tra singolarità della psiche e mondo esterno delle istituzioni sociali non è la conseguenza d’un ragionamento teorico né tantomeno della scoperta “scientifica” d’uno stato di cose oggettivo. Non si tratta neanche della realizzazione d’un progetto precedentemente elaborato da una coscienza lucida e consapevole dei suoi movimenti. Il passaggio dall’immaginazione psichica all’immaginario sociale precede l’avvento della razionalità astratta, la scoperta scientifica della realtà e l’intervento della coscienza. Castoriadis esclude esplicitamente che le istituzioni sociali e la loro normatività siano costruibili sulla base di una qualche “attività cosciente di istituzionalizzazione”15. In questo senso, dire che la loro fonte è l’immaginario sociale, radicato nella estroversione della immaginazione radicale della psiche e dunque nella sua socializzazione, significa riconoscere che questa fonte travalica “la coscienza lucida degli uomini quali legislatori”16, e perciò chiama in causa “la funzione immaginaria dell’inconscio”17, cioè un’operazione irriflessa e anonima che permea di sé l’intera estensione sociale. Per avere accesso al mondo comune dei significati sociali e delle istituzioni, il legame del desiderio deve perciò trasformarsi. Questo suo radicamento nell’inconscio, nel passaggio dall’immaginazione radicale della psiche singola all’immaginario sociale, non potrà essere completamente reciso e continuerà a manifestarsi nel carattere anonimo del collettivo sociale.
Scrive ancora Castoriadis: “Se il passaggio che osserviamo qui è l’equivalente, sul piano del rapporto al mondo, della risoluzione del complesso di Edipo, ciò che esso presuppone, cioè l’instaurazione di un fondo neutro nell’oggettività, precede sicuramente l’Edipo. Già in una fase pre-edipica l’individuo deve cominciare a riconoscere che c’è, come prima falda costitutiva del mondo, non già il senso o il non-senso, ma innanzitutto l’a-senso. Il superamento della fase in cui tutto deve avere un significato implica che, in un certo modo, l’individuo debba elaborare il lutto del mondo del desiderio così come si è costituito nella prima infanzia. Elaborare questo lutto implica fino a un certo punto elaborare il lutto del desiderio stesso”18. L’oggetto del lutto è dunque la primordiale costruzione fantasmatica del desiderio psichico consistente nella pretesa d’un senso onnipervasivo e perciò coestensivo alla stessa psiche. La fase “in cui tutto deve avere un significato”, caratterizzata dalla coincidenza primaria di desiderio e sua realizzazione, è costitutiva del mondo del desiderio, la cui pienezza immaginaria deve necessariamente essere relativizzata perché la psiche possa uscire dalla sua chiusura in sé stessa. Il riferimento di Castoriadis ad una dimensione pre-edipica caratterizzata dalla neutralità rispetto al senso implica dunque il carattere immaginario – perché prodotto dalla creatività del desiderio psichico – della posizione primitiva d’una pienezza integrale del senso, ma al tempo stesso il carattere altrettanto immaginario della sua simmetrica negazione totale. Questo predominio dell’immaginazione radicale cessa solo quando la psiche è costretta ad accettare che il senso non è totalmente dipendente dal desiderio. Castoriadis chiama “a-senso” questa “falda costitutiva del mondo” in cui s’interrompe l’autorefenzialità totalizzante del desiderio e può emergere lo spazio mentale “neutro” della presentazione di oggetti provvisti di senso o privi di senso, ma in ogni caso riferibili ad una significatività extra-psichica.
