Luca Basso
L’articolo è incentrato sull’antropologia marxiana, a partire dall’idea secondo cui l’uomo è uno zoon politikon. In particolare, nella Einleitung del 1857, si afferma proprio che l’uomo è uno zoon politikon, e nel primo libro del Capitale, si ribadisce tale concetto, sottolineando il fatto che l’espressione indicata può essere tradotta con “animale sociale”, più che con “animale politico”. Più avanti ritornerò su tali passi, mostrando il fatto che non possono venire interpretati a partire dalla convinzione di un presunto “aristotelismo” di Marx: l’elemento dello zoon politikon viene completamente “trasvalutato” rispetto ad Aristotele. Questo rilievo sull’uomo come zoon politikon fa emergere la dimensione antropologica del pensiero marxiano. Metterò in luce il carattere non astratto, non essenzialistico di tale antropologia, che si radica in una situazione determinata, all’interno di un determinato contesto storico e sociale. D’altronde, proprio dal momento che lo zoon politikon viene inteso come animale sociale, più che come animale politico, il riferimento alla società risulta decisivo: cruciale si rivela quindi la questione del rapporto fra individuo e società, e anche fra individuo e comunità, e individuo e associazione. Così il percorso svolto attraverserà i concetti di società, comunità e associazione, che devono venire tra di loro differenziati, ma nello stesso tempo presentano vari tratti comuni. Vista l’enorme vastità del tema di per sé, e nello specifico in Marx, pur fornendo un approccio complessivo al problema, mi soffermerò in particolare sul lemma società in senso stretto, Gesellschaft, cercando di farne emergere gli aspetti più rilevanti. Metterò in luce il nesso fra il concetto di società, Gesellschaft e quello di comunità e “essere comune”, Gemeinschaft e Gemeinwesen, insistendo sul rapporto sociale come centrale per l’interpretazione del problema. Inoltre verrà esaminato, anche se in modo meno approfondito (essendo anche meno frequente nell’itinerario marxiano), l’elemento dell’associazione, dell’unione, Assoziation e Verein, significativo in particolare per connotare il comunismo in quanto cooperazione di uomini liberi. Nella prima parte mi soffermerò sui primi testi marxiani, e soprattutto sull’Ideologia tedesca, nella seconda parte, più ampia, esaminerò in particolare la Einleitung del ’57 e i Grundrisse, ma farò anche qualche riferimento al Capitale. Non intendo in alcun modo approdare alla delineazione di due Marx, il giovane Marx, umanista e ideologico, e il Marx maturo, scientifico. Su questo punto la tesi althusseriana, in particolare contenuta in un testo comunque importante come Per Marx[1], della “rottura epistemologica”, irrigidisce in modo non condivisibile il discorso. Invece indagherò il percorso marxiano nella sua sostanziale unitarietà, pur all’interno di una serie di problematizzazioni, e talvolta anche fratture e scarti interni. La presente trattazione è incardinata sulla critica marxiana alla società, in quanto società borghese, più che sulla questione dell’associazione comunista, anche se emergeranno alcune linee di tendenza in tal senso, in particolare in relazione al fatto che la direzione qui intrapresa è volta non all’ipostatizzazione della società a scapito degli individui, ma al contrario alla realizzazione delle singolarità operaie[2].
Alla base del discorso sta la nozione di società non all’interno di una modernità genericamente intesa, ma in quanto risultante, per un verso, dalla rivoluzione economica, la Rivoluzione industriale, e, per l’altro, dalla rivoluzione politica per eccellenza, la Rivoluzione francese (due riferimenti costantemente presenti nelle opere marxiane): si tratta della società ottocentesca, o, per essere più precisi, di quell’assetto che inizia a formarsi nel passaggio fra il XVIII e il XIX secolo (seppur con modalità differenti da paese a paese), che si configura come distruzione della società divisa in ordini, vale a dire dell’antica società per ceti. Viene meno l’idea di una società dotata di un suo ordine intrinseco, basato su libertates e privilegi, su stabili gerarchie, sulle norme della tradizione, sui rapporti patriarcali. Si tratta di costruire, faticosamente ma anche dinamicamente, un ordine della società, a partire dal riconoscimento di individui liberi e uguali[3]. Si parte dal presupposto che gli uomini siano uguali: da questa idea si può pensare anche la loro differenza. In tale prospettiva centrale è la questione del rapporto individuo-proprietà. Persino Tocqueville, non certo un socialista, nei Ricordi, preconizzò il fatto che la proprietà sarebbe diventata il grande terreno di scontro. All’emergere dell’elemento del lavoro salariato (e quindi alla decomposizione della struttura cetuale) corrisponde la nascita della società dei privati, con la loro autonomia rispetto allo Stato. Anche il potere politico diventa un effetto della società. In questo ragionamento centrale è il riferimento alla Rivoluzione francese e a una figura come Sieyès: l’intero Che cos’è il Terzo Stato? è pervaso dalla convinzione della centralità dell’ordine sociale, di cui si occupa la scienza sociale, la “science de l’état de société”, che è una scienza, afferma Sieyès, del tutto nuova, che non si radica in una tradizione precedente, ma anzi si configura come una frattura rispetto al passato. Per la comprensione di questi problemi nello scenario ottocentesco, estremamente significativa è la tematizzazione di Lorenz von Stein, primo studioso tedesco che ha focalizzato il discorso sul movimento sociale francese, cogliendone l’estrema rilevanza all’interno della società capitalistica, e che ha operato una distinzione cruciale come quella fra rivoluzione politica e rivoluzione sociale: l’Ottocento può essere interpretato proprio a partire dal passaggio dalla rivoluzione politica a quella sociale, o comunque da un sempre più stretto intreccio fra i due elementi[4].
Inizio la trattazione marxiana citando un passo significativo della Critica del diritto statuale hegeliano: “L’attuale società civile (bürgerliche Gesellschaft) è il compiuto principio dell’individualismo; l’esistenza individuale è lo scopo ultimo: attività, lavoro, contenuto sono solo mezzi”[5]. Al di là di alcuni limiti del discorso della Critica del diritto statuale hegeliano (ad esempio, la sottovalutazione della questione dei legami fra gli individui[6]), è interessante rilevare che qui la società si fonda su individui privati: appare evidente la distanza rispetto all’antica società per ceti. D’altronde, per Marx i ceti non possono ricomporre la frattura fra società civile e Stato e quindi presentano una sostanziale impotenza, una velleitaria tendenza a operare una mediazione che non media realmente. In ogni caso, nel passo citato “attuale società civile” e “individualismo” non rappresentano due elementi in opposizione reciproca, ma al contrario costituiscono le due facce della stessa medaglia. E’ interessante notare l’uso del termine “individualismo”. Contrariamente a quanto emerge in varie ipotesi interpretative, che tendono a “datare” l’individualismo all’inizio dell’epoca moderna, addirittura al Seicento[7], la direzione qui intrapresa consiste nel calare tale elemento nello scenario ottocentesco, dopo la Rivoluzione industriale e la Rivoluzione francese. Tra l’altro, anche dal punto di vista terminologico, il lemma cominciò ad essere adoperato dai controrivoluzionari francesi. Rilevanti al riguardo sono le osservazioni di Tocqueville. Infatti, nella Democrazia in America, egli metteva in luce che “individualismo è un’espressione recente nata da un’idea nuova. I nostri padri conoscevano soltanto l’egoismo. L’egoismo è un amore appassionato ed esagerato di sé […] L’individualismo invece è un sentimento riflessivo e tranquillo, che dispone ogni cittadino a isolarsi dalla massa dei suoi simili […] L’individualismo è di origine democratica; minaccia di svilupparsi via via che le condizioni si livellano”[8]. E, in L’antico regime e la rivoluzione, aggiungeva: “I nostri padri non conoscevano la parola individualismo, che noi abbiamo foggiata per nostro uso, perché ai loro tempi non v’era in realtà un individuo che non appartenesse ad un gruppo, e che potesse considerarsi assolutamente solo […]”[9]. Si tratta quindi non di una nozione generica, ma di una nozione che deve ricevere una determinazione specifica, e deve essere inserita all’interno dello scenario ottocentesco, contraddistinto dal riferimento al “sociale”. Il discorso sull’individualismo, e il suo legame con le dinamiche “proprietarie”, in quanto “altra faccia” della società civile (per come appare dal passo citato della Critica del diritto statuale hegeliano) può venir compreso all’interno di questo contesto.
In ogni caso, la riflessione marxiana della Critica del diritto statuale hegeliano, e dei testi successivi, in primis della Questione ebraica, può essere connotata all’insegna della Trennung, della separazione fra la società civile e Stato, e quindi fra il bourgeois, l’individuo della società civile, l’”uomo reale”, concreto, portatore di interessi materiali, e il citoyen, l’individuo dello Stato, l’”uomo vero”. Marx pone al centro del discorso la società civile, e quindi l’individuo della società civile, il bourgeois, in quanto “reale”. Occorre tenere presente anche la determinazione storica che Marx fornisce, in questi primi testi oggetto d’indagine, alla questione della separazione fra società civile e Stato, fra bourgeois e citoyen. Tale Trennung trova il suo pieno compimento con la Rivoluzione francese. Ci si trova così di fronte a due “poli”: il primo è costituito dalla società civile, formata da individui liberi e uguali, il secondo è rappresentato dall’autonomizzazione della sfera politica, dallo Stato, con il monopolio di forza legittima che incarna: “L’emancipazione politica è contemporaneamente la dissoluzione della vecchia società […] La rivoluzione politica è la rivoluzione della società civile”[10]. La rivoluzione politica (e quindi la Rivoluzione francese, “rivoluzione politica” per antonomasia) si configura come rivoluzione della società civile. Marx fornisce un’interpretazione ambivalente di tale processo, denotato nella Questione ebraica con il concetto di emancipazione politica. Infatti, Marx mette in luce il carattere propulsivo di quest’ultima, fondata sulla separazione società civile-Stato, in quanto tale processo segna la dissoluzione dei privilegi feudali, e la sostituzione alla logica dei privilegi della logica del diritto, fondato su individui liberi e uguali. Nello stesso tempo, però, Marx mostra i limiti interni a tale concezione, e in particolare il fatto che non viene sottoposto a critica il bourgeois, con la sua libertà “monadica”, asociale, e in particolare non viene criticato l’elemento della proprietà privata: anzi, quest’ultima viene tutelata dalla legge. Cruciale è la questione del rapporto individuo-proprietà. Marx cerca di andare al di là dell’“emancipazione politica”: questo “andare oltre” viene indicato, nella Critica del diritto statuale hegeliano, col concetto di democrazia, e nella Questione ebraica con il concetto di emancipazione umana, e successivamente con l’elemento del comunismo in quanto abolizione della proprietà privata. Occorre però tenere presente che proprietà privata e proprietà individuale, in Marx, non solo non si identificano, ma divergono: in Marx si assiste a una critica alla privatizzazione, non intesa come individualizzazione. Il tentativo è di andare al di là della separazione dell’individuo in bourgeois e citoyen, in “uomo reale” e “uomo vero”. Ci si trova di fronte alla messa in discussione della possibilità stessa di rinvenire una mediazione tra le figure che contraddistinguono la società civile moderna e lo Stato in quanto titolare della sovranità. Comunque sia, la critica nei confronti della separazione fra società civile e Stato è volta a fare emergere la politicità costitutiva della società civile, il continuo “scambio” fra dimensione sociale e dimensione politica.
