Giacomo Bottos
Ci sono alcuni concetti nelle filosofie dell’idealismo tedesco che riassumono entro di sé le complessità della problematica che sono chiamati ad esprimere e mediare e che riflettono con la loro plurivocità le tensioni di una struttura sistematica e dell’evoluzione di un pensiero.
E’ senz’altro da annoverare tra questi il concetto di astrazione nella filosofia hegeliana, che il libro di Jamila M.H. Mascat tematizza facendo principalmente riferimento al periodo jenese.
Attraverso la scomposizione prismatica dei diversi significati di astrazione la Denkweg jenese viene ripercorsa in maniera originale. Sul senso di questo ripercorrimento è la stessa autrice a interrogarsi nella Premessa, nella quale esplicita alcune scelte fondamentali che orientano la ricerca. Un primo criterio riguarda l’atteggiamento nei confronti della letteratura secondaria. All’interno di una generale vastità di riferimenti, discussi in maniera sempre intelligente e critica, una particolare attenzione è destinata a quelle interpretazioni caratterizzate da un tentativo di mettere in comunicazione -o in tensione- il pensiero di Hegel con l’epoca che i vari interpreti si sono trovati a vivere. La decisione di confrontarsi preferibilmente con questo tipo di tendenze interpretative, che hanno trovato posto spesso più nel passato che nella contemporaneità della Hegelforschung, riflette un’opzione che è al tempo stesso di metodo e di contenuto: un modo di rapportarsi all’autore ma anche di interpretare il tema della critica dell’astrazione. In un primo senso infatti l’astrazione può essere intesa come linea di fuga rispetto alla concretezza del tempo storico, della vita, della realtà umana1. Ma a questa astrazione teoretica può essere affiancata un’astrazione storica, immanente cioè al divenire stesso della società borghese e al costituirsi della società civile in senso moderno2. E’ questa la prima divisione che incontriamo nell’analisi del significato del concetto di astrazione, divisione che si riflette anche nella struttura del libro, diviso in due parti, la prima dedicata appunto alla critica dell’astrazione teoretica e la seconda alla critica dell’astrazione nel mondo storico. Ma questa è solo la prima delle molteplici sfaccettature del concetto di astrazione, che si rivelano progressivamente nel corso della trattazione.
Un’altra fondamentale opposizione, questa volta traversale all’intero saggio, è quella tra una valutazione negativa e critica dell’astrazione e il riconoscimento della sua necessità come momento ineludibile e perfino costruttivo. Se da un lato si può comprendere in prima approssimazione il rapporto tra questi due modi di considerare l’astrazione secondo uno schema di evoluzione diacronica3 che ha come telos ideale (anche se la trattazione si ferma alle lezioni jenesi del 1805-1806) il pieno riconoscimento del ruolo centrale del negativo che Hegel compie nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, d’altra parte le due concezioni si possono considerare, in forme e in gradi di elaborazione diversi, come compresenti in pressoché tutti gli stadi della meditazione compiuta da Hegel a Jena. Se infatti nella critica alle Reflexionphilosophien compiuta nella Differenz e in Glauben und Wissen l’atteggiamento critico è preponderante, non mancano tuttavia gli accenni ad una diversa e più complessa concezione del negativo (come nelle considerazioni sulla riflessione come strumento del filosofare). E d’altra parte la tendenza insita nel sapere astratto-intellettivo a cristallizzare le opposizioni permane come una costante: basti pensare alle pagine della Prefazione alla Fenomenologia sulla critica al sapere matematico e formalistico. E’ questo carattere di duplicità intrinseca dell’astrazione uno dei problemi teoretici più affascinanti che gli scritti jenesi di Hegel, più che quelli di altri periodi, pongono alla riflessione.
