Francesco Toto “L’individualità dei Corpi. Percorsi nell’Etica di Spinoza”, Mimesis, 2014

Download

Toto_Individualità CorpiMarta Libertà De Bastiani

 

Se si potesse associare un’immagine alla struttura ed ai contenuti del libro di Francesco Toto, L’individualità dei corpi. Percorsi nell’Etica di Spinoza (Milano, Mimesis, 2014, pp. 462) sarebbe quella di un sezione di roccia stratificata ove nel mezzo scorra una vena doro di diverse forme e dimensioni, ma comunque continua: si tratta infatti di un testo complesso e composito, ma non per questo meno coerente. Le tre sezioni – Individuum, Motus spontaneus corporis e Fabrica e constitutio – che compongono questo libro affrontano i testi spinoziani a partire da prospettive differenziate, ma che l’autore dichiara intimamente connesse: la prima sezione, composta dai tre capitoli che descrivono il principium individuationis spinoziano e la sua costituzione all’interno del problema tutto-parti, mira a fondare un principio materialistico dell’individualità corporea. La seconda, prendendo avvio da una disamina del concetto di spontaneità, muove dal piano della materialità strettamente intesa per includere nell’argomentazione il processo immaginativo e della rappresentazione. In questo senso, Toto dimostra come, per comprendere appieno il discorso spinoziano sul corpo, non si possa prescindere dall’immaginazione, intesa come suo immediato risultato e principio esplicativo di elementi fondanti. La terza parte, affrontando il tema della natura umana, ripropone, sebbene con argomentazioni decisamente originali, la vexata quaestio sull’esistenza o meno di un’antropologia spinoziana. La conclusione, infine, sintetizza i passaggi fin qui compiuti nell’ottica ampliata dell’amor dei intellectualis, identificato come un rapporto di reciproco riconoscimento del sé e dell’altro.

Si tratta dunque di un testo strutturalmente complesso che, come dichiara Roberto Finelli, autore della prefazione, assume un modello indiziario, volto alla raccolta delle tracce del pensiero nei luoghi meno studiati del testo. Questa metodologia cede a volte alla frammentazione, non consentendo – almeno in prima battuta – di comprendere il fluire dell’argomentazione, come accade nel passaggio dalla seconda alla terza parte, dove il discorso si muove in modo un po’ brusco dall’analisi dei processi di deliberazione individuale alla critica storiografica sul concetto di natura umana.

Sebbene dunque si possa riscontrare una perfetta aderenza tra forma e contenuto – e cioè la struttura dell’argomentare, precisa e attenta, risponde pienamente all’architettura del pensiero spinoziano – il testo può rimanere di difficile comprensione qualora non si sia prima chiarita la natura di quella continuità che ne caratterizza l’unità essenziale: il discorso spinoziano sul corpo e sulla sua struttura.

La riflessione sul corpo viene intesa così come un elemento di continuità essenziale alla comprensione dell’intero complesso dell’Etica, la cui precisa definizione delle caratteristiche e degli effetti da essa derivanti costituisce un obiettivo fondamentale.

Per quanto questo elemento sia stato a più riprese sottolineato dalla critica, la novità dell’argomentazione di Toto mira a dimostrare l’originalità del pensiero del filosofo, che solo tra i propri contemporanei riesce a stabilire un principium individuations del corpo singolare. Differentemente infatti dall’extensum quid cartesiano o dal corpus generaliter sumptum hobbesiano che, pur nella loro diversità, non riescono a cogliere se non la pura estensionalità dei corpi, il ragionamento spinoziano mira a determinarne la più precipua individualità. Attraverso l’analisi serrata di uno dei passi più commentati – ma non per questo meglio compresi – della fisica spinoziana, sono rivelate due interessanti novità, essenziali alla descrizione dell’individuo corporeo come nesso inestricabile di permanenza e rinnovamento: da un lato, l’individualità corporea è stabilita in modo positivo dalla coercizione reciproca della parti interne al corpo stesso. Dall’altro l’individualità così compresa non può prescindere da due condizioni, entrambe necessarie e non sufficienti: la comunicazione di moto tra le parti e l’aderenza reciproca. La complessità, composizione e integrazione dell’Individuo diviene ancor più manifesta quando si muova al di là della sua considerazione astratta per tener conto del tessuto di relazioni costanti con l’esterno. Infatti, sul piano della pura essenza, esso è costituito unicamente dai rapporti tra le parti interne. Qualora invece si consideri la sua esistenza reale, non è possibile prescindere dal rapporto vigente con altri corpi e quindi dal modo in cui le affezioni determinate da questi ultimi sono inserite – moderate nella dinamica interna. In questo senso allora, il corpo – inteso come sistema unificato di relazioni reciproche tra le proprie parti – ha immediatamente una conseguenza non meno che una causa nella fisiologia della percezione. È proprio dall’inserimento della problematica della percezione e della memoria nei postulati che comprendiamo l’importanza attribuita da Spinoza alla necessità di fondare l’immaginazione – e quindi la problematica etica che ne deriva – all’interno e sulla base della fisica dei corpi. Il corpo non è più pura estensione, ma, in quanto rete di corpi, è anche rete di idee e immagini strutturate. L’immaginazione non è dunque la percezione di una singola immagine come copia mentale della realtà, ma piuttosto un’insieme connesso di immagini che rappresentano a livello mentale quella comunicazione di moto che avviene tra le parti componenti che rappresenta la vita stessa del corpo.