In tale discorso sempre più rilevante diventa l’elemento dei rapporti sociali: nelle Tesi su Feuerbach, Marx insiste sull’essenza umana come ensemble dei rapporti sociali (gesellschaftliche Verhältnisse)[11]. E’ interessante notare che Marx adopera il termine ensemble, e non Ganze. In ogni caso, il concetto di società trova un suo significativo approfondimento con l’Ideologia tedesca, testo di estrema importanza per la radicalità della sua impostazione e per la novità delle sue acquisizioni rispetto ai momenti precedenti. Ci si trova di fronte a una progressiva erosione degli aspetti più problematici presenti nel concetto di Gattungswesen, ente generico, di derivazione feuerbachiana: tale elemento rischiava di presupporre un’idea astratta di natura umana, svincolata dalle condizioni concrete del suo darsi, che non può resistere a un’analisi materialistica. Comunque sia, nella mia interpretazione l’ente generico non comporta un compiuto organicismo, ma piuttosto conteneva un’indistinzione concettuale fra l’”individuale” e il “collettivo”, senza peraltro rimandare a una pratica concreta di lotta. Il prosieguo della riflessione marxiana va in direzione di una focalizzazione del discorso, della “scienza della storia” (per usare un’espressione dell’Ideologia tedesca), non sull’ente generico, ma su “individui reali”, che sono “individui determinati”, inseriti in un contesto sociale e politico circostanziato, all’interno di rapporti e condizionamenti da cui non si può prescindere. “La società civile (bürgerliche Gesellschaft) comprende tutto il complesso delle relazioni materiali fra gli individui (den gesamten Verkehr der Individuen) all’interno di un determinato grado di sviluppo delle forze produttive (Entwicklungsstufe der Produktivkräfte)”[12]. Un elemento-chiave è costituito dal fatto che la società non consiste di individui, ma di relazioni materiali fra gli individui: il costante tentativo marxiano è di porre al centro del ragionamento ciò che sta fra individuo e società, e quindi la dimensione della relazione. Marx usa il termine Verkehr, molto importante nell’Ideologia tedesca: in quanto commercio, traffico, suo primo significato, esso “cattura” sia l’elemento produttivo sia quello comunicativo. In ogni caso, il “filo rosso” dell’argomentazione dell’Ideologia tedesca è costituito dall’elemento della divisione del lavoro, con la sussunzione individuale che essa provoca. Comunque sia, occorre rimarcare la centralità della nozione di bürgerliche Gesellschaft nell’intero orizzonte marxiano, e non solo nelle prime opere: per la sua comprensione, in questa fase, centrali sono i riferimenti a Adam Ferguson (Essay on the History of Civil Society, 1767), che Marx conosceva nella sua versione francese, e naturalmente a Hegel (Grundlinien der Philosophie des Rechts, 1821). Qui, nell’Ideologia tedesca, l’espressione bürgerliche Gesellschaft sta ad indicare, nello stesso tempo, la società civile, in quanto sistema dei bisogni, e la società borghese. E’ interessante notare che, in un passo dell’Ideologia tedesca[13], Marx adopera il termine Bourgeoisgesellschaft, in quanto sinonimo di bürgerliche Gesellschaft, a testimonianza del fatto che, con quest’ultima espressione, egli intende, allo stesso tempo, società civile e società borghese. “Qui già si vede che questa società civile (bürgerliche Gesellschaft) è il vero focolare, il vero teatro di ogni storia, e si vede quanto assurda sia la concezione della storia finora corrente, che si limita alle azioni di capi e di Stati e trascura i rapporti reali”[14]. “Il termine bürgerliche Gesellschaft sorse nel secolo diciottesimo, quando i rapporti di proprietà si erano già fatti strada fuori del tipo di comunità (Gemeinwesen) antico e medievale. La società civile come tale comincia a svilupparsi con la borghesia”[15]. Si potrebbe sostenere che il concetto di società, a rigore, riguarda solo la società borghese, in quanto è determinato dalla misura in cui il ricambio organico tra uomo e natura è diventato specificamente storico[16]. Perché si dia società, è necessario uno stadio molto sviluppato in cui gli individui entrino in un contatto reciproco universale e in cui le relazioni sociali si rendano autonome fino a diventare una sorta di seconda natura: per indicare le forme pre-capitalistiche, invece, Marx adopera termini come tribù, comunità (Gemeinwesen), in quanto elementi ‘naturali’. La società moderna borghese si configura come il prodotto della reciproca azione degli individui, con le sue linee di frattura. Decostruire la nozione di società civile-borghese significa, infatti, anche mostrarne, al di là di ogni rappresentazione idillica, il carattere di profonda conflittualità, di scontro continuo sussistente fra individui e classi, secondo una condizione di perenne instabilità. L’immagine, che permane immutata nell’intero scenario marxiano, è quella di una bürgerliche Gesellschaft contraddistinta hobbesianamente da un bellum omnium contra omnes: “tutta la società civile (bürgerliche Gesellschaft) è proprio questa guerra (Krieg), l’uno contro l’altro, di tutti gli individui, isolati l’uno dall’altro ormai solo dalla loro individualità”[17]. E Engels, nella Situazione della classe operaia in Inghilterra, rimarca: “La concorrenza è l’espressione più completa della guerra (Krieg) di tutti contro tutti che regna nella moderna società civile (bürgerliche Gesellschaft)”[18].
Nell’Ideologia tedesca, rilevando tale dimensione di isolamento come strutturale all’assetto capitalistico, Marx instaura uno stretto nesso fra la nozione di bürgerliche Gesellschaft, società borghese, e quella di scheinbare Gemeinschaft, di comunità apparente. Così si mette in luce, della struttura capitalistica, il carattere non solo di società, ma anche di comunità, seppur apparente: “La comunità apparente (die scheinbare Gemeinschaft), nella quale finora si sono uniti gli individui, si è sempre resa autonoma (verselbständigte) di contro a loro e allo stesso tempo, essendo l’unione (Vereinigung) di una classe contro l’altra, non era soltanto una comunità del tutto illusoria, ma anche una nuova catena”[19]. Ci si trova così di fronte a “individui medi (Durchschnittsindividuen)”, “individui contingenti”, contraddistinti, addirittura determinati dall’appartenenza a una classe e a una specifica struttura produttiva: “Col denaro ogni forma di relazioni (Verkehrsform) e le relazioni (Verkehr) stesse sono poste come casuali (zufällig) per gli individui”[20]. Si assiste al “convertirsi del rapporto individuale (das individuelle Verhalten. Gli individui sono accomunati (una comunanza però che nello stesso tempo li isola reciprocamente) dalla loro sussunzione al potere sociale del denaro. Occorre precisare che in Marx, e più in generale nella concettualità del periodo[21], non si assiste a un’assoluta separazione fra Gemeinschaft, come elemento naturale e “organico”, e Gesellschaft, come elemento razionale. In ogni caso, per ritornare al passo citato, occorre sottolineare che il sistema capitalistico si fonda su una soziale Macht, che si configura come una fremde Gewalt, un potere-violenza che si erge sopra gli individui dominandoli, ma, nello stesso tempo, che si configura come il frutto della loro unione: “La potenza sociale (die soziale Macht), cioè la forza produttiva moltiplicata che ha origine attraverso la cooperazione dei diversi individui, determinata nella divisione del lavoro, appare a questi individui […] non come la propria potenza unificata (vereinte Macht), ma come una potere estraneo (eine fremde Gewalt)”[22]. Tale struttura di dominio presenta un carattere insieme sociale e astratto, così come il denaro costituisce un elemento sociale e astratto allo stesso tempo. Centrale, nell’intero percorso marxiano, è il nesso fra i concetti di Herrschaft, Macht e Gewalt. La traduzione di tali termini non è sempre agevole: generalmente renderei Herrschaft con “dominio” (dominio politico, dominio ideologico, ecc.: esistono forme differenziate di subordinazione non riducibili al potere politico), Macht con “potere” (anche “potenza”, nel caso in cui, come nel passo sopra citato, si faccia riferimento alla soziale Macht, potenza sociale, frutto di una Vereinigung), Gewalt è lemma complesso, che, per così dire, sta insieme per power e violence, risultando irriducibile al nostro termine “violenza”: generalmente Gewalt indica il potere-violenza nelle sue articolazioni istituzionali. In ogni caso, nel passo precedentemente citato Marx si riferisce, allo stesso tempo, alla scheinbare Gemeinschaft, evidenziando il suo carattere di strutturale isolamento e indifferenza, e alla bürgerliche Gesellschaft, contraddistinta dall’idea secondo cui tutte le relazioni vengono sussunte al rapporto astratto del denaro.