Se il fantasma primario della psiche è la coincidenza tra desiderio e sua realizzazione, solo l’elaborazione del lutto come lutto avente per oggetto la subordinazione originaria del senso al desiderio può far emergere lo spazio neutro in cui di volta in volta attribuire o negare – e mai in modo totale e definitivo – senso all’essere-così-e-non-altrimenti del mondo. Subito dopo aver precisato che, fino a un certo punto, l’oggetto del lutto è lo stesso desiderio nella sua immaginaria coincidenza con la propria realizzazione, Castoriadis aggiunge: “Torneremo in seguito su questo punto. Quel che occorre notare fin da ora è il fatto che ancora una volta sono qui in gioco le enormi difficoltà della sublimazione e che, proprio quando l’individuo fa essere il mondo del desiderio come mondo immediato, si rifiuta di farlo integralmente”19. Attraverso il rimando alla sublimazione e alle sue difficoltà si chiarisce che nell’elaborazione del lutto è in gioco l’intera questione della socializzazione della psiche20. Ma soprattutto qui Castoriadis intende richiamare l’attenzione sull’impossibilità effettiva di un appagamento diretto e immediato del desiderio psichico, dal momento che la pura coincidenza di desiderio e realizzazione è fin dall’inizio una pretesa immaginaria della psiche, che non va assolutamente confusa con l’ambito delle esperienze concretamente vissute.
L’irrealizzabilità della pretesa dell’immaginazione radicale – dominata dalla figura fantasmatica d’un desiderio a priori realizzato – conferma che la caratteristica fondamentale di quest’ultimo è la sua dismisura (la hybris della tragedia attica) – così come l’esprime in forma esplicita non solo la tragedia classica, su cui Castoriadis si dilungherà in molti passi dell’opera matura21, ma anche la tragedia moderna, alla quale si riferiscono le pagine da poco pubblicate che qui stiamo commentando, in cui il riferimento è a Macbeth22: “Quando Macbeth accusa la vita d’essere un racconto raccontato da un idiota, che proprio per questo non significa nulla, la tragedia è nella sua verità, giacché la sua funzione consiste anche nell’esprimere il desiderio, la sua dismisura – la hybris – e la rabbia del suo fallimento – e la contingenza del destino – e attraverso questa catarsi di educare alla realtà. Nella tragedia e attraverso la tragedia la collettività rielabora il lutto dei suoi desideri come desideri e si convince una volta di più che quel lutto doveva essere elaborato”23.
Come poi si chiarirà molti anni dopo in uno dei Seminari sulla creazione umana24, la tragedia in quanto arte è anch’essa una forma di techne, e come ogni techne, aristotelicamente, “o imita la natura o realizza ciò che la natura non potrebbe portare a compimento”25: in questo caso il sovrappiù della tragedia che fuoriesce dal novero delle potenzialità già contenute nella physis, è esattamente la catarsi, cioè l’educazione della psiche alla realtà attraverso l’elaborazione d’un lutto originario, avente come oggetto la dismisura stessa del desiderio.
4. “La psiche è il proprio oggetto perduto”.
Tornando ora al tema dell’alienazione, Castoriadis chiarisce che essa non è costituita né dalla mancanza come tale né tantomeno dall’immaginario che domina l’umanità, cioè che domina sia la struttura della psiche singola sia la componente simbolica e normativa della società. “Il soggetto umano è ciò a cui manca sempre qualcosa, ciò che non può manifestarsi se non come bisogno e come desiderio, il che sempre lo immerge nel fare. Il soggetto umano è, dunque, inseparabile da questa mancanza, in un certo senso ‘è’ questa mancanza, il che significa che non ‘è’ nel modo in cui qualunque altra cosa possa essere. E’, come dice Jacques Lacan, ‘mancanza a essere’. Senonché, l’alienazione non è questa ‘mancanza a essere’ come tale. Essa invece consiste nell’incapacità di assumere questa ‘mancanza a essere’, equivale al suo travestimento in un essere che si dia come reale […] L’alienazione non è la temporalità e non è la morte: è viceversa le maschere sovrapposte alla temporalità e alla morte, il rifugio ricercato in un immaginario intemporale e immortale […] E coloro che dicessero: l’alienazione è insopprimibile perché l’uomo è una mancanza a essere, dicendolo dimostrerebbero di essere prigionieri di questo stesso processo alienante. Infatti questa idea non ha senso se non basandosi sull’idea che vi sarebbe, che potrebbe esservi un soggetto che non sia mancanza a essere, che sia pieno, mentre l’uomo non lo è: ma un’idea del genere, a sua volta, non ha senso se non presupponendo Dio”26.