Ma cos’è l’astratto? L’autrice, nell’assenza di una definizione esplicita di Hegel lo spiega così: “l’astratto (abs-tractum) etimologicamente è il “separato”, il risultato di un procedimento riflettente che produce opposizione e cristallizza i termini della scissione” 4 . La forma che questa scissione assume all’epoca di Hegel ha, in ambito filosofico una fisionomia definita: quella delle Reflexionphilosophien di Kant, Fichte, Jacobi, Reinhold, Schulze. E nel confronto critico che Hegel ingaggia quando finalmente raggiunge il “campo di battaglia” jenese da subito si intrecciano piano teoretico e piano storico. Se infatti la critica verte essenzialmente sulle strutture teoretiche di queste filosofie la genesi di queste strutture viene da subito ricondotta ad un’embrionale filosofia della storia, che porta a vederle come il risultato congiunto dell’Entzweiung dell’epoca e del principio del Nord che è proprio del mondo germanico.
In relazione a questo tema emerge un aspetto di grande interesse del libro, ovvero la messa in luce della profonda diversità di atteggiamento di Hegel rispetto alle filosofie tedesche da un lato e al pensiero francese dei Lumi dall’altro. Pur essendo entrambe queste manifestazioni del pensiero espressioni di uno stesso tempo storico, il giudizio fortemente negativo formulato da Hegel intorno alle prime non è trasferibile senza specificazioni al secondo. Nel secondo capitolo della prima parte ha luogo un interessante lavoro di ricostruzione delle posizioni hegeliane nei confronti della filosofia francese, a partire dalle frammentarie indicazioni sparsi nei testi jenesi. Se dal punto di vista del valore teoretico i pensatori francesi sono in genere considerati poco significativi, il loro atteggiamento e il loro modo di pensare è oggetto di molteplici apprezzamenti. La filosofia francese è considerata in rapporto alla sua necessità storica ed efficacia pratica. Contro la pedanteria e il filisteismo dell’Aufklärung si valorizza la mobilità e la spiritosità dell’illuminismo francese, contro l’ottusità del senso comune tedesco si enfatizza il buon senso di Voltaire, contro il vuoto ripiegamento nell’interiorità proprio dello spirito del Nord si appezza la capacità del pensiero francese di realizzarsi, di farsi pratico, al punto da dare origine al vero evento epocale della Rivoluzione francese, evento la cui importanza Hegel non negherà mai. In generale il pensiero francese (Voltaire, D’Holbach, Diderot, per non parlare dei pensatori ai quali Hegel riconosce una vera grandezza filosofica, come Montesquieu e Rousseau) assume la funzione di uno strumento polemico da contrapporre alla filosofia tedesca e, più in generale, come una forma di negatività che svolge una funzione critica, di distruzione della positività e del dogmatismo e che quindi costituisce un antidoto alla fissità. Libertà e violenza sono le prerogative di questo modo di pensare. Lo stesso topos della frivolezza della filosofia francese, diffuso all’epoca in Germania, viene da Hegel rovesciato in positivo.
Quando invece la filosofia tedesca si pone invece l’obiettivo di formalizzare i principi dell’illuminismo, con questo ottiene il risultato di irrigidirli e di neutralizzarne l’efficacia negativa [5. “Il lato positivo dell’Illuminismo consisteva, secondo Hegel, nel suo procedere negativo “senza costrutto”; il dramma delle filosofie imperfette è invece quello di aver cristallizzato la negatività astratta e d’averla innalzata a sistema. L’attitudine adottata dalle Reflexionsphilosophien – il formalismo che erige la divisione a sistema- eccede i limiti entro cui si era sviluppato il pensiero francese dei Lumi, poiché tale attitudine speculativa ha portato la scissione a un livello di approfondimento superiore.”, Ivi, p. 45.]