A tale impostazione non è sottesa, quindi, un’enfasi societaria, un’esaltazione della società versus l’individuo, dal momento che il tentativo è di dar vita a una vera e propria destrutturazione della società, fondata sulla fremde Gewalt richiamata. Il discorso, quindi, non muove nella direzione di una valorizzazione dell’uomo sociale versus l’uomo privato, sulla base di una sorta di morale dell’altruismo: “i comunisti non propugnano né l’egoismo contro l’abnegazione né l’abnegazione contro l’egoismo, e non accettano teoricamente questa opposizione […], ma piuttosto ne dimostrano l’origine materiale, insieme con la quale essa scompare da sé. I comunisti non predicano alcuna morale in genere […] Essi non pongono agli uomini gli imperativi morali: amatevi l’un l’altro, non siate egoisti, ecc.; essi al contrario sanno benissimo che in determinate condizioni l’egoismo, così come l’abnegazione, è una forma necessaria per l’affermarsi degli individui (Durchsetzung der Individuen) […] I comunisti dunque non vogliono affatto… sopprimere l’’uomo privato’ (den ‘Privatmenschen’) per amore dell’’uomo universale’ (‘dem ‘allgemeinen’ Menschen), dell’uomo che si sacrifica […] questa antitesi (fra dimensione privata e dimensione sociale) è solo apparente, perché uno dei lati, quello cosiddetto ‘generale’, è continuamente generato dall’altro, l’interesse privato, e non si oppone affatto ad esso come potenza autonoma […] dunque nella pratica questa antitesi viene continuamente distrutta e generata”[23]. Da questo punto di vista, si assiste a una vera e propria dissoluzione dell’antitesi “privato”-“sociale”, mostrando il reciproco richiamarsi, nella pratica, di tali elementi. Comunque sia, alla base del discorso sta la messa in questione della società: “San Max crede che i comunisti vogliano ‘sacrificare’ ‘alla società’, laddove essi, se mai, vogliono sacrificare la società esistente (die bestehende Gesellschaft)”[24]. “La rivoluzione comunista non dipenderà dalle ‘istituzioni sociali (gesellschaftlich) di fertili ingegni sociali (social)’”[25]. Concetti come “spirito di sacrificio”, “dovere sociale”, “lavorare, missione dell’uomo” sono oggetto di forte scherno da parte di Marx[26]. Molti anni più tardi, nella Critica del programma di Gotha, il discorso prenderà accenti ancora più marcatamente “individualistici”, nel momento in cui viene sottoposta a critica in modo quasi parossistico ogni possibile oppressione compiuta nei confronti del singolo individuo.
E’ però necessario rimarcare che, in questo ragionamento, la società, non solo non consiste solo di individui, ma di rapporti fra gli individui all’interno di un determinato sviluppo delle forze produttive: di più, la società è formata non solo da individui, ma anche da classi, proletariato e borghesia. Qualche anno più tardi, nella Miseria della filosofia, Marx sottolinea che i rapporti sociali “non sono rapporti tra individuo e individuo”, ma tra operaio e capitalista: “Cancellerete questi rapporti, e distruggerete la società (Gesellschaft)”[27]. Tra le due classi non esiste una simmetria, come se si trattasse di due eserciti in lotta. La simmetria non è rotta solo dal fatto che è presente un rapporto di dominio di una classe sull’altra (classe dominante e classe dominata), ma anche dal fatto che lo statuto del proletariato è differente rispetto allo statuto della borghesia, risultando irriducibile a classe particolare: “Questa sussunzione degli individui sotto classi determinate non può essere superata finché non si sia formata una classe che non abbia più da imporre alcun interesse particolare di classe contro la classe dominante”[28]. Sono presenti due accezioni di proletariato: nella prima, esso viene inteso sulla base di una in simmetria nei confronti della borghesia, nella seconda, invece, tale simmetria viene scardinata. In quest’ultima declinazione, il proletariato, pur configurandosi come parte, non possiede un fine particolare, dal momento che tende alla dissoluzione dell’orizzonte classista, e del suo stesso porsi come classe: non si tratta di sacrificarsi alla società, ma di sacrificare la società esistente. Il proletariato è uno strano essere, allo stesso tempo puramente sociale e storico e al di fuori della società e della storia, capace di agire libero dall’ispirazione del passato[29]. In questo senso, esso non può venir ipostatizzato né sul piano ontologico né su quello sociologico radicandosi nella dimensione della pratica: “I singoli individui (die einzelnen Individuen) formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune (einen gemeinsamen Kampf) contro un’altra classe”[30]. E’ importante rimarcare che con il Kampf i singoli individui non si dissolvono nella classe, ma affermano la loro specifica individualità. La classe non appare assolutamente riducibile a gruppo sociale, e quindi si carica di una politicità dirompente, risultando definita da un antagonismo[31], come si verifica all’interno di una situazione in cui si passa dalla rivoluzione politica alla rivoluzione sociale, facendo entrare la libertà nei bassifondi della produzione. Si tratta di quel “movimento reale” che è il comunismo, volto ad abolire lo stato di cose presente: esso si inserisce nella materialità delle forme e delle situazioni storicamente esistenti, ma per destrutturarle. Per interpretare tali questioni, occorre sempre tenere presente che in Marx si assiste a una messa in discussione della filosofia nella sua autonomia (si pensi al sarcasmo nei confronti della “critica critica” di Bauer), e, più in generale, dell’omologia tra pensiero e realtà. All’interno di tale destrutturazione, in cui conoscenza e trasformazione si intrecciano continuamente, si tratta di assumere fino in fondo la politicizzazione radicale che investe ogni ramo dell’esistenza.
Nell’Ideologia tedesca, se lo scenario della bürgerliche Gesellschaft, della società borghese, che è scheinbare Gemeinschaft, comunità apparente, si fonda su Individuen als Klassenmitglieder, individui come membri di una classe, in una condizione di sussunzione nei confronti di una soziale Macht che è anche fremde Gewalt, la wirkliche Gemeinschaft, comunità reale non può che porsi in radicale distonia rispetto a questa prospettiva: “nella comunità (Gemeinschaft) dei proletari rivoluzionari […], i quali prendono sotto il loro controllo le condizioni di esistenza proprie e di tutti i membri della società, è proprio l’opposto (rispetto alla comunità apparente): ad essa gli individui prendono parte come individui (Individuen als Individuen)”[32]. Tra “comunità apparente” e “comunità reale”, così come tra “individui come membri di una classe” e “individui in quanto individui”, esiste un “salto”, non mediabile concettualmente, ma frutto di un’azione comune della classe nel suo carattere dirompente. Nell’Ideologia tedesca il discorso sulla società si presenta quindi duplice: da una parte, viene sottoposta a critica la bürgerliche Gesellschaft, che è anche scheinbare Gemeinschaft, dall’altra, viene delineata, in contrapposizione alla prima, la prospettiva della kommunistische Gesellschaft[33], in quanto liberazione dalla soggezione insita nel sistema dei bisogni, Gesellschaft che è anche wirkliche Gemeinschaft, fondata sulla realizzazione individuale non in distonia con la connessione sociale, che, come sottolinea Marx, “abbraccia una grande cerchia di molteplici attività e relazioni”[34]. Anche qui, simmetricamente a quanto avvenuto nella trattazione del sistema capitalistico, insieme società borghese e comunità apparente, nella tematizzazione del comunismo vengono adoperati sia il termine Gesellschaft, società, kommunistische Gesellschaft, società comunista, sia il termine Gemeinschaft, comunità, wirkliche Gemeinschaft. Non ci si trova di fronte a una divaricazione fra società e comunità, ma piuttosto a una loro differenziazione, derivante dal fatto che, in qualche misura, a Gemeinschaft viene attribuita una valenza di per sé positiva, tanto che la contrapposizione è tra la comunità apparente capitalistica e la comunità reale proprio del comunismo. Ma occorre aggiungere un altro elemento: l’uso del termine Gemeinschaft a proposito del comunismo presenta aspetti problematici, in quanto inevitabilmente la comunità comporta la perimetrazione di un territorio con le sue strutture di disciplinamento, configurandosi quindi come un luogo di sussunzione di individui a un soggetto politico costituito. Non a caso, nel Capitale, per denotare il comunismo, Marx non adopererà il termine Gemeinschaft, con il suo rischio “organicistico”, ma il termine Verein, associazione, meno “carico” di rischi olistici e più compatibile con un’idea non “fusionale” del rapporto fra individui.
La seconda parte della trattazione è incentrata sulla questione della società e della comunità all’interno della critica dell’economia politica di Marx, con particolare riferimento alla Einleitung del ’57 e ai Grundrisse. Saranno però presenti anche richiami al Capitale. Per ragioni di spazio, mi limito a sottolineare che il dispositivo di critica all’economia politica come segno distintivo della riflessione marxiana va calato nello scenario successivo al 1848 e alla sua sconfitta, e quindi con il venire meno di una prospettiva immediatamente rivoluzionaria, una rivoluzione con un carattere europeo se non mondiale. In questo contesto, di “rettifica” del Manifesto del partito comunista[35], diventa centrale la ricerca di un’articolazione complessiva del discorso. Nel Poscritto alla seconda edizione del Capitale è contenuta l’idea secondo cui la critica dell’economia politica non si configura semplicemente come denuncia dei suoi limiti, ma come sua radicale destrutturazione: non è possibile dare vita a un’altra economia politica, visto che quest’ultima appare irrimediabilmente segnata dalla sua origine borghese[36]. L’economia politica può restare scienza solo finché la lotta di classe rimane latente: è un elemento extra-teorico, politico, a spostare le coordinate del discorso. Nello stesso tempo, però, dalla critica dell’economia politica non si può ricavare immediatamente una politica: il rapporto fra teoria e prassi si rivela quindi complesso, irriducibile alla deduzione di un elemento dall’altro. Qui occorre riprendere la questione della non-omologia fra realtà e pensiero. In ogni caso, per quanto riguarda l’Ausgangspunkt del ragionamento, come si rileva nella Einleitung del ’57, “il punto di partenza è costituito naturalmente dagli individui che producono in società (in Gesellschaft produzierende Individuen), vale a dire dalla produzione socialmente determinata degli individui. Il singolo e isolato (der einzelne und vereinzelte) cacciatore e pescatore, con cui cominciano Smith e Ricardo, appartengono alle immaginazioni prive di fantasia che hanno prodotto le robinsonate del XVII secolo […]”[37]. L’economia politica classica (in primis, Smith e Ricardo) e il contrattualismo (in primis, Rousseau) sono accomunati dal presupposto astratto di individui isolati, pervenendo poi alla sussunzione al soggetto costituito come esito del ragionamento. Se, sul piano metodologico, si assume come punto di avvio la produzione socialmente determinata degli individui, e non l’idea astorica e astratta di individui come atomi, la società viene però decostruita in modo radicale.
