Lars Lambrecht
Landshut, Siegfried, Sulle tracce del politico. Su alcuni concetti fondamentali della politica (1925). Critica della sociologia (1929). A cura di E. Fiorletta, Pensa Multimedia, Lecce 2009 (22,- Euro).
La traduzione in italiano di due lavori giovanili di Siegfried Landshut è un invito alla ricezione critica di quello che è considerato uno dei primi politologi della Repubblica federale tedesca. Dopo le ricerche sulla storia del nazionalsocialismo è evidentemente ancora vivo il bisogno di fare luce sulle responsabilità delle singole istituzioni. Ne sono una riprova le recenti discussioni attorno all’operato dell’Ufficio degli Esteri durante il fascismo e negli anni successivi al ’49, messo sotto la lente da una commissione di storici insediata dell’ex ministro degli Esteri J. Fischer. Dopo le molte pubblicazioni sulla Wehrmacht e la polizia, sui “terribili giuristi”, su medici, filosofi, storici, sociologi e molti altri ancora, adesso è giunto il momento della scienza politica. In questo caso però le ricerche non si sono spinte ancora a fondo sull’attività successiva al ’33 di istituzioni come ad esempio la Deutsche Hochschule für Politik (DHfP) di Berlino, concentrandosi invece in primo luogo sulle biografie dei suoi membri che aderirono al nazionalsocialismo, tra i quali P. Kleist, J. v. Leers, F.A. Six, K.H. Pfeffer e sulle loro – in parte – avventurose carriere dopo il 1945: si pensi a quella di G. v. Mendes, professore ad Amburgo di Russologia e successivamente vicedirettore del Bundeszentrale für Heimatdienst (Centro federale per il servizio patriottico), rinominato nel 1963 Istituto federale per la cultura politica. S. Mielke ha dedicato invece un’importante esposizione alla resistenza degli scienziati della politica antifascisti della DHfP, mentre diversi ricercatori provenienti dalle file del movimento studentesco del ’68 hanno rivolto grande attenzione ai fondatori della politologia di ispirazione democratica che operarono nella Repubblica di Weimar e furono costretti a emigrare o vennero internati, come H. Heller, F. Neumann, E. Fraenkel, W. Abendroth o O. Kirchheimer.
Adesso è la volta di Siegfried Landshut (1897-1968): personalità non meno rilevante, fu tra i pochi professori universitari a rientrare in Germania dall’esilio dopo il 1949. Landshut, che non era marxista, fu uno dei primi durante la Repubblica di Weimar a scoprire nell’Archivio della SPD i Pariser Manuskripte di Marx e a pubblicarne i Frühschriften. Anni dopo, nella Repubblica Federale tedesca, in piena guerra fredda e quando ci si accomiatava dall’opera di Marx, ne curò un’altra edizione, convinto che allora “più che mai” ce ne fosse bisogno. Portano inoltre il suo nome la pubblicazione degli scritti di Tocqueville per la collana Classici della politica, una raccolta di quelli di Duverger per l’Akademie für Gemeinwirtschaft e un Politischen Wörterbuch. Durante l’esilio dedicò un’analisi sociologica, economica e politica alla colonia Kwuzah (Die Gemeinschaftssiedlung in Palästina), pubblicando dopo il fascismo innumerevoli articoli sull‘Handwörterbuch für Sozialwissenschaften, sull‘Hamburger Jahrbuch für Wirtschafts- und Gesellschaftspolitik, sulla Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie, sui Gewerkschaftlichen Monatsheften e dando alle stampe testi di interventi tenuti durante numerosi convegni di sociologia.
Snodo centrale dei saggi giovanili di Landshut scelti per la traduzione sono tre fondamentali categorie di ricerca: la libertà, l’uguaglianza e il Politico. Mentre il nostro Autore propone di definire i primi due concetti come problema originario e normativo della sociologia, nella scelta stessa della loro combinazione si rivela la necessità che la sociologia tratti le questioni sociali (“uguaglianza”) tenendo conto allo stesso tempo del punto di vista della scienza politica (“libertà”) e viceversa. Obiettivo critico di Landshut è pertanto confrontarsi con lo sviluppo e la prospettiva dell’ineguaglianza e della mancanza di libertà nel presente. Egli critica la “perversione economica” della società moderna che vede realizzata nella produzione e nel consumo senza limiti, nel dirigismo, nella burocratizzazione, nella standardizzazione, nell’indifferenza sociale, nell’obbligo di adeguarsi al sistema e nella sua rigidità, nell’opportunismo. Landshut si schierò invece per la condivisione delle decisioni, la democrazia economica e l’autoamministrazione.
Dal punto di vista metodologico il suo punto di partenza era Max Weber, ma alla scienza mainstream non smise mai di rimproverare la tendenza (presente davvero solo allora?) a procedere per astrazioni sempre più elevate, suggerendole invece riacquistare consapevolezza del suo problema fondamentale per non cadere in declino. Questa problematica si sviluppa come base della sociologia attraverso l’”articolazione della situazione quotidiana della vita”, mentre la ricerca dovrebbe puntare a decifrare la realtà sociale, l’agire, la prassi. Nella disputa (sterile, in realtà) tra ricerca teorica e empirica Landshut si pronuncia contro la diffidenza della ricerca sociologica empirica dominante nei confronti della teoria e contro le teorizzazioni prive di riscontro empirico. Per assicurare alla sociologia un orientamento sia teoretico sia empirico egli proponeva in primo luogo di prendere in considerazione e consultare l’economia (e impegnandosi di fatto a dare fondamento a questo assunto teorico); da qui la sua rilettura critica del pensiero scientifico di Marx. Il secondo obiettivo riguarda la scienza storica, dove Landshut prendeva a riferimento la “sociologia storica” di Weber e Marx. Questa costellazione disciplinare culminava infine nella materia che più sentiva sua: la scienza politica. Al fianco di W. Abendroth Landshut può essere annoverato tra i primi critici, se non tra i primi fondatori, della “sociologia politica” nella Repubblica Federale Tedesca, una sociologia orientata all’azione e all’intervento politico. Politica non vuol dire potere né coincide con l’attività dei politici ma, come Landshut insieme a Cassirer sensatamente formulò, “politico è pensare diversamente” ed è proprio della collettività e della cittadinanza attiva; motivi, questi, che confluiscono nella sua sociologia dei partiti dalla chiara impostazione politico-critica.
Decisivo per l’attualizzazione di Landshut è stato il lavoro pionieristico di Rainer Nicolaysen, autore di una biografia (Die Wiederentdeckung der Politik, Frankfurt 1997), della pubblicazione degli atti di un convegno organizzato dall’Università di Amburgo (Polis und Moderne. Siegfried Landshut in heutiger Sicht, Berlin 2000) e di una raccolta di scritti in due volumi (Politik, Berlin 2004). Nel tradurre due dei saggi giovanili di Landshut (Grundbegriffe der Politik e Kritik der Soziologie. Freiheit und Gleichheit als Ursprungsproblem der Soziologie) Elena Fiorletta parla a ragione non di una rinascita, ma di tracce del politico. Nella puntuale introduzione storica, politica e teoretica all’opera di Landshut la curatrice focalizza l’attenzione sull’allora insanabile controversia circa la fondazione della politica e sul significato da attribuire all’opera di Max Weber, di Martin Heidegger, di Karl Marx (ancora viva in Italia come si evince da parole chiave “postmoderne” come il cosiddetto “marxismo heideggeriano”). Anche Landshut aveva studiato da Heidegger e inizialmente prese a esercitarsi in una “scrittura e in un procedimento teorico rigidamente heideggeriani” (E. Heimann). È infatti con passaggi come “l’afferrare è il farsi proprio del tempo” (p. 135) [„Das Zugreifen ist das Sich-zu-eigen-machen der Zeit“] che ha avuto a che fare la traduttrice – che ha conseguito il dottorato con una tesi su Landshut –, venendone a capo peraltro egregiamente. Va detto che dell’entusiasmo iniziale per Heidegger – che il Nostro divideva con altri suoi colleghi, ad esempio Hannah Arendt – dopo il fascismo non sarebbe rimasta traccia.
Il suo anticonformismo e il suo pensiero sempre contro farebbero oggi di Landshut un “professore partigiano”, come disse Habermas di W. Abendroth. Alla fine del 1950 fece ritorno all’Università di Amburgo, proprio dove fino al 1933 era stato assistente dell’economista Eduard Heimann che – tornato a sua volta nel 1948 ad Amburgo dall’esilio – profuse un particolare impegno affinché il più giovane collega fosse richiamato alle sue funzioni. Ma qui lavorava ancora il già menzionato von Mende, mentre era ancora attivo l’Istituto per la Biologia della razza, al quale dopo il 1933 era stato perfidamente associato il filosofo Ernst Cassirer, primo rettore ebreo poi costretto all’emigrazione. Per gli storici la tensione insopportabile di questa situazione “collegiale” vissuta da Landshut e dagli altri esiliati resta purtroppo oggetto di studio solo incerto e frammentario. Il procedere argomentativo non convenzionale e l’impostazione critica del suo pensiero invitano a recuperarne la lezione e a confrontarsi con un modello che può fungere da esempio in un’epoca che vede l’università investita dal ritorno alla cultura d’élite, dall’attacco alla ricerca e alla teoria, a cui si aggiungono un’impostazione formalistica e l’aumento del numero degli studenti nell’insegnamento delle discipline economico-aziendali, le difficoltà esistenziali degli individui, il conformismo ideologico e il livellamento. Oggi ad esempio Landshut potrebbe aiutarci a rispondere agli interrogativi sui limiti dello stato sociale e a scandagliare la contraddizione tra il progressivo sottofinanziamento della spesa sociale (sistema sanitario, smantellamento del sistema solidaristico dell’assicurazione sanitaria e pensionistica, disoccupazione/Hartz IV, sistema fiscale e privatizzazione di altre importanti funzioni pubbliche come scienza e formazione) e l’attacco ormai non più solo strisciante alla democrazia, la perdita di potere della società civile, l’impotenza sociale e lo scoraggiamento. E ancora con Landshut potremmo discutere oggi di come superare queste contraddizioni secondo il modello della capability messo a punto da A. Sen e M. Nussbaum.