. E’ questa situazione di irrigidimento che risveglia il bisogno della filosofia. Si pone allora il tema del ruolo della filosofia in rapporto alla scissione, tema che percorre i vari abbozzi che si succedono nella tensione verso una formulazione sistematica che non trova ancora, nel periodo di Jena, una sistemazione soddisfacente. Come già accennato, questo ruolo oscilla tra una funzione meramente negativa, di Vernichtung, più vicina al modello schellinghiano e un uso costruttivo dell’intelletto come strumento della ragione, nel quale la riflessione viene posta al servizio della speculazione. Nei primi scritti jenesi, sopratutto nella Differenz siamo più vicini alla prima concezione, mentre andando verso la Logica del 1804-1805 la seconda tende a prevalere. La pervicacia dell’intelletto è ciò che sopratutto dev’essere criticato, ovvero la volontà di persistere, di fissarsi in una posizione astratta. Tuttavia a tale pervicacia si oppone, fin dalla Differenz, la segreta efficacia della ragione, che guida inconsapevolmente l’intelletto nel suo dispiegarsi. Questa azione inconsapevole si lega al tema della Reflexion als Vernunft, tema che però rimane in questo scritto giustapposto al motivo schellinghiano dell’intuizione intellettuale 5. Nel passaggio a Glauben und Wissen viene accentuato l’elemento di storicità della ragione che nel testo precedente era solo accennato. Tale storicità viene introdotta proprio dalle differenti forme della scissione che assumono così un ruolo costruttivo nel determinare la configurazione delle differenti filosofie, pur rimanendo questo elemento perlopiù confinato nell’ambito dell’accidentalità. Anche nel Naturrechtsaufsatz a prevalere è, in un intreccio di critica teoretica ed applicazione pratica, l’elemento di critica di un’astrazione intesa come indebita universalizzazione di elementi particolari. Tanto nell’empirismo quanto nel formalismo l’astrazione si rivela essere falsa universalizzazione che enucleando singoli elementi dal rapporto con la totalità e attribuendo loro una supposta validità assoluta che viene fatta valere contro i contenuti opposti li rende falsi. Ed è qui che si rivela la contiguità della tematica dell’astrazione al problema marxiano della genesi dell’ideologia. Si tratta di uno dei temi di interesse del libro, sebbene un confronto esplicito tra le due teorie non sia svolto in quanto “richiederebbe uno studio a sé stante”. Il libro offre comunque molti spunti di riflessione al riguardo del peculiare intreccio tra aspetti teoretici e pratici, intreccio che emerge con singolare evidenza in un testo come il Naturrechtsaufsatz.
Ma se nell’articolo sul diritto naturale troviamo i problemi e accenni di soluzione sarà necessaria un’ulteriore elaborazione per giungere ad una più piena definizione della teoria dell’astrazione. L’elemento mancante è il “recupero dell’intelletto in funzione antidogmatica” che costituisce l’oggetto del terzo capitolo della prima parte. Tale recupero avviene principalmente nella Logica e Metafisica del 1804-1805. L’idea che viene progressivamente maturando è quella di un’autocritica e un autodissolvimento dell’intelletto concepito però non come mero annientamento ma come prefigurazione e azione del razionale nel e attraverso l’intelletto. Se da un lato però la struttura della Logica costituisce un indubbio passo avanti nel riconoscimento della centralità del negativo come momento del razionale, persistono tuttavia alcune ambiguità, che spingeranno poi Hegel ad abbandonare la struttura sistematica di quell’abbozzo. Da un lato Logica e Metafisica costituiscono due aspetti della medesima realtà. La Logica non è infatti semplicemente “esposizione delle forme della finitezza”, “ma piuttosto un systema reflexionis, in cui la relazione immanente fra le categorie rivela già indirettamente il razionale che le governa e che si manifesta esplicitamente nell’esposizione del systema rationis metafisico”6. D’altra parte però proprio la bipartizione tra i due momenti del sistema tende a introdurre un elemento di esteriorità, nella misura in cui la Metafisica, che pure dovrebbe essere autosufficiente presuppone la Logica come sua introduzione e come sua giustificazione. Ad ogni modo questa aporeticità è il segno dell’emergere più marcato di un’esigenza intorno alla quale si consuma il distacco da Schelling, già virtualmente presente in alcune considerazioni della Differenz. Questa esigenza consiste nella necessità dell’inclusione delle posizioni intellettualistiche entro il movimento della filosofia, per evitare il rischio di un sapere arbitrario e, in ultima analisi, formalistico esso stesso. Saranno queste preoccupazioni, unitamente all’irrompere della problematica della coscienza, che già affiora sottotraccia nella Logica e Metafisica, a costituire il nucleo originario della Fenomenologia, che però rimane, come un invisibile terminus ad quem, al di fuori della trattazione.