L’analisi della nozione di società, all’interno della Einleitung del ‘57, permette di cogliere le differenze specifiche fra i vari assetti produttivi: il punto di partenza del discorso consiste nel fatto che Marx non è interessato, in prima battuta, a delineare una storia generale dell’umanità, e, in particolare, delle strutture che si sono succedute nella storia, bensì a comprendere i meccanismi determinati del sistema capitalistico in quanto forma storica di organizzazione della società moderna: si tratta di un contesto in cui il capitale, per così dire, “fa epoca”. Così in Marx ci si trova di fronte non a una teoria complessiva delle formazioni sociali, bensì a un’analisi della società capitalistica nel suo diventare modo di produzione dominante, dotato di contraddizioni specifiche. “La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di penetrare al tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita […] L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia […] In tutte le forme in cui domina la proprietà fondiaria il rapporto con la natura è ancora predominante. In quelle, invece, dove domina il capitale, prevale l’elemento sociale, prodotto storicamente”[38]. Fintanto che la società borghese resta la struttura della produzione più differenziata, le categorie che esprimono i suoi rapporti si rivelano anche le più capaci di esaminare la natura delle forme meno complesse che l’hanno preceduta: ciò non significa che i concetti indicati dal capitalismo cancellino le diversità storiche, ma piuttosto che contengano quelle differenze in modo più sviluppato. Marx pone al centro del ragionamento il capitalismo nella sua differentia specifica rispetto alle forme precapitalistiche; gli elementi costitutivi del modo di produzione capitalistico non possono venir applicati in modo indebito, sic et simpliciter, agli altri modi di produzione. Comunque sia, non viene delineata un’analisi delle forme sociali nella loro successione, ma la prospettiva risulta condotta a partire dall’assetto presente, quello capitalistico: “Sarebbe dunque inopportuno ed erroneo disporre le categorie economiche nell’ordine in cui esse furono storicamente determinanti. La loro successione è invece determinata dalla relazione in cui esse si trovano l’una con l’altra nella moderna società borghese (bürgerliche Gesellschaft)”[39]. Da questo punto di vista, il fulcro del ragionamento risiede in un’indagine specifica del sistema capitalistico. Le forme precapitalistiche, Gemeinwesen, vengono colte dopo il capitalismo, come il suo “altro”. E’ presente un rifiuto radicale del ricorso all’elemento dell’origine: è il sistema della combinazione degli elementi nella società attuale che ci apre anche alla comprensione delle formazioni passate.
Comunque sia, Marx non esamina in modo approfondito le contraddizioni specifiche delle forme precapitalistiche, in quanto prende in considerazione queste ultime a partire, appunto, dal riferimento costitutivo al capitalismo. In ogni caso, prima del capitalismo, nella “preistoria” del capitale, non viene individuata una logica lineare ed univoca della storia; tutt’al più, si può sostenere che schiavitù, feudalesimo e capitalismo, secondo Marx, si sono succeduti in quest’ordine, di fatto, in Europa: Marx non afferma mai che il feudalesimo non possa non produrre il capitalismo. In ogni caso, nelle forme indicate “gli individui non sono in un rapporto di lavoratori, bensì di proprietari – e membri di una comunità (Gemeinwesen) i quali nello stesso tempo lavorano. Lo scopo di questo lavoro non è la creazione di un valore […] il suo scopo è invece il mantenimento del singolo proprietario e della sua famiglia non meno che di tutta la comunità”[40]. Nelle forme precedenti al modo di produzione capitalistico, infatti, gli uomini costituiscono i membri di un Gemeinwesen, di una comunità, in cui sono inseriti e da cui dipendono. Emerge con forza la differenza tra la struttura sociale capitalistica e quella precedente: “In realtà questa (la realtà moderna) è una situazione molto diversa da quella in cui l’individuo, o l’individuo naturalmente o storicamente allargatosi a famiglia o a tribù (e poi a comunità), si riproduce su basi direttamente naturali, o in cui la sua attività produttiva e la sua partecipazione alla produzione è indirizzata ad una determinata forma di lavoro e di prodotto, e il suo rapporto con gli altri è altrettanto determinato”[41]. L’elemento principale di tali strutture risiede, quindi, nella riproduzione del singolo in quanto appartenente a un insieme più grande di lui, a un Gemeinwesen, a una comunità rispetto a cui non presenta la minima possibilità di indipendenza. Dall’analisi condotta deriva il fatto che, nelle forme precapitalistiche, “lo scopo economico è la produzione di valori d’uso”, e che, quindi, l’individuo si trova in rapporto con le condizioni oggettive del lavoro come condizioni proprie, e con la terra tramite la mediazione della comunità. Nelle forme precapitalistiche i presupposti della circolazione appaiono esterni alla produzione: quest’ultima richiede continuamente nuovi impulsi dall’esterno per “riaccendersi”, non riesce ad autorinnovarsi, a identificarsi con la riproduzione generale dell’umanità. In tale stato di cose la circolazione delle merci e gli antagonismi sociali non risultano immanenti al processo produttivo: gli antagonismi sociali non impersonificano direttamente le condizioni lacerate del lavoro. Le strutture precapitalistiche si caratterizzano per una sostanziale unità: unità dell’uomo con la terra, appunto, con le condizioni oggettive del lavoro, e con gli altri uomini. Questo “organicismo” possiede inevitabilmente un carattere dispotico, e tiene “incollato” il singolo uomo alla comunità come a un cordone ombelicale: al riguardo ritorna sovente la metafora della “catena”. Si tratta di un assetto fondato su rapporti personali, mediati dalla natura.
Comunque sia, alla base del discorso sta il tentativo non di articolare una storia generale dell’umanità, ma di cogliere gli elementi costitutivi del sistema capitalistico nella sua “differenza specifica” rispetto alle forme precapitalistiche. Dal momento che il suo segno distintivo è rappresentato dalla Trennung, Marx vuole comprendere tale elemento, proprio del capitalismo, non l’unità precapitalistica. Si potrebbe addirittura affermare che sia ”individuo” sia “società” costituiscono categorie impensabili prima del capitalismo. Per indicare la situazione precapitalistica, si può richiamare la categoria di uomo, nella sua relazione molto stretta con la comunità a cui apparteneva e da cui non era discernibile, ma non alla nozione di individuo. Infatti risultava inconcepibile l’idea di individuo, con la sua indipendenza, con la sua liberazione da vincoli precostituiti. Inoltre si può sostenere che il concetto di società, in senso stretto, riguardi solo la società borghese, dal momento che è determinato dalla misura in cui il ricambio organico tra uomo e natura è diventato specificamente storico. Perché si dia società, è necessaria una condizione molto sviluppata, in cui gli individui entrano in un contatto reciproco universale, e in cui le relazioni si autonomizzano, diventando una sorta di seconda natura. Costitutivo della società è un forte dinamismo, una continua riapertura a soluzioni non condizionate pienamente dalla natura: in tal senso, la società capitalistica provoca la rottura della proprietà comune, presente nelle forme precapitalistiche, in cui l’uomo risultava legato al Gemeinwesen come a un “cordone ombelicale”, attraverso la mediazione della terra. Per designare le forme precapitalistiche, invece, Marx usa termini come tribù, comunità, in quanto strutture ‘naturali’. Così si può sostenere che, in senso forte, le forme precapitalistiche costituiscono comunità, Gemeinwesen, più che società, Gesellschaften, se attribuiamo a società il significato appena indicato. Ma, al di là dell’utilizzo dei termini, la società in modo vero e proprio si realizza con il capitalismo. All’interno delle strutture in questione “possono sorgere grandi individualità. Ma non c’è qui da pensare a uno sviluppo libero e completo né dell’individuo (Individuum), né della società (Gesellschaft), giacché un tale sviluppo è in contraddizione con il rapporto originario”[42] dell’uomo con la comunità. Con il capitalismo, invece, si verifica lo scompaginamento di tutte le forme comunitarie. Infatti, proprio della società è un elemento di dinamismo e quindi anche la possibilità di una sua trasformazione. D’altronde, nel primo libro del Capitale Marx sostiene: “Anche nelle classi dominanti albeggia il presentimento che la società odierna non è un solido cristallo, ma un organismo capace di trasformarsi e in costante processo di trasformazione”[43].
Dalle considerazioni svolte in merito alle categorie di individuo e società a partire dal confronto fra le forme produttive, emergono in particolare due elementi significativi. Il primo concerne il riconoscimento marxiano del novum rappresentato dalla società capitalistica rispetto alle comunità precedenti: ci si trova di fronte a una rottura dirompente, che sposta completamente le coordinate esistenti, e che permette di parlare di individui, non di uomini, e nello stesso tempo di società in quanto rete complessa di relazioni sociali. “Soltanto il capitale dunque crea la società borghese e l’universale appropriazione tanto della natura quanto della connessione sociale stessa da parte dei membri della società […] In virtù di questa sua tendenza, il capitale spinge a superare sia le barriere (Schranken) e i pregiudizi nazionali, sia l’idolatria della natura, la soddisfazione tradizionale, orgogliosamente ristretta entro angusti limiti, dei bisogni esistenti, e la riproduzione del vecchio modo di vivere. Nei riguardi di tutto questo il capitale opera distruttivamente, attua una rivoluzione permanente, abbatte tutti gli ostacoli che frenano lo sviluppo delle forze produttive […]”[44]. La centralità del denaro e del capitale, come sua conservazione e accumulazione, presuppone uno stretto nesso fra società borghese e mercato mondiale. Così si assiste non a una continuità dello sviluppo storico, bensì a un “nuovo inizio”, che segna una discontinuità radicale, una mutazione dell’umanità. Emerge una nuova antropologia rispetto al passato, dotata di un carattere insieme espansivo e spettrale: diventa così cruciale la questione della ridefinizione dell’antropologia.
In ogni caso, il punto di avvio della presente riflessione è costituito dalla separazione capitalistica: d’altronde, nell’intero percorso marxiano l’elemento della separazione e della scissione, indicato dai termini Trennung, Spaltung, Scheidung, risulta assolutamente decisivo[45]. L’aspetto caratterizzante del capitalismo è rappresentato dalla Trennung dell’individuo rispetto agli elementi a cui precedentemente si presentava legato: con il sistema capitalistico si attua un processo di sradicamento dell’uomo, di sua denaturalizzazione. Il capitalismo cerca di annientare ogni comunità di interessi, ponendo gli individui l’uno contro l’altro nella concorrenza, vero e proprio bellum omnium contra omnes, in cui si fronteggiano come compratori o venditori della forza-lavoro. Ciò che distingue il capitale da altri modi di appropriazione di lavoro altrui è il fatto che la coazione esercitata sui lavoratori non appare esterna ma interna al processo di produzione immediato: la forza-lavoro viene così incorporata nel processo di produzione.