È solo dall’equazione così stabilita tra individualità materiale – rapporto di moto e quiete tra le parti –, immaginifica – rapporto di idee rappresentanti quella stessa comunicazione – e conatus – principio di determinazione a conservare questo rapporto quando riferito al corpo e alla mente – che si comprende perché il discorso sul corpo scorra come un fiume sotterraneo in ogni parte dell’opera, finanche nella quinta parte dell’Etica dove, benché i riferimenti ad esso siano perlopiù negativi, esso mantiene la propria importanza fondamentale. La stessa equazione ci consente anche di comprendere meglio questo corpo singolare come base di singolarità e modificazione: se l’immagine o conatus, al fine di mantenere inalterato il rapporto tra le parti, è quindi pensabile come causa della propensione ad agire, è essa stessa allo stesso tempo effetto di una storia, di una costruzione immaginativa precedente.

La continuità della riflessione che l’autore svolge sul tema del corpo, indagine che non cede mai ad un facile neutralizzazione dei passi conflittuali, ma li interroga con onestà e acribia, ci consente di apprezzare gli ulteriori strati che compongono questo testo. Al tempo stesso giustificazione e conseguenza del corpo così inteso è l’analisi del rapporto tutto-parti, che mira a indicare la stretta connessione vigente tra dottrina dell’essenza – e pertanto della definizione – e della causalità, attraverso la dimostrazione dell’equivalenza tra nesso di inclusione, inerenza e causazione: il tutto è determinato – e compreso – solo a partire dal rapporto vigente tra parti che hanno qualcosa in comune, ma, al contempo, le determina –e comprende– come parte di un insieme strutturato. Pertanto ogni parte potrà essere sì considerata separatamente come individuo, ma non se in relazione con le altre parti – o con il tutto – da cui pure è determinata. La riflessione sul nesso tutto-parti, a prima vista eccentrica rispetto ai temi affrontati, appare così essenziale per comprendere la stratificazione del pensiero stesso spinoziano, da non intendersi unicamente in senso cronologico – relativa cioè alla sua probabile compresenza di termini e riflessioni avvenute in un arco temporale considerevole –, ma anche e soprattutto concettuale. Sebbene Toto sottolinei l’importanza di un’analisi cronologica degli strati diversi componenti la riflessione spinoziana per dirimere alcuni punti controversi dei testi, non rinuncia nemmeno in questo caso a proporre un’interpretazione unitaria, che rispetti i diversi piani del ragionamento.

Tuttavia la pur giusta intenzione di non appiattire e neutralizzare le difficoltà testuali si spinge, in certi momenti, a silenzi interpretativi non sufficientemente segnalati che rendono ardua la comprensione dello svolgersi stesso dell’argomentazione. Lintenzione di lasciare al lettore il compito del corretto intendimento è sì generosa, ma corre il rischio di generare numerosi fraintendimenti che potrebbero vanificare il tentativo di partenza. Viene in mente, in questo senso, la difficoltà di sostanziare in una definizione materialistica quell’aliquid commune che costituisce l’elemento fondamentale di continuità tra le parti del corpo e che sarà poi reintrodotto come principio base della socialità nella terza parte. Sebbene si tratti di una mancata definizione da attribuire a Spinoza, Toto non dà, almeno in questa sezione, alcuna ipotesi interpretativa e non ne sottolinea l’assenza, fatto che potrebbe pregiudicare – quantomeno in prima lettura – la comprensione dell’articolazione successiva del testo.