La seconda parte del libro si pone per un verso come simmetrica alla prima. Il periodo temporale coperto è analogo (fatta eccezione per il primo capitolo che consiste in una ricognizione del concetto di positività negli Scritti giovanili, ricognizione che però trova riscontro in alcuni riferimenti fatti al periodo francofortese nella prima parte) e il movimento speculativo generale di progressiva rivalutazione del ruolo dell’astrazione coincide. Tuttavia proprio questa sovrapponibilità rende più evidenti le differenze. La tesi generale dell’autrice è che mentre nella parte teoretica l’intelletto risulta sostanzialmente sussumibile e integrabile (pur con le difficoltà a cui abbiamo accennato) all’interno del progetto sistematico hegeliano, per quanto riguarda la parte pratica l’astrazione sociale, intesa come principio generativo della società borghese, conserva la sua indipendenza e la sua irriducibilità a forme di sintesi e conciliazione.
Il concetto di positività viene inizialmente considerato in quanto presenta delle affinità con ciò che in seguito si verrà ad indicare con il termine di astrazione. Non solo, secondo la chiave di lettura suggerita dallo stesso Hegel nella celebre lettera a Schelling scritta prima di partire per Jena7 le riflessioni sulla positività possono essere lette come uno dei germi elaborati dello storico pensante Hegel intorno ai quali si costituirà, sul terreno della riflessione più propriamente filosofica, il concetto di astrazione. I significati del concetto di positività possono essere ricondotti essenzialmente a due (che tuttavia spesso si intrecciano): il primo di matrice più kantiana secondo cui il positivo è ciò che è irrazionale se valutato sul metro della ragion pura, il secondo che matura sopratutto nella riflessione francofortese e che può essere sintetizzato nella formula del positivo come anacronismo, come elemento in contrasto con lo spirito del tempo. Questo secondo significato, assai significativo per la genesi del concetto di astrazione sociale, è all’opera nella Verfassung Deutschlands, nella quale la persistenza di ordinamenti retaggio di un tempo passato è vista come la causa della decadenza della Germania e della sua impossibilità di essere uno Stato in senso proprio. Nella ostinatezza dei tedeschi nel voler permanere all’interno di forme particolaristiche e limite si vede in controluce la pervicacia dell’intelletto nel voler persistere nell’assolutizzazione della finitezza. La miseria storica dei tedeschi fa da pendant alla loro miseria teoretica, così come l’agilità e la spregiudicatezza filosofica dei francesi corrisponde alla loro capacità di essere protagonisti di una grande politica e di scrivere la storia con un evento come la Rivoluzione, decisivo ancorché affetto esso stesso dai limiti dell’intellettualismo, come emerge dal Terrore.
L’anelito al superamento dell’asfittica situazione tedesca si esprime invece nel frammento Libertà e destino, che richiama il tema del bisogno della filosofia che sorge nelle epoche di scissione.
Ma cosa deve essere restaurato ad opera del superamento della scissione e della positività? All’idea della conformità allo spirito del tempo si affianca, in testi come il Naturrechtsaufsatz e il System der Sittlichkeit il concetto di idea etica come totalità organica che non si contrappone ai suoi momenti. La matrice di questo modello è chiaramente l’immagine della bella eticità greca.