Se è emersa la differenza fra la società capitalistica e le comunità precapitalistiche, si rivela però necessario approfondire i segni distintivi della società capitalistica. “La società non consiste di individui, bensì esprime la somma delle relazioni (Beziehungen), dei rapporti (Verhältnisse) in cui questi individui stanno l’uno rispetto all’altro”[46]. Alla base della società non stanno solo individui, ma relazioni fra gli individui: il rapporto sociale si rivela cruciale. Successivamente, nelle prime battute del Capitale si sottolinea che, alla base di quella “immane raccolta di merci” che è il modo di produzione capitalistico, sta “un rapporto sociale determinato” (das gesellschafliche Verhältnis) fra gli individui[47]. Insistere sulla dimensione del nesso sociale non presenta nulla di irenico: ci si trova di fronte a rapporti di dominio, contraddistinti da una asimmetria. D’altronde la società si configura come “generale dipendenza reciproca dei produttori”, che “si esprime nella necessità permanente dello scambio e nel valore di scambio quale mediatore universale […] Si tratta di interesse dei privati; ma il suo contenuto, come la forma e i mezzi della sua realizzazione, sono dati da condizioni sociali indipendenti da tutti. La mutua e generale dipendenza degli individui reciprocamente indifferenti (der gegeneinander gleichgültigen Individuen) costituisce il loro nesso sociale (ihren gesellschaftlichen Zusammenhang)”[48]. Con l’avvento del valore di scambio si assiste a un costante “scambio” tra l’elemento privato e quello sociale. In questo discorso, società e indifferenza rappresentano le due facce della stessa medaglia. Nei Grundrisse, libertà e indipendenza vengono concepite nel loro carattere apparente; con “apparenza” qui non si intende mera irrealtà, ma si indica comunque la presenza di una profonda mistificazione, o comunque di un intreccio fra realtà e mistificazione: “Nei rapporti di denaro, nel sistema di scambio sviluppato (e questa parvenza Schein seduce la democrazia) […] gli individui sembrano entrare in un contatto reciproco libero e indipendente (questa indipendenza che in se stessa è soltanto e andrebbe detta più esattamente indifferenza (Gleichgültigkeit-im Sinn der Indifferenz) e scambiare in questa libertà; ma tali essi sembrano soltanto a chi astrae dalle condizioni di esistenza nelle quali questi individui entrano in contatto […]”[49]. Libertà e indipendenza, al di là della rappresentazione che “seduce la democrazia”, in realtà si convertono nel loro contrario, illibertà e dipendenza: la frattura marxiana con l’orizzonte democratico non è componibile. Importante è il riferimento alla Gleichgültigkeit-im Sinn der Indifferenz: il termine Gleichgültigkeit indica, letteralmente, l’”uguale validità”, e quindi l’indifferenza, concepita non in contraddizione con la società ma come “altra faccia” di quest’ultima. Da una parte, l’equiparazione fra gli individui conduce alla formazione del rapporto sociale, dall’altra, la relazione è basata su un isolamento reciproco degli individui e su una loro sussunzione ad un potere anonimo e oggettivo.
Così ritorna l’elemento del potere (o potenza) sociale, nell’Ideologia tedesca soziale Macht, nei Grundrisse gesellschaftliche Macht, “materializzato” nel denaro, a cui gli individui sono sottoposti: “Il potere che ogni individuo esercita sulla attività degli altri o sulle ricchezze sociali, egli lo possiede in quanto proprietario di valori di scambio, di denaro. Il suo potere sociale (gesellschaftliche Macht), così come il suo nesso (Zusammenhang) con la società (Gesellschaft), egli lo porta con sé nella tasca […] Il carattere sociale dell’attività, così come la forma sociale del prodotto e la partecipazione dell’individuo alla produzione, si presentano qui come qualcosa di estraneo ed oggettivo di fronte agli individui”[50]. La società risulta così costantemente attraversata dalla dimensione del potere e della violenza: ciò che ogni individuo si “porta nella tasca”, aspetto apparentemente privato, rivela un carattere sociale, e tale socialità è però fremd e sachlich. Il capitale, in quanto accumulazione del denaro, costituisce, quindi, una potenza insieme sociale e astratta, dal momento che la sua socialità si trova incarnata in un oggetto, dotato di un carattere di astrazione. In tale stato di cose, il denaro, elemento decisivo della Gesellschaft, funziona da vero e proprio mezzo di separazione: “esso stesso, il denaro, è la comunità (Gemeinwesen), né può sopportarne altra superiore”[51].
In ogni caso, è necessario fare una precisazione terminologica; negli anni ’50 e ’60 Marx utilizza il termine Gemeinwesen, al posto di Gemeinschaft, adoperato in precedenza: nei Grundrisse il termine Gemeinschaft non compare quasi mai, mentre Gemeinwesen, che qui denota la forma sociale borghese, incentrata sul denaro, generalmente contraddistingue le forme sociali precapitalistiche, fondate su un elemento “naturale”, su un rapporto “organico” fra l’uomo e la comunità, intesa come un Ganze, e quindi è fortemente legato al termine Gemeinde (comune, comunità). E’ necessario ricordare che Gemeinwesen, negli scritti giovanili marxiani, connotava, per un verso, l’essenza comune dell’uomo, in relazione col concetto di Gattungswesen, e, per l’altro, associato all’aggettivo politisch, la comunità politica o Stato. Gemeinwesen può indicare anche il comunismo, nella sua capacità di tenere in forma l’essere in comune degli individui. Comunque sia, posto che Marx non sempre è rigoroso nell’utilizzo di un termine piuttosto che un altro (talvolta vengono usati in modo sinonimico), riveste un senso determinato la sostituzione, negli anni Cinquanta e Sessanta, di Gemeinschaft, che possiede un carattere statico, essendo inevitabilmente legato alla perimetrazione, fisica e metaforica, di un territorio, con Gemeinwesen, che invece presenta un carattere dinamico, irriducibile all’elemento indicato. Nell’Ideologia tedesca l’insistenza sul termine Gemeinschaft non permetteva di cogliere la non immediata identità fra la comunità, legata inevitabilmente alla forma-Stato, e la dimensione comune nella sua mobilità. In ogni caso, il rapporto fra società e comunità non deve venir interpretato nei termini di un’opposizione: la comunità vive dentro la società. Ma, nei passi citati dei Grundrisse, il termine Gemeinwesen viene adoperato in rapporto a due elementi diversi: da un lato, viene utilizzato per indicare le forme precapitalistiche, dall’altro, ricorre per denotare il denaro, vera comunità, appunto, nel capitalismo. In questa seconda accezione, in relazione al denaro, appare particolarmente evidente perché Marx adoperi non il termine Gemeinschaft, ma il termine Gemeinwesen, indicante un essere comune più che una comunità staticamente fissata. D’altronde, il capitale presenta come sua tendenza immanente quella di configurarsi come mercato mondiale, e il denaro costituisce la materializzazione di tale dinamica. Se il denaro è il vero Gemeinwesen, il rapporto fra gli individui non può che caratterizzarsi all’insegna della Zufälligkeit. Gli individui si rivelano sottomessi a un elemento astratto, che presenta una doppia “faccia”, economica (il denaro, la moneta) e giuridica (l’”Eden dei diritti dell’uomo”), dal momento che il contratto costituisce l’altro lato dello scambio[52]. “Nella totalità dell’attuale società borghese, questo ridurre a prezzi, la loro circolazione ecc. si presentano come il processo superficiale al fondo del quale invece si verificano ben altri processi nei quali questa apparente uguaglianza e libertà dell’individuo (scheinbare Gleichheit und Freiheit der Individuen) scompare […] si dimentica che […] l’individuo ha ormai un’esistenza soltanto come entità produttiva di valore di scambio, nel che è già implicita la negazione totale della sua esistenza naturale, che esso dunque è totalmente determinato (bestimmt) dalla società (Gesellschaft)”[53].
E’ necessario approfondire l’elemento appena esaminato, e quindi il rilievo sul nesso individuo-socialità, non in termini trans-storici, ma sulla base di un’indagine specifica del sistema capitalistico, con le sue contraddizioni specifiche. D’altronde, tale idea della socialità dell’uomo, all’interno di un contesto determinato, risultava fortemente presente già nei primi scritti marxiani, caratterizzati dal richiamo all’uomo come ente generico, come Gattungswesen. Al di là dei limiti presenti nel rilievo sul Gattungswesen, occorre però precisare che, anche nei primi scritti, e persino nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, testo in cui l’ente generico gioca un ruolo particolarmente rilevante, il Gattungswesen non presenta un carattere astratto, configurandosi come un “essere sociale (das gesellschaftliche Wesen)”, le cui manifestazioni “sono quindi una espressione e una conferma della vita sociale”[54]. Oggetto d’analisi risulta, quindi, l’uomo sociale, in quanto inserito in un determinato contesto, e non un individuo isolato, che si configura come una mera astrazione. Ma, per approfondire tale problema, relativo all’uomo sociale, con la sua intrinseca duplicità, all’interno della critica dell’economia politica risultano decisivi i due passi evocati all’inizio dell’articolo, e che insistono sull’idea dell’uomo come zoon politikon. Inizio dal primo passo, contenuto nella Einleitung del ’57: “E’ soltanto nel XVIII secolo, nella ‘società civile (bürgerliche Gesellschaft)’, che le diverse forme del contesto sociale si contrappongono all’individuo come un puro strumento per i suoi scopi privati, come una necessità esteriore. Ma l’epoca che genera questo modo di vedere, il modo di vedere dell’individuo isolato (des vereinzelten einzelnen), è proprio l’epoca dei rapporti sociali (gesellschaftliche Verhältnisse) (generali da questo punto di vista) finora più sviluppati [… ] L’uomo (Mensch) è nel senso più letterale uno zoon politikon, non soltanto un animale sociale (ein geselliges Tier), ma un animale che solamente nella società può (kann) isolarsi (sich vereinzeln)”[55]. Il secondo passo rilevante al riguardo è contenuto nel capitolo sulla cooperazione del primo libro del Capitale: “[…] l’uomo è per natura un animale, se non politico, come pensa Aristotele, certo sociale”. E, in nota (13), aggiunge: “Propriamente, la definizione di Aristotele dice che l’uomo è per natura cittadino. Essa è caratteristica dell’antichità quanto è caratteristica dello spirito yankee la definizione del Franklin, che l’uomo è per natura ‘facitore di strumenti’”[56].