Nella definizione lacaniana di “mancanza a essere”27, che Castoriadis sembra accettare solo in riferimento all’elaborazione immaginaria del desiderio, c’è il rischio di “costituire l’uomo” ricorrendo di fatto implicitamente ancora una volta a un concetto di essere pieno, inalterabile, immobile, estraneo all’esperienza concreta, nella quale, invece, ciò che è da pensare è proprio la fenomenalità, l’alterazione, l’incompletezza dell’essere o l’essere come fenomenalità, alterazione, incompletezza. Evocando la bella immagine kantiana28 della colomba in volo che vagheggia il vuoto, quando, stanca del suo affannoso batter d’ali, ha l’impressione che se non ci fosse l’aria, volerebbe più veloce, Castoriadis aggiunge: “E’ sempre la stessa illusione della colomba quando s’immagina che volerebbe meglio nel vuoto, l’illusione di un atteggiamento speculativo che vuol sottomettere tutto alle proprie norme e alla propria mira di un universo restless, senza residui”29.
Alla base dell’illusione teoretico-speculativa occorre dunque riconoscere il carattere indistruttibile del desiderio psichico, a cui Castoriadis si riferisce di nuovo citando l’ultima frase de L’interpretazione dei sogni per mettere in guardia da una lettura psicoanalitica secondo la quale saremmo insormontabilmente radicati “in un primo desiderio che ha forgiato per sempre la nostra esistenza”30. Ecco il testo di Freud: “Rappresentandoci il desiderio come appagato, il sogno ci porta verso il futuro; ma questo futuro, considerato dal sognatore come presente, è modellato dal desiderio indistruttibile a immagine di quel passato”31.
Ciò a cui ci sottrae, attraverso l’elaborazione del lutto, l’accesso al mondo comune, è esattamente la subordinazione vita natural durante al carattere paralizzante e già determinato d’un passato senza tempo in cui presumemmo di vivere una volta per sempre l’esperienza compiuta dell’appagamento originario. Se le cose stessero come ce le rappresenta il sogno, tutta la vita umana sarebbe dominata dall’oggetto che manca, dal primo oggetto perduto per sempre, che costituirebbe e fisserebbe il desiderio, rendendolo indistruttibile ma infinitamente vano. Alle letture regressive del desiderio psichico, che lo subordinano alla nostalgia regressiva dell’origine e al suo potere deprimente, Castoriadis obietta che la perdita dell’oggetto primario, appartenente in generale all’intero ambito del vivente pre-umano, non è in grado di caratterizzare la specificità dell’esistenza umana. Ciò che fa umana la vita biologica non è la realtà dell’oggetto perduto ma l’istituzione dei significati sociali che gli danno senso. L’oggetto perduto è reso davvero tale in senso propriamente umano in virtù della sua inscrizione specifica nel campo della psiche, che lo costituisce come oggetto mancante perché lo desidera.
Nella dimensione originaria dell’immaginazione radicale costituente la psiche singola, il desiderio precede la mancanza ed è la condizione di possibilità del suo avvertimento e perciò del suo stesso essere. L’oggetto perduto è psicoanaliticamente tale in quanto viene costituito come oggetto che manca al desiderio In questa costituzione – al tempo stesso immaginaria e simbolica – dell’oggetto perduto Castoriadis individua la genesi del soggetto. E lo fa riferendosi al celebre gioco del rocchetto di cui parla Freud in Al di là del principio di piacere32; ciò che in questo citatissimo esempio lo colpisce “è la costituzione di un campo immaginario – quello del gioco – in cui il soggetto si pone come padrone della scomparsa e dell’apparizione dell’oggetto”, facendo di conseguenza del rocchetto un simbolo della madre. “La costituzione di questo campo immaginario è ovviamente orchestrata dal desiderio – desiderio della presenza dell’oggetto, desiderio che la sua assenza cessi. Il bebé è dunque dominato dal desiderio. Se si fermasse qui, si limiterebbe a urlare e succhiare il pollice. Inventando il gioco consistente nel lanciare il rocchetto e nel farlo poi ritornare a suo piacimento, il bebé non attesta soltanto che il il desiderio lo domina e che egli desidera di padroneggiare l’oggetto. La sua invenzione attesta molto di più: essa infatti testimonia anzitutto il suo desiderio di padroneggiamento del desiderio. Testimonia inoltre la sua situazione di creatore di senso: la simbolizzazione […] della madre attraverso il rocchetto è costituzione di una costante (immaginaria) tra i due insieme differenti della scomparsa-apparizione (subita) della madre e della scomparsa-apparizione (provocata) del rocchetto. Ciò che costituisce la storia umana appare in modo nucleare ma già totalmente in questo esempio”33.