A questo fine risulta interessante in particolare il System der Sittlichkeit che costituisce un singolare palinsesto all’interno del quale vengono inseriti elementi teorici eterogenei e di diversa provenienza, quali “la politica aristotelica, la filosofia schellinghiana della sostanza, l’economia politica anglosassone, il giusnaturalismo moderno”8, in un primo tentativo generale di sistemazione teorica dei contenuti etici. Il problema principale riconosciuto nel System è la presenza di una forte opzione organicistica che finisce per orientarsi in senso anti-individualista, negando il riconoscimento delle istanze avanzate dal singolo. Nel complesso atteggiamento di Hegel nei confronti del giusnaturalismo in questo testo prevale il momento della contrapposizione. L’individualità è concepita negativamente e significativamente collocata nella sfera del crimine. Tuttavia la peculiarità del System sta nel fatto che le istanze moderne che vengono negate dal generale impianto organicista sono comunque presenti e, in un certo senso, giustapposte a quelle più tradizionali. E’ il caso del sistema del bisogno e delle relazioni economiche, che vengono inserite nell’impianto sistematico ma limitate allo “stato della rettitudine”, filtrate attraverso la categoria del negativo e neutralizzate attraverso la sottomissione allo “stato assoluto”. Il governo detiene un pervasivo potere di controllo che avvicina questo modello di Stato al fichtiano Polizeystaat. Questo controllo è reso necessario dalla considerazione pressoché esclusiva della sfera della società civile come fattore disgregante, che dev’essere contenuto e tenuto a bada. Il tentativo sincretistico compiuto da Hegel in questo testo riflette più la situazione storica della Germania dell’epoca, caratterizzata da opposte tensioni e dalla compresenza di istituti e fermenti relativi ad epoche diverse, che non una coerente soluzione.
Come anticipato, il passaggio dal System alle lezioni di filosofia dello spirito del 1805-1806 (con la tappa intermedia delle lezioni del 1803-1804) viene letto come un processo di decisa riabilitazione delle istanze dell’individualità, parallelo per molti aspetti al processo di rivalutazione del momento intellettuale nella filosofia teoretica. Questo si riflette in una serie di passaggi concettuali. Dal concetto di eticità si passa a quello di spirito come mediazione dinamica tra soggetto individuale e sostanza etica, dall’idea dell’annullamento dell’individualità si passa alla Bildung e al lavoro come forme di universalizzazione dinamica dell’individualità, dal concetto di natura etica si va verso una rapporto di opposizione dialettica fra spirito e natura, dalle potenze si passa alle figure della coscienza. Entäusserung e Anerkennung sono, accanto alla Bildung i nuovi meccanismi attraverso cui avviene l’universalizzazione della singolarità. La tesi dell’autrice è che vi sia, a differenza di quanto sostiene Axel Honneth un progressivo potenziamento del meccanismo del riconoscimento attraverso le varie stesure jenesi. Solo nelle lezioni del 1805-1806 il dispositivo del riconoscimento assume un autentico valore fondativo e costitutivo nei confronti dell’eticità. Questa fondazione non va però intesa in un senso giusnaturalistico e contrattualistico. L’uscita dallo stato di natura è immanente al movimento stesso del riconoscimento, ovvero l’atto stesso apre allo spazio dell’umano. Al tempo stesso nell’atto del riconoscere sé nell’essere-altro la coscienza supera la propria finitezza.
Un altra importante evoluzione riguarda la sfera dell’economico. La comprensione dell’economia capitalistica appare più sviluppata nelle lezioni del 1805-1806 ed è inteso più a fondo il dispiegarsi degli effetti del lavoro astratto e della divisione del lavoro nel loro potere costitutivo nei confronti della società. Gli effetti negativi dell’organizzazione capitalistica della società non vengono minimizzati. Tuttavia la società civile e l’insieme delle relazioni economiche non sono più un principio di disgregazione che va contenuto, ma vengono inseriti nel cuore del processo di soggettivazione e di costituzione della società attraverso concetti centrali come lavoro, diritto e proprietà.
Complessivamente il libro, che si pone il difficile compito di ripercorrere un tratto classico di filosofia hegeliana, già oggetto di innumerevoli interpretazioni, riesce nell’intento in maniera brillante e mai banale. Il rischio di “sfondare porte aperte”, evocato nella Premessa citando Bobbio, non viene mai sfiorato. Al di là delle grandi linee a cui inevitabilmente ci siamo dovuti limitare, parte del piacere della lettura sta anche nelle soluzioni interpretative di dettaglio che l’autrice escogita e nell’articolata discussione della letteratura critica.
Ciò che è più in generale apprezzabile è il tentativo di non limitarsi ad un lavoro erudito, ma, scegliendo di confrontarsi con determinate interpretazioni e privilegiando determinati temi, di porre implicitamente la questione del rapporto di Hegel con la nostra epoca. Rispetto a questo problema, il libro di Jamila Mascat libera innanzitutto il campo da alcune immagini fuorvianti di Hegel. Attraverso la messa in evidenza degli elementi della filosofia jenese di Hegel che vanno nella direzione di un pieno riconoscimento di un ruolo positivo dell’astrazione, dell’individualità e del negativo, viene in luce l’insostenibilità di una visione del pensiero hegeliano come totalitario o romantico e mistico.