Di nuovo emerge la centralità del “sociale”: nel Capitale l’analisi della cooperazione fa emergere la dimensione della società nel suo carattere di produttività, con l’ambivalenza di tale elemento: si tratta di un rilievo sul processo di individuazione contenuto nella cooperazione capitalistica di molti individui, nella potenza sociale derivante dalla loro attività lavorativa. Il carattere sociale del processo produttivo si rivela nella misura in cui il mio lavoro diventa equiparabile al lavoro di un altro: tale commensurabilità dei diversi lavori li rende sociali. In questo senso, come risalta dal passo del Capitale, il riferimento all’aristotelico “zoon politikon” deve venir interpretato operando una “trasvalutazione” rispetto al significato e all’orizzonte aristotelici. Appare necessario insistere, in primo luogo, sull’elemento della socialità come costitutivo, e in secondo luogo, sulla presenza di una determinazione specifica, vale a dire sul richiamo al capitalismo. Così il richiamo allo zoon politikon è indice della permanenza di un’antropologia in Marx, ma concependo tale elemento non in termini astratti, sulla base di una sorta di natura umana, ma a partire da un’indagine storicamente condizionata, del meccanismo capitalistico, e dalla possibilità di andare oltre rispetto ad esso, ma tenendo conto delle condizioni materiali esistenti. Comunque sia, per ritornare al primo passo citato, presente nella Einleitung del ’57, Marx mette in luce un aspetto precedentemente rimarcato, vale a dire la compenetrazione fra dimensione sociale e isolamento: sviluppo impetuoso dei rapporti sociali ed esistenza di una struttura di indifferenza costituiscono le due facce di una stessa medaglia. Così la ripresa della definizione aristotelica dell’uomo come zoon politikon viene riarticolata a partire dall’elemento appena ricordato. Si rivela però necessaria un’ulteriore problematizzazione, derivante dall’idea secondo cui l’uomo “kann sich vereinzeln”: l’isolamento costituisce una condanna, in quanto sussunzione a una gesellschaftliche Macht che è anche fremde Gewalt, ma anche una potenzialità: d’altronde, il verbo können sta ad indicare anche una dimensione potenziale. L’isolamento presuppone una certa indipendenza, impensabile all’interno degli assetti precapitalistici. La frase sopra citata può venir tradotta anche nel seguente modo: “l’uomo può valere come singolo”, può singolarizzarsi, a partire da una certa situazione sociale e politica ma senza risultare riducibile a essa.
L’individuo, in quanto dotato di indipendenza, e la società, in quanto nesso complesso di relazioni, costituiscono un “portato” del capitalismo, nel carattere espansivo di tali elementi e anche nel loro volto “spettrale”: infatti il capitalismo piega gli individui alla loro funzione sociale, individuandoli secondo il possesso del denaro, “vera comunità”, e quindi fondando il dominio politico sull’apparente libertà del lavoro. Così è possibile parlare di società in senso stretto solo con il capitalismo, quando la merce è diventata la forma generale di organizzazione e l’attività che produce merci è divenuta dominante. Il sistema capitalistico, in quanto fondato sulla produzione per la produzione e non per il consumo, richiede agli individui un’astrazione che Marx definisce come astrazione dai particolari valori d’uso, bisogni e interessi. La produzione come elemento-chiave si dispiega fino in fondo solo con il sistema capitalistico, dal momento che i mezzi di produzione si sono storicizzati e si sono già storicizzati e spersonalizzati anche i rapporti di proprietà. E’ lo stesso sviluppo capitalistico che tende a subordinare ogni rapporto politico al rapporto sociale, e ogni rapporto sociale al rapporto di produzione. Il capitalismo rappresenta il primo modo di produzione integralmente sociale, nel senso insieme espansivo e spettrale del termine, all’interno del quale la centralità del “sociale” si configura come l’altra “faccia” della serialità individuale.
Comunque sia, costitutivo del capitale, come rapporto sociale e non cosa, è un antagonismo strutturale, dal momento che sia la forza-lavoro sia i singoli capitalisti tendono a sottrarsi alla costrizione del rapporto: la prima affermando politicamente la propria libertà in quanto autonomia, i secondi sostenendo il primato naturale della cosa. Tale ordinamento si configura come il momento fondamentale di un processo di astrazione, basato sulla sussunzione delle precedenti forme lavorative e delle corrispondenti forme associative. Il capitalismo, proprio in quanto fondato sul rapporto sociale, si carica di una forte politicità: la società, connessa al sistema capitalistico, “piega” i singoli al loro ruolo, e quindi li individua sulla base del possesso di denaro, basando così la “schiavitù” politica sulla ”libertà apparente” del lavoro. Come emerge anche dalla tematizzazione dei Grundrisse, la classe in senso proprio rappresenta un segno distintivo del sistema capitalistico. In ogni caso, anche se individuassimo rapporti di classe prima del capitalismo, dovremmo rilevare che l’esistenza di un’opposizione di classe nelle forme precapitalistiche non aveva mai eroso l’unità uomo-terra: solo con il capitalismo tale unità è stata distrutta. La lotta di classe, anche se talvolta sembra diversamente (si pensi al Manifesto), costituisce un elemento specifico del sistema capitalistico, e la prima lotta di classe in senso stretto, per Marx, è la “rivoluzione brutta” del giugno 1848 in Francia. La rivoluzione industriale crea quei ceti operai che nel 1848 fanno la loro vera prima comparsa come soggetto rivoluzionario: nel XIX secolo la “nuova Rivoluzione francese” non potrà che configurarsi come una “rivoluzione sociale” (Le lotte di classe in Francia). Così l’antagonismo costituisce una condizione decisiva del sistema capitalistico, con le sue contraddizioni specifiche. Il denaro viene così a determinare una dissimmetria fra gli individui, solo apparentemente uguali. Il discorso marxiano appare radicalmente critico sia nei confronti della concezione liberale, fondata sull’identificazione fra libertà e proprietà privata, sia nei confronti degli ideologi socialisti (come Proudhon), che ritenevano ingenuamente di poter separare “il lato buono” e il “lato cattivo” di tale processo: non si tratta di accettare e valorizzare la libertà capitalistica, e, allo stesso tempo, di eliminare la cogenza del potere oggettivo rappresentato dal denaro. Ma “nella società borghese il lavoratore, ad esempio, non ha un’esistenza oggettiva, esiste solo soggettivamente (subjektiv); ma la cosa che gli si contrappone è ora diventata la vera comunità (das wahre Gemeinwesen), che egli cerca di far sua e dalla quale invece viene ingoiato”[57]. Per Marx l’Arbeiter si configura come pura soggettività secondo una temporalità lacerata e secondo una dissimmetria fra le classi, provocata dal denaro, “vera comunità”. Cruciale è tale “spaccatura in due” della società (l’uno si divide in due), rispetto alla quale Marx fa propria la parte della “soggettività senza oggetto” dell’Arbeiter, della classe operaia, nella sua negazione “pratica” di tutto ciò che è funzionale al sistema.
Alla base del discorso si trova, in contrapposizione a quel “lavoro morto” che è il capitale, la tensione soggettiva del lavoro vivo, in quanto valore d’uso della forza-lavoro. Il singolo operaio deve vendere quella merce peculiare che è la forza-lavoro, che nel Capitale viene concepita come potenza, dynamis, e quindi definita come “insieme delle attitudini (Fähigkeit) fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d’un uomo”[58]. Nel momento in cui si vende qualcosa che esiste solo come possibilità, esso non può essere staccato dalla corporeità del lavoratore: “Nella misura in cui deve essere presente temporalmente, come lavoro vivo, esso può esserlo soltanto come soggetto vivo (lebendiges Subjekt), in cui esiste come capacità (Fähigkeit), come possibilità (Möglichkeit); perciò come operaio. L’unico valore d’uso perciò che può costituire opposizione al capitale è il lavoro”[59]. Emerge la duplicità del discorso: per un verso, la forza-lavoro è finalizzata alla valorizzazione del capitale, per l’altro, costituisce una possibile opposizione dirompente al capitale. Al riguardo è necessaria una precisazione: l’interpretazione politica della classe, fin qui delineata, non implica l’idea dell’immediatezza della lotta. Come aveva sottolineato Sartre, “[…] la classe operaia non può mai esprimersi interamente come soggetto politico attivo: ci saranno sempre delle zone o delle regioni o frange che […] resteranno serializzate, massificate, estranee a una presa di coscienza. Un residuo c’è sempre”[60]. Ritorna la questione del rapporto complesso, non di mera deduzione, fra critica dell’economia politica e politica. E gli individui che formano la classe, per utilizzare una terminologia lacaniana, insieme “sono parlati” e “parlano”, sono agiti e agiscono. Ci si trova di fronte a una produzione di soggettività, intendendo il genitivo sia come genitivo soggettivo sia come genitivo oggettivo, sulla base di una lettura irriducibile sia a soggettivismo sia a oggettivismo. Il processo di valorizzazione del capitale produce le figure soggettive del capitalista e dell’operaio salariato, ma al tempo stesso non appare logicamente possibile a prescindere da queste figure. In ogni caso, tali considerazioni sulla forza-lavoro (Arbeitskraft), termine usato nel Capitale, o, per usare la terminologia dei Grundrisse, sulla capacità di lavoro (Arbeitsvermögen), mettono in risalto che il lavoratore si rivela come “soggetto vivo (lebendiges Subjekt), in cui esiste come capacità (Fähigkeit), come possibilità (Möglichkeit)”. La nozione di potenzialità, concepita nel senso di dynamis, permette di intendere le singolarità operaie nella loro connessione con le condizioni in cui si trovano, e quindi anche in una condizione di sfruttamento, ma nello stesso tempo nella loro eccentricità rispetto a tale scenario, dal momento che esiste un’eccedenza, rappresentata dalla corporeità vivente del lavoratore, che non può mai essere completamente “catturata” dal capitale. E la plasticità della forza-lavoro permette anche di andare al di là dell’individualità del singolo lavoratore, sulla base di una ”forza di massa” irriducibile a somma dei singoli componenti. La società, sottesa al modo di produzione capitalistico, nella sua struttura duale possiede un’instabilità essenziale, a causa non solo delle sue contraddizioni interne, ma anche delle insorgenze soggettive, che ne minano costantemente la compattezza. Non esiste uno sviluppo autonomo autoreferenziale del capitale rispetto alle lotte.