La composizione a strati, tuttavia, deve essere intesa anche come possibilità di ritagliare il reale a seconda delle necessità di comprensione e prospettive d’analisi: per quanto esista un’unica realtà necessaria, quel tutto che è definito dalla relazione delle proprie parti, esistono anche molte realtà distinte – non per questo meno consistenti e produttive –, corrispondenti al grado di recisione che si voglia operare. Questa complessità, che è poi evidentemente funzione di quella stessa complessità del corpo, si riverbera su numerosi punti d’analisi. In primo luogo, Toto indaga il concetto di spontaneità spinoziano che, in apparente contrasto con un sistema della più rigida necessità rivela il suo carattere fondato in un duplice modo: i corpi possono infatti essere detti spontanei in quanto si faccia momentaneamente astrazione dalle cause esterne, in quanto si faccia astrazione dall’influenza della mente o in quanto si parli di spontaneità come termine proprio della sola immaginazione. In ciascun caso, tuttavia, l’astrazione indica, come nel caso paradigmatico del sonno, qualcosa di reale, sebbene parziale e quindi in certo modo inadeguato. Lo stesso discorso valga per la caratterizzazione dell’individuo come causa libera: se è vero che l’unica causa libera è Dio, l’individuo può essere considerato tale in quanto causa prossima e complessa di sé, i cui effetti possono essere derivati dalla sua stessa essenza. Non da ultimo, questa stratificazione del reale emerge anche nella distinzione che Toto propone tra un conatus detto al singolare e un conatus detto al plurale. Il primo corrisponde – come classicamente inteso – al principio di conservazione e convenienza delle parti che inerisce ad una struttura individuale come nesso di elementi reciprocamente comunicanti, mentre il secondo delinea – nella corrispondenza sopra menzionata tra variazione di moto, immagine e conatus – quell’interna disposizione ad agire motivata da ogni affetto considerato separatamente non tanto dalla molteplicità di variazioni fisiche e mentali che determina, quanto dalla totalità delle disposizioni del corpo.

La complessità del pensiero spinoziano non viene mai né sottovalutata né neutralizzata da questo testo che segnala con attenzione le ambivalenze che lo percorrono, rifiutando di assumere uno Spinoza manicheo che separi radicalmente attività e passività, gioia e tristezza, spontaneità e coazione. L’analisi di Toto sul complesso dell’immaginazione, della spontaneità e della deliberazione mette in luce come nessun affetto basti di per sé a determinare un’unica azione, esattamente come nessuna interna determinazione e struttura del corpo basta a determinare una serie univoca di risposte pertinenti e necessarie, ma si limita ad indicare dei campi di possibilità, che saranno poi definiti nel corso della storia e quindi della durata dell’esistenza singolare. La riflessione spinoziana, fatto che l’autore non si stanca di ricordare, si articola necessariamente su una varietà di piani di carattere al contempo temporali, causali e ontologici.

In questo senso, la possibilità di passaggio da quella che Toto chiama, prendendo in prestito dalla terminologia psicanalitica, una soddisfazione allucinatoria del desiderio ad una soddisfazione reale, deve necessariamente passare attraverso la constatazione dell’assenza dell’oggetto – e quindi dall’ampliamento del campo percettivo – e della conseguente trasformazione della cupiditas in desiderium. Ciò nonostante questa transizione, essendo sempre legata nella durata a una certa cifra di speranza o paura, non avviene in modo lineare, ma attraverso un bilanciamento di affetti a volte contrastanti. Perciò ci possono essere tristezze attive che nel bilancio passionale effettuato nel processo deliberativo – inteso dunque come una forma complessa di fluctuatio animi – inducono una possibilità di azione, diremmo, conforme allo scopo. Allo stesso modo possiamo incontrare gioie passive, ed è il caso della titillatio, che attraverso il potenziamento di un’unica parte del corpo a scapito delle altre limita la potenza d’agire del corpo considerato nel suo complesso. È dunque grazie all’abbandono di una concezione della causalità di tipo lineare tra affetto-conatus-azione e della ri-definizione di conatus come principio esterno – cioè doppiamente determinato da Dio in quanto causa della nostra esistenza e delle cose esterne – che si comprende il concetto di libertà spinoziano. All’interno del sistema necessario di questo pensiero, la libertà si può configurare unicamente come un diverso modo di rapportarsi a sé e alle cause esterne, in una moderazione tra affetti contrastanti che non può prescindere dall’ampliamento del campo percettivo e quindi dalla stessa immaginazione. In altri termini, Toto sottolinea a più riprese la necessità che ontologia e epistemologia hanno di realizzarsi concretamente nella prassi.