Lo specifico dell’essere umano non è né la perdita dell’oggetto amato né il rimpianto o la lamentela per questa perdita, ma l’infinita varietà dei modi con i quali la creatività dell’immaginario vi risponde, creando lo spazio del senso e costruendo i propri simboli in forme di volta in volta diverse e irriducibili, che tuttavia rimandano a una medesima situazione di partenza, in cui l’essere umano non è ne puramente costituito né puramente costituente: è invece “nel modo del prodotto produttore, del creatore creato”34.
La formula a lungo rimasta inedita del lutto avente per oggetto il desiderio stesso nella sua immaginaria pienezza presuppone la tesi del carattere fantasmatico di questo appagamento originario. L’elaborazione del lutto prendendo di mira il fantasma dell’essere pieno, produce l’ a-senso di questa “prima falda costitutiva del mondo”, sulla cui base sarà possibile la creazione sociale dei significati. In questo senso, come Castoriadis scriverà in L’istituzione immaginaria della società, “la psiche è il proprio oggetto perduto […] Questa perdita di sé, questa scissione in rapporto a sé, è il primo lavoro imposto alla psiche dalla sua inclusione nel mondo; e accade che essa rifiuti di compierlo”35.
L’elaborazione del lutto, grazie all’oltrepassamento del fantasma della pienezza che imprigiona la psiche nella sua solitudine, costituisce la condizione indispensabile perché tra desiderio e nomos possa evitarsi un’esclusione reciproca36.
- Cf. C. Castoriadis, Histoire et création. Textes philosophiques inédits (1945-1967), réunis, présentés et annotés par N. Poirier, Seui (Collection “La couleur des idées”), Paris 2009 ↩
- Cf. N.Poirier L’ontologie politique de Castoriadis. Création et institution, Payot (Collection “Critique de la politique”), Paris 2011. ↩
- Cf. C. Castoriadis, L’institution imaginaire de la société, Seuil (Collection “Esprit”), Paris 1975, pp. 13-230. Questa prima parte, per una scelta dirimente della casa editrice, non fu inserita nell’edizione italiana: cf. C.Castoriadis, L’istituzione immaginaria della società, a cura di F. Ciaramelli, Introduzione di P.Barcellona,Bollati Boringhieri, Torino, 1995. Qualche anno dopo, metà del secondo capitolo e tutto il terzo e ulimo capitolo della prima parte dell’edizione originale, dedicati rispettivamente all’alienazione e al rapporto tra istituzione e immaginario, sono stati pubblicati in versione italiana in C.Castoriadis, L’enigma del soggetto. L’immaginario e le istituzioni, a cura di F.Ciaramelli, Dedalo, Bari 1998, rispettivamente alle pp. 165-180 e 31-95 ↩
- Cf. C.Castoriadis, Histoire et création, cit., pp. 153-181 ↩
- Cf. C.Castoriadis, L’istituzione immaginaria della società,cit., pp. 170-178 ↩
- C.Castoriadis, L’istituzione immaginaria della società,cit., p. 153. ↩
- Per una discussione d’insieme, mi sia consentito di rimandare al mio saggio “Intorno a Castoriadis” in F.Ciaramelli, Lo spazio simbolico della democrazia, Città aperta, Troina 2003 ↩
- C. Castoriadis, Histore et créatiom, cit., p. 153 ↩
- C.Castoriadis, Ibid., p. 156 ↩