In ogni caso, per Marx il superamento dello “stato di cose presente” non può venir riconosciuto né nell’unità superiore dello Stato, né nella società come elemento da contrapporre allo Stato. Il tentativo marxiano risiede nel destituire l’opposizione (o la reciproca implicazione) di società civile e Stato. Tra l’altro, al riguardo andrebbero riattivate alcune osservazioni gramsciane dei Quaderni del carcere, che rimarcano la centralità dell’elemento dello Stato per la riproduzione dello sfruttamento capitalistico. In tal senso, è necessario riflettere anche sulla compenetrazione fra società e Stato. Marx appare comunque lontanissimo dagli ideologi socialisti: il superamento della separazione “sociale”-“politico” non avviene attraverso un’ipostatizzazione del “sociale”, ma attraverso una radicale destrutturazione di tale antitesi. Il comunismo può venir interpretato come tentativo di accumunare, contro lo sfruttamento insito nella configurazione del lavoro nel sistema capitalistico, le singolarità operaie. Il comunismo non è sic et simpliciter egualitarismo, configurandosi come differenziazione delle individualità, irriducibile a piatta uniformità, o alla serialità della fabbrica, dal momento che “essere lavoratore produttivo non è una fortuna, ma una disgrazia”[61].
Così dalle prime opere marxiane, fino ad arrivare al Capitale e agli ultimi scritti storico-politici, si verifica una destrutturazione dell’elemento della società, nel suo radicamento nella dinamica del lavoro. L’intera Critica del Programma di Gotha, poi, è sorretta dal rilievo sulla necessità di una discontinuità nei confronti non di questo o di quell’assetto, ma della struttura stessa della società borghese, che è fondata sul rapporto salariale: è interessante rilevare che, in tale testo, Marx adopera sia l’espressione bürgerliche Gesellschaft sia l’espressione kapitalistische Gesellschaft[62], per denotare quella situazione nella quale l’Arbeiter “deve essere, in tutte le condizioni di società e di civiltà, schiavo degli altri uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro”[63]. Poi un’esemplificazione storica rilevante, negli anni ’70, è rappresentata dalla Comune di Parigi, “forma politica infine scoperta con cui compiere l’emancipazione economica del lavoro”[64]: tale “governo della classe operaia” mette in forma l’emancipazione sociale. Non si tratta più di ragionare semplicemente in termini di presa del potere (le leggi del rapporto capitalistico sono più durature delle sue forme politiche), ma in termini di distruzione dello Stato-macchina. La Comune non si configurava come uno Stato nel senso proprio della parola, mettendo in discussione le istituzioni statali e non reggendosi su un sistema rappresentativo: tutti gli amministratori devono essere eleggibili e costantemente sottoposti al controllo popolare. In ogni caso, occorre rimarcare che la Comune viene definita come “repubblica sociale”, e qui l’aggettivo “sociale” si trova in una posizione di confine: da un lato, esso viene sottoposto a critica, in quanto si tratta della socialità capitalistica (d’altronde, la stessa cooperazione è la forma generale della produzione capitalistica), per l’altro, costituisce un’opposizione a tale logica. Non si tratta di interpretare la Comune né come un modello filosofico-politico né come un modello costituzionale, ma come la forma specifica in cui Marx individuò, in quel contesto determinato, una materializzazione della dittatura del proletariato, nella sua internità e nella sua esternità rispetto a ciò che viene sottoposto a critica. D’altronde, non esiste una politica marxista altra rispetto a quella che sorge dal movimento storico stesso: qui ritorna la questione della non omologia tra pensiero e realtà come costitutiva del pensiero marxiano.
Comunque sia, al di là della tentazione problematica, che talvolta riaffiora anche negli ultimi scritti marxiani, di dare vita a una piena trasparenza dei rapporti, l’aspetto decisivo è costituito dal tentativo di intendere il “comunismo”, la “comunità reale”, l’”associazione di uomini liberi”, il “regno della libertà”, in radicale distonia rispetto alla compenetrazione fra dimensione sociale e indifferenza. Occorre precisare che in Marx non è presente una differenziazione chiara ed univoca dei concetti, e quindi, ad esempio, la nozione di Gesellschaft viene adoperata anche per indicare la società comunista (e non solo quella borghese): in questo senso, trapassa nei concetti di Verein e di Assoziation. Anche se il termine Gesellschaft viene utilizzato anche per connotare il comunismo, lo sforzo marxiano consiste nel dare vita a una destituzione della società, in quanto la società è quella funebre del capitale, cosicché società civile e Stato, nella loro interdipendenza e anche nella loro separazione (si pensi all’idea dello “Stato-macchina”), vengono sottoposte a una critica radicale. Poi, come sottolineato in precedenza, la nozione di Gemeinschaft, molto presente nell’Ideologia tedesca, in seguito verrà abbandonata, in quanto troppo sottoposta al rischio di venire ipostatizzatizzata in una scheinbare Gemeinschaft, fondata sulla spoliazione individuale. Per denotare la dimensione comune può venir adoperato, piuttosto, il termine Gemeinwesen, con il suo dinamismo, con la sua connessione con un agire che accumuna gli individui, nel suo configurarsi come “campo di forze” non immediatamente componibili. Engels, in una lettera a Bebel del 1875, rimarcò proprio l’importanza dell’utilizzo del termine “Gemeinwesen, una buona vecchia parola tedesca che può fare molto bene le veci del termine francese commune”[65]. Ci si trova di fronte alla destrutturazione di ogni contrapposizione fra individualismo e organicismo, sulla base di un continuo “scambio” fra l’individuale e il collettivo, scambio che deve essere interpretato a partire da una pratica di trasformazione. In questo scenario, si rivela importante il riferimento al termine Gemeinwesen, che può mettere in risalto, del comunismo, il carattere di dimensione comune nella sua apertura e quindi nella sua irriducibilità a una specifica Gemeinschaft, comunità, che inevitabilmente si presenta come la perimetrazione di un territorio, secondo un meccanismo di disciplinamento.
Il comunismo si configura, però, non solo come movimento, ma anche come organizzazione. Citando un celebre passo contenuto nel primo libro del Capitale, si tratta di “un’associazione (Verein) di uomini liberi che lavorino con mezzi di produzione comuni e spendano coscientemente le loro molte forze-lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale”[66], e che quindi danno vita a un controllo cosciente della produzione secondo un piano. Per definire il comunismo come organizzazione, viene adoperato il termine Verein, associazione, unione, e non Gemeinschaft. Il limite del discorso è costituito dal fatto che il termine “associazione” possiede un carattere abbastanza generico e indeterminato, e in tal senso risulta elusivo in merito alla questione delle strutture autoritative presenti, e alla modalità con cui vengono regolati i rapporti fra gli individui. Ma il termine “associazione”, pur con il rischio indicato, risponde a un’esigenza molto forte in Marx, consistente nel concepire il comunismo, per riprendere il Manifesto del partito comunista, come un’associazione (Assoziation) in cui “il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”[67], a testimonianza della centralità della questione individuale. Nel Manifesto si adoperava il termine Assoziation, molto simile al termine Verein, utilizzato nel Capitale, connotando un’associazione, più che una comunità in senso stretto. L’elemento dell’associazione, più che l’elemento della comunità, permette di mantenere aperto il rapporto fra dimensione individuale e dimensione collettiva, senza asservire la dimensione individuale a una dimensione collettiva “onnicomprensiva”, una sorta di Leviatano. Per riprendere il passo del Manifesto, il “ciascuno” è condizione di possibilità del “tutti”. Non a caso, nel terzo libro del Capitale il comunismo viene definito come “regno della libertà”: forte è la tensione verso la libertà, ovviamente concepita in modo radicalmente diverso che nel liberalismo, e quindi rompendo il nesso fra libertà e proprietà privata. In ogni caso, pur con alcuni limiti (basti pensare, ad esempio, al troppo facile andamento dialettico nel passaggio dal regno della necessità al regno della libertà), il tentativo è di dare vita a una cooperazione fra singolarità, tenendo insieme il carattere antagonistico del movimento e la consapevolezza della necessità di un’istituzione, in cui siano presenti assetti autoritativi, ma non secondo una gerarchia staticamente definita, e in cui l’“agire in comune (gemeinsam handeln)”[68] dei lavoratori non venga neutralizzato. In questo discorso il “sociale” viene sottoposto a una fortissima tensione, venendo insieme destrutturato e riarticolato, portando l’emancipazione all’interno del rapporto di produzione. Così è possibile riattivare, in rapporto al comunismo, l’idea dell’uomo come zoon politikon, come animale sociale, sulla base della riarticolazione marxiana di tale elemento. Nell’”associazione di uomini liberi”, l’uomo, in quanto zoon politikon, può valere come singolo, facendosi carico del proprio agire, non in distonia con l’agire collettivo.
[1] Cfr. Louis Althusser, Per Marx (1965), trad. it. a cura di C. Luporini, Editori Riuniti, Roma 1967.
[2] Cfr. Luca Basso, Socialità e isolamento: la singolarità in Marx, Carocci, Roma 2008.
[3] Cfr. Maurizio Ricciardi, La società come ordine. Storia e teoria politica dei concetti sociali, Eum, Macerata 2010.
[4] Cfr. Reinhart Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici (1979), trad. it. di A. M. Solmi, Marietti, Genova 1986, pp. 55-72.
[5] Karl Marx, Kritik des Hegel’schen Staatsrechts (1843, post. 1927), in K. Marx-F. Engels, Werke (d’ora in avanti, MEW), 1, Dietz Verlag, Berlin 1961, pp. 203-333: 284-285, trad. it. a cura di R. Finelli-F. S. Trincia, Critica del diritto statuale hegeliano, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1983, pp. 41-239: 160-161.
[6] Cfr. Roberto Finelli-Francesco Saverio Trincia, Commentario, in K. Marx, Critica del diritto statuale hegeliano, cit., pp. 241-695, in part. pp. 521-551.
[7] Cfr., ad es., Roman Schnur, Individualismo e assolutismo (1963), trad. it. di E. Castrucci, Giuffré, Milano 1979.