D’altra parte l’accentuazione di questi elementi, specie per quanto riguarda “l’astrazione sociale” porta a vedere dei tratti di aporeticità nel pensiero hegeliano, perlomeno allo stadio di sviluppo considerato. Il pieno dispiegamento del sistema dell’astrazione, che nella Logica di Jena permette un passaggio al livello della ragione, ancorché problematico e bisognoso di ulteriore approfondimento, non trova invece una ricomposizione nel campo dell’etico. E’ per questo che, seguendo questa interpretazione, l’interiorizzazione dei meccanismi di riproduzione e soggettivazione propri del sistema dei bisogni all’interno del cuore stesso della Bildung del soggetto e dello spirito mantiene un profilo di ambiguità. Di fronte a questo la conclusione del libro9 si mantiene aperta e richiede al lettore un supplemento di riflessione, una prosecuzione della ricerca, vada essa nella direzione dell’approfondimento della riflessione ulteriore di Hegel oppure oltre esso. Ma di Hegel non si dà oltrepassamento che non sia un attraversamento.
- Nella Premessa è citato come significativo per quanto riguarda questo primo significato di astrazione il testo di R. Bodei, Tenerezza per le cose del mondo. Sublime, sproporzione e contraddizione in Kant e in Hegel in V. Verra (a cura di), Hegel interprete di Kant, Napoli 1981, pp. 181-216. ↩
- Per questo secondo significato di astrazione il riferimento è un saggio di R. Finelli, Lo Hegel jenense versus Kant: asimmetrie e ideologie, in M. D’Abbiero, P. Vinci (a cura di), Individuo e modernità, Milano 1995, pp. 9-22 in cui la critica hegeliana al concetto di astrazione viene accostata alla marxiana critica dell’ideologia. ↩
- “L’itinerario jenese permette di ricostruire le peregrinazioni teoretiche attraverso cui Hegel viene elaborando una concezione diversificata della funzione intellettuale, che gli consente di legittimare contemporaneamente l’annientamento dell’intelletto solo riflettente e l’integrazione di un certo intelletto critico e non dogmatico all’interno della dialettica del processo speculativo”, J.M.H. Mascat, Hegel a Jena. La critica dell’astrazione, Lecce 2011, p. 33. ↩
- Ivi, p. 17. ↩
- “Sebbene nelle pagine della Differenz all’intelletto riflettente responsabile dell’astrazione Hegel contrapponga l’attività unificante della ragione, a cui è demandato il compito di sradicare dalle filosofie della riflessione il presupposto infondato del finito assoluto – il presupposto di un finito “sciolto” (ab-solutus), e come tale incondizionato – apparirà evidente nel seguito di questa esposizione come l’intento hegeliano non sia affatto quello di bandire l’intelletto dai confini della filosofia.”, Ivi, p. 33. ↩
- Ivi, p. 152. ↩
- “Nella mia formazione scientifica, che è partita dai bisogni più subordinati degli uomini, dovevo essere sospinto verso la scienza, e nello stesso tempo l’ideale degli anni giovanili doveva mutarsi, in forma riflessiva, in un sistema”, Hegel a Schelling, 2 novembre 1800. ↩
- J.M.H. Mascat, Hegel a Jena…, cit., p. 242. ↩
- “Di fronte alla manifestazione di “un’astrazione più alta, una più grande opposizione e cultura”, Hegel fa appello all’avvento di “uno spirito più profondo” adeguato ad esprimere la necessità di quell’astrazione, in modo tale che grazie al trapassare delle forme astratte della modernità all’interno del processo di autoriflessione dello spirito, la sua filosofia possa continuare a soddisfare la sempre rinnovata aspirazione a far presa sulla vita degli uomini, che ha attraversato l’intero percorso della meditazione jenese”, Ivi, p. 344. ↩