- S.Freud, Das Interesse an der Psychoanalyse, G.W., VIII, p. 416, trad. it. L’interesse per la psicoanalisi, in Opere di Sigmund Freud, a cura di C.Musatti, Boringhieri, Torino 1966 sgg., vol. 7, p. 269. Cf. C.Castoriadis, L’istituzione immaginaria della società, cit., p. 161. ↩
- Histoire et création, cit., p. 158 ↩
- Ibid., p. 158 ↩
- Ibid., pp. 158-159 ↩
- Ibid., p.159 ↩
- C.Castoriadis, L’enigma del soggetto, cit., p. 52 ↩
- Ibid., p. 52 ↩
- Ibid., p. 167 ↩
- Ibid., p. 159 ↩
- Ibid. ↩
- Nel paragrafo di L’istituzione immaginaria della società intitolato per l’appunto “La sublimazione e la socializzazione della psiche”, Castoriadis scrive: “La sublimazione è il processo attraverso il quale la psiche viene forzata a sostituire i suoi ‘oggetti propro’ o ‘privati’ d’investimento (compresa la sua ‘immagie’ per sé stessa) con oggetti che sono e valgono entro e attraverso la loro istituzione sociale, e a rendere tali oggetti ‘cause’, ‘mezzi’ o ‘supporti’ del suo piacere”, C.Castoriadis, L’istituzione immaginaria della società, cit., p. 194. Sulle difficoltà della sublimazione, Castoriadis Cf. S.Gourgouris, “Philosophy and Sublimation”, Thesis Eleven 1997, n. 49, pp. 31-44. ↩
- Cf. per esempio C.Castoriadis, L’enigma del soggetto, cit., pp. 217-221. Discuto anche della lettura di Castoriadis in un mio recente contributo sull’Antigone, al quale mi permetto di rinviare: cf. F.Ciaramelli, “Pour une relecture de l’ Antigone comme tragédie du nomos“, Metodo International Studies in Phenomenology and Philosophy, II(2014), n. 1, pp. 201-215 ↩
- Su cui tornerà in un testo molto più tardo, anch’esso pubblicato postumo: cf. C. Castoriadis, “Notes sur quelques moyens de la poésie”, Id., Figures du pensable. Les carrefours du Labyrinthe VI, Seuil, Paris 1999, pp. 35-61, su Macbeth cf. pp. 46-53 ↩
- C.Castoriadis, Histoire et création, cit., pp. 159-160 ↩
- Cfr. C.Castoriadis, “Fenêtre sur le Chaos” (trascrizione parziale di due seminari tenuti all’Ecole des hautes études en sciences sociales nel gennaio 1992), in Id., Fenêtre sur le Chaos pp. 133-167, qui pp. 145-146 ↩
- Phys. II 199 a 15-17. Sull’interpretazione di questo passo aristotelico, cf. già C.Castoriadis, Les carrefours du Labyrinthe, Seuil, Paris 1978, pp. 224-226 ↩
- C.Castoriadis, Histoire et création cit., pp. 160-161 ↩
- Cf. oer esempio J.Lacan, Exrits, Seuil, Paris 1966, p. 665, p. 667 ↩
- I. Kant, Critica della ragion pura, Introduzione, a cura di P. Chiodi, Utet, Torino 1967, p. 78 ↩
- C.Castoriadis, Histoire et création cit., p. 163 ↩
- Ibid., p.164 ↩
- S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in Opere, cit., vol. 3, p. 565 ↩
- Cf. S. Freud, Al di là del principio di piacere, in Opere, cit., vol. 9, pp. 200-203 ↩
- C.Castoriadis, Histoire et création cit., p. 165 ↩
- Ibid., p. 166 ↩
- C.Castoriadis, L’istituzione immaginaria della società, cit., pp. 173-174 (corsivo nel testo) ↩
- L’incapacità di elaborare il lutto come diniego attivo dell’assenza effettiva dell’oggetto capace di saturare il desiderio m’è parso il trait d’union tra pulsione di morte e servitù volontaria in F.Ciaramelli –U.M.Olivieri, Il fascino dell’obbedienza. Servitù volontaria e società depressa, Mimesis, Milano 2013 ↩