[8] Alexis de Tocqueville, La democrazia in America (1835-1840), trad. it. a cura di G. Candeloro, Rizzoli, Milano 19992, Padre seconda, cap. II, p. 515.
[9] Id., L’antico regime e la rivoluzione (1856), trad. it. a cura di G. Candeloro, Rizzoli, Milano 20065, Libro II, cap. IX, pp. 135-136.
[10] Karl Marx, Zur Judenfrage, in “Deutsch-Französische Jahrbücher”, 1844, in MEW, 1, 1961, pp. 347-377: 367-368, trad. it. a cura di M. Tomba, La questione ebraica, in B. Bauer, K. Marx, La questione ebraica, il Manifestolibri, Roma 2004, pp. 173-206: 196.
[11] Cfr. Karl Marx, Thesen über Feuerbach (1845), in MEW, 3, 1962, pp. 5-7: 6, trad. it. a cura di F. Codino, Tesi su Feuerbach, in K. Marx-F. Engels, Opere, V, 1845-1846, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 3-5: 4. Balibar valorizza, riattivando la tematizzazione simondoniana, l’elemento del “transindividuale” come costitutivo del discorso marxiano, al di là di individualismo e organicismo (o olismo): Etienne Balibar, La filosofia di Marx (1993), trad. it. di A. Catone, manifestolibri, Roma 1994, p. 36.
[12] Karl Marx- Friedrich Engels, Die Deutsche Ideologie. Kritik der neuesten Philosophie in ihren Repräsentanten Feuerbach, B. Bauer und Stirner, und des deutschen Sozialismus in seinen verschiedenen Propheten (1845-1846, pubbl. post. 1932) (d’ora in avanti, DI), in MEW, 3, 1962, p. 36, trad. it. di F. Codino, L’ ideologia tedesca. Critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti, Editori Riuniti, Roma (19939), p. 65.
[13] Ivi, p. 194, trad. it., p. 195.
[14] Ivi, p. 36, trad. it., p. 26.
[15] Ivi, p. 36, trad. it., p. 66.
[16] Cfr. Hans-Jürgen Krahl, Attualità della rivoluzione. Teoria critica e capitalismo maturo (1971), trad. it. di S. De Waal, manifestolibri, Roma 1998, pp. 158-159.
[17] Karl Marx-Friedrich Engels, Die heilige Familie, oder Kritik der kritischen Kritik. Gegen Bruno Bauer und Konsorten (1845), in MEW, 2, 1962, pp. 3-323: 123, trad. it. a cura di A. Scarponi, La Sacra famiglia, ovvero Critica della critica critica. Contro Bruno Bauer e soci, in Opere, IV, 1844-1845, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 3-234: 130.
[18] Friedrich Engels, Die Lage der arbeitenden Klasse in England (1844), in MEW, 2, pp. 227-506: 306, trad. it. a cura di A. Scarponi, La situazione della classe operaia in Inghilterra, in K. Marx-F. Engels, Opere complete, IV, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 235-514: 310.
[19] DI, pp. 74-75, trad. it., pp. 54-55.
[20] Ivi, p. 66, trad. it., p. 62
[21] Cfr. Manfred Riedel, Gesellschaft–Gemeinschaft, in O. Brunner-W. Conze-R. Koselleck (hrsg. von), Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, Klett-Cotta, Stuttgart 19943, Band 2, pp. 801-862.
[22] DI, p. 34, trad. it., p. 24.
[23] Ivi, p. 229, trad. it., pp. 229-230.
[24] Ivi, p. 194, trad. it., p. 195.
[25] Ivi, p. 364, trad. it., p. 368.
[26] Ivi, p. 208, trad. it., p. 208.
[27] Karl Marx, Misère de la philosophie. Réponse à la philosophie de la misère de Proudhon (1847, post. 1885), in MEW, 4, 1959, pp. 63-182: 122-123, trad. it. di F. Rodano, Miseria della filosofia. Risposta alla “Filosofia della miseria” del signor Proudhon, Editori Riuniti, Roma 19932, p. 61.
[28] DI, p. 75, trad. it., p. 54.
[29] Cfr. Claude Lefort, Le forme della storia. Saggi di antropologia politica (1978), trad. it. di B. Aledda e P. Montanari, il Ponte, Bologna 2005, in part. pp. 204-205.
[30] DI, p. 54, trad. it., p. 54.
[31] Sul carattere intrinsecamente politico della classe rimane decisivo il riferimento all’operaismo, pur nella varietà delle sue declinazioni. Si veda Mario Tronti, Operai e capitale, (1966), Einaudi, Torino 19802, p. 188, che sottolinea che la teoria della rivoluzione è interamente contenuta nella definizione politica di classe operaia; in relazione ai Grundrisse: Antonio Negri, Marx oltre Marx (1977), manifestolibri, Roma 1998. Sulla differenza fra tale concezione e la lettura althusseriana in merito al rapporto fra critica dell’economia politica e politica: Luca Basso, Critica dell’economia politica e politica. Fra Althusser e Marx, in “Spazio filosofico”, 1, 2013, pp. 119-125.
[32] Cfr. DI, pp. 74-75, trad. it., p. 57.
[33] Ivi, pp. 424-425, trad. it., p. 430.
[34] Ivi, p. 246, trad. it., p. 245.
[35] Cfr. Etienne Balibar, Cinque saggi di materialismo storico (1974), trad. it. di C. Mancina, De Donato, Bari 1976, pp. 67-103.
[36] Karl Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie. Erster Band. Buch I: Der Produktionsprozeß des Kapitals (1867, 1890), (d’ora in avanti, K), in MEW, 23, 1962, pp. 19-20, trad. it. a cura di D. Cantimori, Il capitale. Critica dell’economia politica. Libro primo. Il processo di produzione del capitale, Editori Riuniti, Roma 19915, pp. 38-39.
[37] Einleitung, in Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie (Rohentwurf) (1857-1858, post. 1941) (d’ora in avanti, G), in MEW, 42, 1983, p. 19, trad. it. di E. Grillo, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, La Nuova Italia, Firenze 19973, I, pp. 3-4.
[38] Ivi, p. 39, trad. it., pp. 32-33.
[39] Ivi, p. 41, trad. it., p. 35.
[40] G, p. 384, trad. it., II, pp. 95-96.
[41] Ivi, p. 91, trad. it., I, p. 97.
[42] Ivi, p. 395, trad. it., II, p. 111.
[43] K, I, p. 16, trad. it., p. 34.
[44] G, p. 323, trad. it., pp. 11-12.
[45] Cfr. Ivi, p. 383, trad. it., p. 95: “[…] un […] presupposto (del capitale) è la separazione (Trennung) del lavoro libero dalle condizioni oggettive della sua realizzazione – ossia dal mezzo di lavoro e dal materiale di lavoro. Abbiamo, dunque, prima di tutto, il distacco del lavoratore dalla terra quale suo laboratorio naturale, quindi la dissoluzione tanto della piccola proprietà fondiaria libera quanto della proprietà fondiaria collettiva basata sulla comunità orientale”.
[46] Ivi, p. 189, trad. it., p. 242.
[47] K, I, p. 66, trad. it., p. 104.
[48] G, pp. 89-90, trad. it., I, pp. 96-97.
[49] Ivi, pp. 96-97, trad. it., I, pp. 106-107.
[50] Ivi, pp. 90-91, trad. it., I, pp. 97-98.
[51] Ivi, p. 149, trad. it., I, p. 183.
[52] Sul rapporto fra dimensione economica e dimensione giuridica rimane decisiva la riflessione di Pašukanis: Evgenij Bronislavovič Pašukanis, La teoria generale del diritto e il marxismo (19273), trad. it. a cura di U. Cerroni, De Donato, Bari 1975.
[53] G, p. 173, trad. it., I, p. 218.
[54] Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844 (1844, pubbl. post. 1932), in MEW, 40, 1985, pp. 465-588: 538-539, trad. it. a cura di N. Bobbio, Manoscritti economico-filosofici, Einaudi, Torino 1968, pp. 114-115.
[55] Einleitung, in G, p. 20, trad. it., I, p. 5.
[56] K, I, p. 346, trad. it., p. 368.
[57] G, p. 404, trad. it., II, pp. 123-124.
[58] K, I, p. 181, trad. it., p. 200. Cfr. P. Virno, Il ricordo del presente. Saggio sul tempo storico, Bollati Boringhieri, Torino 1999, pp. 119-141.
[59] G, pp. 197-198, trad. it., I, p. 251-252.
[60] Cfr. Jean-Paul Sartre, Masse, spontaneità, partito (1969), trad. it. a cura di R. Kirchmayr, in J.-P. Sartre, L’universale singolare. Saggi filosofici e politici 1965-1973, Mimesis, Milano 2009, pp. 175-191: 179.
[61] K, I, p. 532, trad. it. mod., p. 556.
[62] Karl Marx, Kritik des Gothaer Programms (1875, post. 1891), in MEW, 19, 1962, pp. 11-32: 28, trad. it. di P. Togliatti, Critica del programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma 1976 (19902), pp. 29-30.
[63] Ivi, p. 15, trad. it., p. 8.
[64] Id., The Civil War in France, First Draft (1871), in Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA), I, 22, März-November 1871, Text und Apparat, Dietz Verlag, Berlin 1978, p. 142, trad. it. a cura di M. Vanzulli, in Marx e Engels, Opere, XXII, luglio 1870-ottobre 1871, La Città del Sole-Editori Riuniti, Napoli 2008, p. 299.
[65] Friedrich Engels a August Bebel, 18-28/03/1875, in MEW, 34, 1966, p. 129, trad. it. di A. Montefusco, K. Marx-F. Engels, Inventare l’ignoto. Testi e corrispondenze sulla Comune di Parigi, Edizioni Alegre, Roma 2011 p. 249. Sulla rilevanza della dimensione comune: Luca Basso, Agire in comune. Antropologia e politica nell’ultimo Marx, ombre corte, Verona 2012.
[66] K, I, p. 92, trad. it., p. 110.
[67] Karl Marx- Friedrich Engels, Manifest der kommunistischen Partei (1848), in MEW, 4, 1959, pp. 459-493: 482, trad. it. a cura di E. Cantimori Mezzomonti, Manifesto del partito comunista, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 121.
[68] K, I, p. 770, trad. it., p. 805.
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