È solo attraverso l’assunzione piena della complessità e della stratificazione del pensiero che si rende perspicuo, infine, il tentativo dell’autore di formulare un’ipotesi sull’esistenza di un’antropologia spinoziana. Grazie alla riflessione svolta nei precedenti capitoli in particolare sul nesso tutto-parti e sulla descrizione della struttura fondante il corpo singolare, egli individua nel termine fabrica la chiave terminologica a partire dalla quale riflettere sullo statuto del concetto spinoziano di natura umana. L’ipotesi è quella di identificare una doppia determinazione del soggetto: se, da un lato, egli dipende dalla propria constitutio – intesa come insieme di affezioni e immagini costruite nel corso dell’intera storia percettiva dell’individuo – dall’altro si configura a partire da una certa struttura, o fabrica comune agli esseri umani. Questa soluzione è accettabile, chiarisce l’autore, a patto di considerare la struttura del corpo umano in generale come un insieme di funzioni che denotano un campo di possibilità di realizzazione e mai, dunque, una configurazione univoca. Sebbene sia evidente che, a livello di macrostruttura, l’insieme interconnesso delle determinazioni non può che designare un’unica serie di effetti necessari, a livello astratto e temporale – cioè in quello specifico ritaglio dell’essere in cui i corpi esistenti in atto sono coinvolti, quindi nella durata – fabrica e constitutio determinano solo un’insieme di possibilità di realizzazione, che si concretizzeranno attualmente solo attraverso la prassi – passata, presente e futura – dell’agire. In questo senso, se la socialità umana è in una certa misura intrinseca, basata cioè su una legge generalissima del conatus (singolare) che definisce una forma dell’affettività comune è anche sempre un processo di socializzazione, di un accordo e di una moderazione dei conatus (plurali) di ciascun individuo. La comunanza di natura – quell’aliquid commune la cui determinazione fisica è lasciata in ombra, ma che solo consente la conoscenza secondo ragione – deve potersi tradurre in convenienza, cioè nella subordinazione degli interessi particolari alla collaborazione inter-individuale.

Anche in quest’ultima sezione dell’analisi l’autore mostra con coraggio la caratteristica più meritevole di questo testo: la necessità interpretativa di non appiattire il testo spinoziano su facili e dicotomiche equazioni, ma di considerarne la composizione, sottolineando i cambiamenti di piano dell’analisi – di minore o maggiore astrazione –, l’intreccio temporale – durata ed eternità – e causale – necessità e libertà –, senza perciò dover rinunciare a una teoria coerente. Inoltre un’analisi fondata sull’individuazione delle tensioni interne è non solo compito imprescindibile per lo studioso, ma, a parere di chi scrive, è anche il metodo d’analisi maggiormente in linea con lo spirito del testo spinoziano.

Notiamo infatti come la complessità dei testi e degli argomenti trattati sia assunta dall’autore con profonda serietà: egli svolge unattenta analisi dei passaggi, rapportandoli tra loro e segnalandone le differenze rispetto alle posizioni cartesiane ed hobbesiane, sviluppando lintera serie dei passaggi del ragionamento che lhanno condotto alle conclusioni finali. Questo metodo, se ha lindiscutibile pregio di fornire da un lato una maggiore comprensione da parte del lettore del procedimento adottato e, dallaltro, la possibilità di verificarne la correttezza, si espone anche alla critica di oscurità. In questo senso, il capitolo dedicato a le moltissime cose che si fanno nel sonno è esemplare della difficoltà che può cogliere il lettore nel confronto con la serie delle citazioni e dei rimandi, cui corrispondono definizioni provvisorie successivamente confutate. L’immagine che allora affiora alla mente è quella di una sezione di roccia i cui strati, sebbene attraversati da una vena d’oro continua, faticano a combaciare; ciò non toglie che – in parte – sia proprio questa l’intenzione di Toto e si fatica a dargli torto, nel momento in cui lo stesso Spinoza ammetteva di avere difficoltà a comprendere come ogni parte si accordasse con il suo tutto. E, d’altro canto, gli stessi difetti che questo testo ci sembra presentare sono indice di un preciso e ammirevole approccio all’analisi e all’argomentazione; il rispetto della lettera dei testi, delle sue tensioni ed oscurità, viene sempre associato ad un’interpretazione innovativa e unitaria che tiene conto dei passi meno studiati e che, al tempo stesso, lascia democraticamente a noi lettori qualche interrogativo da risolvere.

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni e segnalazioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento