Lucien Goldmann: Il pari socialista di un marxista pascaliano

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Michael Löwy¹

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Lucien Goldmann (1913-1970) è stato uno dei più importanti rappresentanti della corrente umanista e storicista del marxismo del ventesimo secolo. I suoi lavori filosofici e di sociologia della cultura – soprattutto Il dio nascosto,2 analisi innovatrice della visione del mondo tragica in Pascal e Racine – sono fortemente marcati dall’influenza di Storia e coscienza di classe e si oppongono radicalmente alle letture positiviste o strutturaliste del marxismo. Ebreo rumeno stabilito in Francia a partire dagli anni Trenta, Goldmann si rifaceva ad un socialismo dell’autogestione, altrettanto critico e della socialdemocrazia e dello stalinismo. È solo di recente, grazie alla biografia redatta da un ricercatore nordamericano, Mitchell Cohen, The wager of Lucien Goldmann, che conosciamo il percorso rumeno di Goldmann, prima del suo arrivo a Parigi:3 nato nel 1913 a Bucarest, il giovane Lucien viveva con la sua famiglia giudea nella piccola cittadina di Botoșani in Moldavia [regione della Romania confinante con l’omonimo stato]. È a quest’epoca (1934) che pubblica, in una rivista vicina ai comunisti, il suo primo articolo, uno studio marxista della visione tragica del mondo in N.D. Cocea – lo scrittore rumeno Nicolae Dumitro Cocea (1880-1949) – e in Karl Krauss. Espulso dalle fila comuniste in quanto «trotzkista», parte poco tempo dopo per Vienna e in seguito Parigi, dove arriva attorno al 1934.4

Rifugiatosi in Svizzera durante l’occupazione nazista, presenta la sua tesi di dottorato La Communauté humaine et l’univers chez Kant all’Università di Zurigo:5 la stessa sarà pubblicata in tedesco nel 1945 e in francese nel 1948. Tornato in Francia alla fine della guerra, sarà ammesso come ricercatore al CNRS. Un riassunto delle sue iconoclaste concezioni sociologiche apparirà nel 1952 con il titolo Scienze umane e filosofia.6 Ma è la pubblicazione della sua tesi di dottorato (doctorat d’Etat), Il dio nascosto, la visione tragica in Pascal e Racine, che lo renderà noto. Nel 1959 appare un’importante raccolta dei suoi saggi, Recherches dialectiques; lo stesso anno sarà eletto direttore di studi all’Ecole Pratique de Hautes Etudes, nella sesta sezione (la futura EHESS). Goldmann ha pubblicato un volume sulla sociologia del romanzo nel 1964,7 ma aveva una netta preferenza per la forma saggistica; altre due raccolte appariranno attorno al 1970: Structures mentales et creation culturelle8 e Marxismo e scienze umane.9 Militante del Parti Socialiste Unifié, Goldmann partecipa attivamente al movimento del Maggio ’68. La morte interrompe, nel 1970, un percorso intellettuale singolare e poco conforme alle tendenze dominanti del marxismo e/o delle scienza sociali in Francia.

Mentre negli USA e in America Latina il suo pensiero e la sua opera continuano a suscitare un interesse particolarmente vivace, uno strano oblio sembra averlo seppellito in Francia.10 Se è vero che si tratta di una sociologia in totale rottura con la tradizione dominante delle scienze sociali francesi, che vanno da Auguste Comte a Claude Levi-Strauss e Louis Althusser, passando per Emile Durkheim, d’altra parte, attraverso la sua reinterpretazione di Pascal, essa è nondimeno erede d’una corrente dissidente della moderna cultura francese.

Sono noti e l’hegelo-marxismo e il marxismo kantiano e il marxismo weberiano; il concetto di marxismo pascaliano è, invece, sconosciuto all’interno delle storie del marxismo. Ora, mi pare una formula che si addice del tutto l’autore de Il dio nascosto. Certo, diversi marxisti si sono interessati a Pascal; due volumi di Henri Lefebvre dedicati all’autore dei Pensieri sono apparsi quasi nello stesso periodo; ma, come vedremo in seguito, quest’autore non si rifaceva per niente all’eredità pascaliana.

Possiamo allora parlare di un’influenza di Pascal su Goldmann? Come quest’ultimo spiega in un passaggio fondamentale di Scienze umane e filosofia, l’influenza non spiega nulla: essa chiede di essere spiegata:

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Ogni scrittore o pensatore trova, intorno a sé un numero considerevole di idee, di posizioni religiose, morali, politiche, ecc., che costituiscono altrettante influenze possibili e fra le quali dovrà scegliere. Il problema che si pone allo storico non si limita affatto a scoprire se Kant subì l’influenza di Hume, Pascal quella di Montaigne, Voltaire quella di Locke, ecc.; Occorre spiegare perché costoro hanno subito esattamente questa influenza e non un’altra, e perché a quest’epoca determinata della storia. “L’influenza” è, allora, in ultima analisi una scelta, un’attività del soggetto individuale e sociale, e non una ricezione passiva. Quest’attività si manifesta anche attraverso le trasformazioni/deformazioni/metamorfosi che il creatore fa subire al pensiero nel quale egli si rispecchia e che l’influenza: quando parliamo ad esempio dell’influenza di Aristotele sul tomismo, non si tratta esattamente di quello che Aristotele ha realmente pensato e scritto, ma di Aristotele come è stato letto e compreso da San Tommaso. 11

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Ciò si applica in pieno al rapporto fra Goldmann e Pascal: si tratta di una scelta, di un’appropriazione, di un’interpretazione in un contesto storico determinato. Ad un certo momento del proprio percorso intellettuale e politico, Lucien Goldmann ha avuto bisogno di certe problematiche che ha trovato in Pascal e che ha integrato, reinterpretandole, al proprio sistema di pensiero. Tre di queste problematiche mi sembrano decisive: la visione tragica del mondo, la critica dell’individualismo e, soprattutto, il pari (la scommessa).

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1. La visione tragica del mondo

Come spiegare quindi «l’influenza» di Pascal sull’autore de Il dio nascosto? Com’è possibile che Lucien Goldmann, pensatore marxista/umanista, ebreo e ateo, s’interessi alla visione tragica del mondo dei giansenisti e di Pascal?

Uno dei suoi primi riferimenti a Pascal si trova nella prefazione del 1948 all’edizione francese della sua tesi su Kant: «spesso, quando scriviamo “Kant è stato il primo…” avremmo potuto scrivere Blaise Pascal». Tuttavia, Pascal e la sua visione tragica del mondo non si trovano ancora al centro delle sue preoccupazioni; il suo lavoro futuro è presentato nei seguenti termini: «In lavorazione/pubblicazione dello stesso autore: studi sul pensiero dialettico e la sua storia: Pascal; Goethe; Marx».12

In altre parole: nel 1848, il pensiero dialettico era l’oggetto di studio, e Pascal non era preso in esame che in quanto precursore dello stesso. Non è che in seguito, verso il 1949-50, che Pascal-Racine e la visione tragica del mondo assorbiranno interamente il suol interesse. Non possiamo considerare l’abbandono del progetto Pascal-Goethe-Marx in favore del lavoro su Pascal-Racine come derivante dalla dinamica propria alla ricerca stessa. A nostro modo di vedere, non può essere compresa che a partire da uno slittamento del punto di vista politico di Goldmann, in risposta alle condizioni storiche degli anni 1949-53: guerra fredda internazionale, guerre imperialiste in Asia (Indocina e Corea), i grandi processi staliniani, divisione del movimento operaio tra uno stalinismo ždanoviano e una socialdemocrazia anticomunista, debolezza o dispersione delle correnti rivoluzionarie indipendenti.

Il legame fra questa congiuntura e il proprio orientamento verso l’opera di Pascal è riconosciuta, d’altronde, in un passaggio rivelatore de Il dio nascosto: 

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Ancora una volta le forze sociali che hanno permesso al XIX secolo di superare la tragedia nel pensiero dialettico e rivoluzionario, sono arrivate, attraverso un’evoluzione che non possiamo analizzare in questa sede, a subordinare l’umano, i valori all’efficacia; una volta di più i pensatori più onesti sono indotti a constatare la rottura che già aveva colpito Pascal tra la forza e la giustizia, tra la speranza e la condizione umana.

È stata d’altra parte questa situazione ad aver suscitato non solo la coscienza profonda dell’ambiguità del mondo e del carattere di non autenticità della vita quotidiana, ma anche il rinnovato interesse per i filosofi e gli scrittori tragici del passato.

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Una nota a piè di pagina precisa: «queste righe sono state redatte nel 1952».13 Evidentemente, è dello stalinismo che si parla, questo fenomeno che esercitava ancora, all’inizio degli anni 1950, un’influenza considerevole sull’intellighenzia francese – basti pensare agli articoli di Sartre sulla rivista Les Temps Modernes – e sul quale “Gica” scriveva nel 1957, poco dopo il Ventesimo Congresso del PCUS: «Gli intellettuali socialisti del mondo intero hanno subito per lunghi anni lo stalinismo come una fatalità tragica e ineluttabile».14

Certo, la visione del mondo a cui Goldmann fa riferimento è la dialettica marxista, così come Lukàcs l’aveva riformulata in Storia e coscienza di classe e non la visione tragica di Pascal e dei giansenisti. Ma, diversamente dagli anni 1945-47, all’indomani della Liberazione, egli non crede più all’imminente avvento della pace, della democrazie e del socialismo. Nell’edizione tedesca del Kant, descriveva l’evoluzione di Lukàcs, dall’Anima e le forme del 1910 fino a Storia e coscienza di classe (1923) come il «superamento della tragedia»:

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Il testo (SCC), che presenta una ricchezza incredibile, contiene non solamente delle innumerevoli analisi politiche, sociologiche, metodologiche e storico-culturali, ma anche e soprattutto una filosofia dell’esistenza umana, ottimista e piena di speranza che supera la metafisica della tragedia attraverso una Aufhebung nel senso hegeliano.15

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Nel 1948, la congiuntura inizia a mutare: inizio della guerra fredda, gravi sconfitte della sinistra in Francia, Italia e Grecia, rottura fra l’URSS e Tito. Goldmann constata la nuova situazione con rammarico e lucidità nella prefazione del 1948 all’edizione francese del Kant:

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Dobbiamo ammettere che, […] per quello che concerne l’avvenire immediato, le nostre speranze non si sono realizzate. Invece di un mondo migliorato, di una comunità migliore, nuove nubi si profilano all’orizzonte. […] All’interno di tale depressione e di tale inquietudine, le condizioni non sono evidentemente favorevoli ad una filosofia dell’ottimismo e della speranza.

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Questo non vuol dire che Goldmann si schieri con coloro che chiama «i filosofi nichilisti e disperati»; continua, invece, nel nome di Hegel e Marx a «credere nella vittoria finale dell’uomo e della ragione»; il suo interesse per la visione tragica del mondo, però, aumenta e inizia ad approfondirsi, per le stesse ragioni, all’inizio degli anni cinquanta, quando redige Il dio nascosto.

È interessante operare un raffronto fra il libro di Goldmann con il Pascal di Henri Lefebvre, pubblicato in due volumi attorno alla stessa epoca: il primo tomo nel 1949 ed il secondo nel 1954. Al di là delle divergenze teoriche e sociologiche tra i due autori, il nodo del loro disaccordo può essere illustrato attraverso gli ultimi paragrafi dell’opera – altrimenti estremamente interessante – di Lefebvre:

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In realtà non “siamo” più degli obiettivi per lui [Pascal]. La storia avanza, mentre lui si situa in un’epoca che si allontana […]. L’interesse violento suscitato dalla sua tragedia suscita la sua contropartita critica. L’angoscia dell’alienazione pascaliana ci diviene poco a poco straniera. Si allontana in quanto angoscia metafisica: lo spettro di Amleto, quello di Pascal, ci mettono i brividi, ma noi non crediamo più ai fantasmi. Questa angoscia, ora, è per noi datata.16

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Henri Lefebvre era troppo lucido e troppo intelligente per accettare tutta la mitologia staliniana; tuttavia, in quanto militante del PCF, si situa in larga misura nel quadro dell’ottimismo ufficiale del movimento comunista: l’URSS costruisce il socialismo, il PCF è il grande partito della classe operaia. L’angoscia di Pascal non può che essere per lui che «straniera» e «datata», laddove per Goldmann è vissuta e attuale.

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2. La critica all’individualismo

Il punto di partenza della riflessione di Goldmann è una critica radicale (ma dialettica) della visione individualista del mondo in tutte le sue forme e varianti, da Descartes fino al ventesimo secolo.

Il cogito cartesiano inaugura una forma di pensiero che non riconosce che il soggetto individuale e che fa dell’individuo isolato un cominciamento assoluto: la monade senza porte né finestre di Leibniz, l’empirismo inglese, il razionalismo dell’intelletto, la filosofia dell’Illuminismo, l’homo oeconomicus degli economisti classici, l’«Io» fichtiano, il nuovo cogito husserliano, l’esistenzialismo sono altrettante manifestazioni di tale visione del mondo. Questa lista è ben lontana dall’essere esaustiva e vi si potrebbero aggiungere tante altre forme non studiate da Goldmann, come l’economia marginalista, il darwinismo sociale, la corrente de “l’individualismo metodologico” nelle scienze sociali, ecc.

In quanto sociologo della cultura, Goldmann s’interessa ai fondamenti sociali e storici di questo individualismo ed esamina criticamente i legami tra lo sviluppo dell’economia di mercato, nella quale l’individuo appare come fonte autonoma delle proprie decisione e dei propri atti, e l’apparizione di visioni del mondo che vedono in questo stesso individuo la fonte originaria della conoscenza e dell’azione. Il pensiero illuminista del diciottesimo secolo francese ne è l’esempio più sorprendente: «Nel momento in cui gli uomini avevano perduto ogni coscienza dell’esistenza di un’organizzazione globale e sovra-individuale della produzione e della distribuzione dei beni, i filosofi illuministi pretendevano il riconoscimento dell’intelletto [entendement] individuale come istanza suprema che non deve sottomettersi ad alcuna autorità superiore».17

A partire da questa base d’individualismo, ulteriori collegamenti uniscono ancora la filosofia illuminista alla borghesia: le sue principali categorie mentali corrispondono tutte, in una misura o in un’altra, alla struttura dello scambio che costituisce il nodo della nascente società borghese. Ciò funziona tanto per il contratto [sociale], come fondamento delle relazioni umane, quanto per la tolleranza, l’universalità, la libertà formale, l’uguaglianza giuridica e la proprietà privata. Non si tratta, per Goldmann, di negare l’importanza umana di molte di queste categorie, ma di mostrare i loro limiti e le conseguenze che derivano da questa assolutizzazione dell’individuo e del mercato, cosi come dall’abolizione di qualsiasi realtà sovra-individuale – che sia Dio, la Totalità, l’Essere o la comunità. Il pensiero individualista non concepisce la società che come sommatoria di individui e la vita sociale come il prodotto del pensiero e delle azioni di un gran numero di individui, dei quali ciascuno rappresenta un punto di partenza assoluto e isolato.18 Il rapporto tra individui e totalità sociale non può quindi che consistere in quello che hanno nel mercato: l’osservazione del suo movimento “oggettivo”, lo studio delle sue leggi “scientifiche”.

Ora, come fondare un’etica, delle regole morali stringenti, partendo dall’individuo isolato? Secondo Goldmann, nel quadro dell’individualismo borghese, non si può dimostrare la necessità di nessun sistema di valori. La presupposizione fondamentale dell’economia politica classica – ma anche della filosofia politica liberale – è che il perseguimento egoista del proprio interesse da parte di ciascun individuo condurrebbe, attraverso un’armonia implicita (la «mano nascosta»), all’interesse generale di tutti. Qualsiasi norma etica diviene, allora, superflua, se non nociva. In effetti, la sfera morale, come quella religiosa, non esistono in quanto domini specifici e relativamente autonomi della vita umana per il pensiero individualista conseguente portato fino ai suoi estremi. Ben inteso, le filosofie razionaliste (Descartes, Spinoza e i loro discepoli) continuano a parlare in tutta sincerità di morale e di religione, ma all’interno di vecchie forme etiche e cristiane si sviluppa un contenuto radicalmente nuovo, in ultima analisi amorale e a-religioso.19

Senza dubbio, la lotta della filosofia illuminista contro l’oscurantismo della Chiesa ha avuto un significato progressista e di emancipazione che Goldmann non ha mai perso di vista. Ma, allo stesso tempo, egli manifesta la propria inquietudine di fronte al vuoto morale creato dalla civilizzazione individualista/borghese e da ciò che chiama «l’indifferenza assiologica» del capitalismo: una volta minacciato, quest’ultimo «si adatta altrettanto bene al fascismo ed alla barbarie, quanto alle forme più civilizzare del sistema democratico». Ed ancora, egli attira l’attenzione sui pericoli e le minacce che l’inesistenza di norme valide – risultato della logica stessa dell’individualismo radicale – di fronte allo sviluppo vertiginoso della tecnica: «l’assenza di forze etiche che possano dirigere l’impiego delle scoperte tecniche e subordinarle ai fini di un’autentica comunità umana rischia di avere conseguenze pressoché inimmaginabili».20 Goldmann pensa senza dubbio ai pericoli de «l’equilibrio del terrore» nucleare, ma il suo argomento si applica altrettanto bene alle minacce di catastrofi ecologiche che pesano sull’umanità all’inizio di questo Ventunesimo secolo.

Niente sarebbe più sbagliato che dedurre da questa critica un rigetto unilataterale dell’eredità illuminista: si tratta solamente di mostrare le aporie risultanti dai presupposti individualisti di questa filosofia e di provare a superarla – nel senso dialettica dell’Aufhebung (negazione, conservazione, sussunzione) – grazie ad un nuovo pensiero comunitario. Marx considerava il socialismo moderno come l’erede delle più importanti conquiste dell’umanesimo borghese. La visione del mondo dell’Illuminismo, sottolinea Goldmann, «contiene dei valori essenziali dei quali è fondamentale per il socialismo di assicurarsene la salvaguardia»: la tolleranza, la libertà e l’uguaglianza formale. L’esperienza tragica dello stalinismo obbliga i seguaci di Marx a chiedersi, più che mai, «come […] recuperare questi valori all’interno del socialismo e salvaguardare la loro sopravvivenza in un contesto sociale ed economico differente da quello in cui sono nate».21

Se la visione del mondo individualista trova origine nel cogito cartesiano (penso, dunque sono),22 il pensiero dialettico comincia, secondo Goldmann, «con una frase magari stravagante, ma che è quasi un manifesto»: «L’Io è odioso» (Pascal). Goethe, Hegel, Marx e Lukàcs svilupperanno questa intuizione facendo del soggetto transindividuale il punto di partenza dell’azione e della conoscenza: per la dialettica, «il fondamento ontologico della storia è il rapporto dell’uomo con gli altri uomini, il fatto che l’Io individuale non esiste se non sullo sfondo della comunità». In questa prospettiva, gli altri esseri umani non sono semplicemente degli oggetti della conoscenza o dell’osservazione, ma coloro coi quali agisco in comune.23

Goldmann non mette in discussione le scoperte di Freud: la vita psichica individuale dipende senza dubbio dalla libido e una dimensione libidinale è presente in qualsiasi comportamento umano individuale. Tuttavia, le azioni storiche, il dominio sulla natura, la creazione culturale non possono essere compresi nel loro significato e spiegati nella loro genesi che a partire dal soggetto collettivo, o piuttosto, transindividuale. Quest’ultimo non deve essere confuso con il misterioso «soggetto collettivo» di cui parla Durkheim, quindi una coscienza collettiva che si situerebbe al di fuori o accanto alla conoscenza individuale: esso designa i gruppi umani, le collettività entro le quali gli esseri umani pensano ed agiscono assieme.

Questa concezione dialettica del soggetto storico si oppone allo stesso modo alle visioni individualiste del mondo e a quelle che, come lo strutturalismo, eliminano il soggetto dalla teoria. Rigettando queste due posizioni «corrispondenti e complementari», rappresentate all’interno della filosofia francese contemporanea da Sartre e Althusser, Goldmann vede nel soggetto transindividuale il solo approccio capace di superare il dualismo del pensiero moderno: soggetto e oggetto, giudizi di fatto e giudizi di valore, spiegazione e comprensione, determinismo e libertà, teoria e prassi.24

Se la storia è il prodotto della prassi di soggetti umani collettivi, tutti i gruppi [sociali] non hanno affatto la stessa importanza all’interno della vita sociale e culturale:

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tra gli innumerevoli soggetti transindividuali la cui azione si intreccia e che costituiscono la vita di una società globale, vi è una categoria la cui azione ha un’importanza particolare per le trasformazioni storiche e soprattutto per la creazione culturale; sono i gruppi sociale la cui prassi, la coscienza e l’affettività sono orientati non verso un settore particolare dell’organizzazione sociale globale, […] ma verso questa organizzazione globale come tale, verso l’insieme delle relazioni inter-umane e delle realzioni tra gli uomini e la natura, sia che abbiano la tendenza a conservarle sia che tendano, al contrario, a trasformarle in maniera radicale: si tratta delle classi sociali.25

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Goldmann pensa, quindi, come Marx, che occorre privilegiare il ruolo delle classi sociali come gruppi la cui azione è orientata verso l’universalità, verso la strutturazione di tutta la società, e che occorre vedere nel rapporto fra le classi la chiave per la comprensione della realtà passata, presente e futura.

Una buona parte dell’opera di Goldmann, inspirata da questa premessa metodologica fondamentale, ha per oggetto l’identificazione di classi sociali giocanti il ruolo di soggetto transindividuale all’interno di certe creazioni culturali – soprattutto letterarie o filosofiche. Il dio nascosto ne è l’esempio più importante, con la sua scoperta della nobiltà di toga come soggetto collettivo della visione del mondo tragica nel Diciassettesimo secolo – il giansenismo – questo vero e proprio grido di allarme contro lo sviluppo della morale individualista del razionalismo. L’analisi nei termini della sociologia della cultura non diminuisce per nulla l’importanza di individui come Pascal e Racine nel conferire a questa visione del mondo il suo rigore e la sua coerenza. Il percorso di Goldmann, quindi, non è orientato in nessun modo ad eliminare il ruolo degli individui nell’azione storica o nella creazione culturale, ma ad inserirli nel contesto del soggetto transindividuale – e soprattutto della classe sociale – di cui fanno parte.

È vero che nel suo libro sulla sociologia del romanzo, Goldmann aveva creduto di trovare «un’omologia strutturale» diretta tra le strutture del mercato capitalista e quelle del romanzo come forma letteraria, senza passare per la coscienza collettiva. Tuttavia, un soggetto transindividuale (non obbligatoriamente una classe) è suggerito implicitamente nella sua analisi, nella misura in cui il romanzo esprime i sentimenti dell’intelligencija creatrice, ovvero dei «creatori, scrittori, artisti, filosofi, teologi», il pensiero e il comportamento dei quali, senza scappare del tutto al potere degradante del mercato e della reificazione, «restano dominato da dei valori qualitativi».26 Mi sembra che troviamo qui una pista essenziale – non seguita da Goldmann – per comprendere diversi fenomeni culturali moderni, a cominciare dal romanticismo.27

Secondo Goldmann, è solo a partire da un soggetto transindividuale che possiamo formulare un’etica coerente – inseparabile dal sapere e dall’agire del gruppo sociale. Il pensiero individualista conseguente non conosce che la verità e l’errore, il razionale e l’assurdo, la riuscita ed il fallimento. La morale come dominio proprio e relativamente proprio non esiste che «quando le azioni dell’individuo sono giudicati a partire da un insieme di regole del bene e del male che lo trascendono» e che si riferiscono a un valore transindividuale: un dio superumano o la comunità umana, «l’uno e l’altro ad un tempo esterni ed interni all’individuo».28

Da questo punto di vista, il pensiero dialettico è erede delle inquietudini della visione tragica del mondo, e in particolar modo, di Pascal:

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Il problema principale del pensiero tragico, problema che solo il pensiero dialettico potrà risolvere sia sul piano scientifico sia su quello morale, è quello di sapere se in questo spazio razionale […] ci sia ancora un mezzo, una speranza qualunque di reintegrare i valori morali sopra-individuali, se l’uomo potrà ancora ritrovare Dio o ciò che per noi ne è un sinonimo meno ideologico: la comunità e l’universo.

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Secolarizzando in questa maniera così brusca l’idea tragica di Dio, Goldmann si disfa troppo sbrigativamente di ciò che rappresenta la specificità della religione di fronte al pensiero comunitario. Ma egli tenta, in realtà, di mettere in luce l’affinità occulta tra il cristianesimo tragico di Pascal e il socialismo marxiano.

Un’altra maniera di sottolineare questa parentela è il concetto stesso di religione che Goldmann ri-definisce in modo da includere entrambi i termini: «a condizione di prendere quest’ultima parola nel suo significato più vasto di fede in un insieme di valori che trascendono l’individuo». La differenza sostanziale che li separa è l’assenza di prospettiva storica della visione tragica, che ammette il mondo esistente come definitivo e immodificabile, senza speranza di un avvenire: si tratta di un pensiero incapace di rimpiazzare il mondo atomista e meccanicista della ragione individuale con una nuova comunità. Il rifiuto assoluto e radicale del mondo nella visione tragica non conosce che una sola dimensione temporale: il presente.29

Il pensiero dialettico ed il socialismo, al contrario, sono radicalmente orientati verso l’avvenire della comunità umana. Ma essi fanno anche parte di questa «religione nel senso largo del termine»: una fede in dei valori transindividuali. Nel suo grande saggio sulla filosofia dell’Illuminismo del 1960, Lucien Goldmann affronta nei seguenti termini le grandi scelte che si presentano all’umanità nella nostra epoca:

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Ecco l’alternativa: una società desacralizzata, segnata dal successo tecnico, totalmente razionalizzato, o al contrario una comunità umana che recupererà e svilupperà senza dubbio le possibilità tecniche create dalla società borghese, ma supererà allo stesso tempo l’alienazione e creerà una nuova religiosità immanente – liberata da ogni trascendenza – della comunità umana e della storia?

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Una lettura superficiale di questo passaggio potrebbe suggerire un’opposizione tra ragione e speranza, ma qualche paragrafo più tardi, l’alternativa è esplicitata come una scelta fra un sapere tecnico, indifferente ai valori della comunità ed una fede immanente nella comunità, o, in altre parole, «chi, tra l’intelletto e la ragione, tra il capitalismo e il socialismo, sarà l’avvenire dell’umanità».30 Si tratta, quindi, di un superamento del Verstand individualista da parte della Vernunft dialettica, che si apre, di fronte al disincanto capitalista, ad una dimensione religiosa immanente, allo stesso tempo sacra e profana.

L’ardita e quasi provocatoria affermazione di una “affinità elettiva” tra la fede marxista e la fede tragica (cristiana), e la loro comune opposizione alle visioni del mondo individualiste, non ha avuto molta eco all’interno del pensiero cristiano in Francia. Bisognerà aspettare gli anni Ottanta, molto dopo la sua morte, perché una corrente cristiana ne faccia riferimento: la teologia della liberazione latino-americana. Nel suo libro La forza storica dei poveri del 1982, Gustavo Gutierrez, fondatore di tale teologia critica ed innovatrice, di ispirazione socialisto/comunitaria, scriveva in questa maniera:

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L‘individualismo è la nota più importante dell’ideologia moderna e della società borghese. Per la mentalità moderna, l’uomo è un cominciamento assoluto, un centro autonomo di decisioni. L’iniziativa e l’interesse individuali sono il punto di partenza ed il motore dell’attività economica. […] Come nota con perspicacia L. Goldmann, l’empirismo è anche un’espressione di tale individualismo. Come il razionalismo, l’empirismo è ugualmente l’affermazione che la coscienza individuale sia l’origine assoluta della conoscenza e dell’azione.

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In una nota a piè di pagina, Gutierrez fa riferimento all’edizione latino-americana del saggio di Goldmann sulla filosofia dell’Illuminismo (La ilustracion y la sociedad actual, Caracas, 1968) e aggiunge: «Molte delle osservazioni che abbiamo svolto sulla relazione tra la mentalità illuminista e l’economia capitalista si ispirano a questo lavoro». Come il pensiero dialettico cui fa riferimento Goldmann, la riflessione cristiana di Gutierrez si riferisce ad un soggetto transindividuale.

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Il “locus” della teologia della liberazione è un altro. Si trova tra i poveri del subcontinente, tra le masse indigene, tra le classi popolari; si trova nella loro presenza in quanto soggetto attivo e creatore della propria storia, nelle espressioni della loro fede e della loro speranza nel Cristo povero, nelle loro lotte per liberarsi.31

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Più che il termine «religione» (pur se immanente), che rischia di indurre in confusione, è il termine fede a sembrargli più adatto a rendere conto di quello che c’è di comune fra i due percorsi, d’altra parte così distinti. Secondo Goldmann, possiamo designare tramite il concetto di «fede» – a condizione di liberarlo «dalle contingenze individuali, storiche e sociali che lo legano a questa o quella religione precisa, o anche alle religioni positive in generale» – una certa attitudine totale, che faccia riferimento a dei valori transindividuali e che abbracci simultaneamente, in un’unità organica, e «la comprensione della realtà sociale, i valori che la giudicano e l’azione che la trasforma».32

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3. Il pari

Le visioni del mondo individualiste – razionaliste o empiriste – ignorano il pari. Quest’ultimo non trova posto che in seno a forme di pensiero in rottura con l’individualismo: la visione tragica e la dialettica. Ciò non vuol dire che le due siano identiche: respingendo il sospetto di voler «cristianizzare il marxismo», Goldmann – per altro ebreo, ateo e razionalista! – insiste sull’opposizione costante di quest’ultimo contro qualsiasi religione rivelata affermante l’idea di un essere supremo soprannaturale:

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La fede marxista è una fede in un avvenire storico costruito dagli uomini, o più esattamente che noi dobbiamo costruire con la nostra attività, un pari sul successo delle nostre azioni; la trascendenza che costituisce l’oggetto di questa fede non è più soprannaturale né sopra-storica, ma sopra-individuale, nulla di più ma anche nulla di meno.

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In quanto pensiero razionalista, la dialettica marxista è erede della filosofia illuminista, ma tramite la propria fede su dei valori transindividuali, esso si «riannoda, al di là di sei secoli di razionalismo tomista e cartesiano, alla tradizione agostiniana» cui di rifacevano Pascal e i giansenisti. L’atto di fede, afferma tranquillamente Goldmann, è il fondamento comune dell’epistemologia agostiniana, pascaliana e marxista, benché si tratti nei tre casi di una «fede» essenzialmente differente: evidenza del trascendente, scommessa sul trascendente, scommessa su un significato immanente.33

Se il termine «fede» appare spesso, in maniera retorica, nella letteratura marxista, Goldmann è il primo ad aver provato ad esplorare le implicazioni filosofiche, etiche, metodologiche e politiche di quest’usanza. Senza temere l’eresia rispetto alla tradizione materialisto-storica, egli scopre, grazie alla propria interpretazione poco ortodossa e profondamente innovatrice di Pascal, l’affinità occulta, il tunnel sotterraneo che collega, passando sotto la montagna dei Lumi, la visione tragica del mondo (religiosa) e il socialismo moderno.

Mettendo a paragone Pascal e Marx ne Il dio nascosto, egli evidenzia prima di tutto cosa abbiano in comune:

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Sarebbe altrettanto assurdo per Kant e Pascal affermare o negare l’esistenza di Dio in nome di un giudizio di fatto quanto per Marx affermare o negare in nome di un siffatto giudizio il progresso e la marcia della storia verso il socialismo. L’una e l’altra affermazione si fondano su un atto del cuore (per Pascal) o della ragione (per Kant e Marx) che supera e integra insieme la teoria e la pratica in ciò che abbiamo definito un atto di fede.34

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Questo atto di fede, che si trova quindi, secondo Goldmann, al punto di partenza del ragionamento marxista è, come qualsiasi atto simile, fondato su un pari: la possibilità di realizzazione storica di una comunità umana autentica (il socialismo). Non è proprio sicuro che si trovino molti scritti di Marx o di Engels che fondino «il cammino della storia verso il socialismo» su un «atto di fede», piuttosto che su dei «giudizi di fatto» scientifici! Si tratta, da parte di Goldmann, d’una interpretazione, piuttosto eterodossa e iconoclasta; ma questa ha l’immenso vantaggio, grazie al concetto di pari, di liberare il marxismo del pesante carico positivista/scientista e determinista che ha pesato così tanto nel corso del Ventesimo secolo su un potenziale sovversivo ed emancipatore, e di dare al «fattore soggettivo», a «l’ottimismo della volontà», all’impegno, all’azione collettiva il ruolo che loro spetta.

L’interesse per il pari pascialiano è senza dubbio motivato, per l’autore de Il dio nascosto, da un orizzonte politico: rompendo con l’illusione di determinista ed evoluzionista di un inevitabile avvenire socialista, garantito dalle leggi dalle leggi della storia o dalle contraddizioni interne del capitalismo, Goldmann è convinto che non si possa che parier [scommettere] sul trionfo dell’opzione autenticamene umana «nell’alternativa che si offe all’umanità tra socialismo e barbarie».35 È evidente che tale formula devo molto al Junius pamphle di Rosa Luxemburg – La crisi della socialdemocrazia – dove appare per la prima volta l’espressione «socialismo o barbarie». Goldmann aveva un esemplare dell’edizione originale, in tedesco, di questo documento, pubblicato a Berna nel 1915, del quale è venuto in possesso durante il suo soggiorno in Svizzera (negli anni della Seconda guerra mondiale), e questa espressione appariva spesso nei suoi scritti. In uno dei suoi ultimi testi – che data settembre 1970 – scriveva, questa volta in riferimento diretto all’autrice della Crisi della socialdemocrazia: «l’alternativa formulata da Marx e Rosa Luxemborg è sempre valida; ai due poli estremi dell’evoluzione si disegnano le immagini estreme della barbarie e del socialismo».36

Come mostrato da Pascal e Kant, osserva Goldmann, nulla sul piano dei giudizi all’indicativo, dei «giudizi di fatto» scientifici, permette di affermare né il carattere erroneo né la validità del pari iniziale. Quest’ultimo non è oggetto di una «prova» o di una dimostrazione fattuale, ma se gioca nella nostra azione comune, nella prassi collettiva. D’altra parte, solo la realizzazione futura del socialismo si sottomette al pari: le altre tesi o affermazioni del marxismo sono soggette «al dubbio ed controllo dei fatti e della realtà».37 Per altro, tanto il pari pascaliano quanto quello dialettico implicano nello stesso momento il rischio, il pericolo di fallimento e la speranza di riuscita. Ciò che li distingue è la natura trascendentale del primo (scommessa sull’esistenza di Dio) e puramente immanente e storica del secondo (scommessa sul trionfo del socialismo nell’alternativa che si offre all’umanità nella scelta fra socialismo e barbarie).38

Sarebbe, allora, un errore ignorare le differenze fra le due forme di pari. Goldmann ritorna su questa questione in un rimarchevole intervento al primo “Colloque de philosophie de Royaumont”, Le pari est-il écrit ‘pour le libertin’? (1954). Innanzitutto, mette in evidenza la portata umana universale del pari:

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Il pari è fondamentalmente l’espressione del paradosso dell’uomo e della sua condizione. Perché l’uomo viva in quanto uomo, deve impegnare la sua vita senza riserva, nella speranza di un valore autentico il cui segnale più chiaro è che esso sia realtà.

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Ma non insiste meno su ciò che distingue il pari pascaliano da quello marxista: «Il pari di Pascal si rivolge all’eternità ed alla felicità infinita promessa da dio ai credenti e non all’avvenire storico che noi dobbiamo creare grazie all’aiuto degli uomini». Certo, il pari pascaliano si ritrova al centro del pensiero marxista «in quanto scommessa sull’avvenire storico», ma si tratta di una forma chiaramente modificata, «che integra e supera il pari pascaliano». Il «pari marxiste» – l’espressione è di Goldmann – è un impegnarsi [engagement] su un’azione, il cui successo «non potrebbe mai essere una certezza assoluta, dogmatica: come indica la celebre formula “socialismo o barbarie”. […] Non si tratta di una certezza pura, di una fatalità irrevocabile […]».39

Alla domanda «faut-il parier?» Pascal rispondeva che l’essere umano è sempre già «embarqué». Qualche siano le differenze evidenti tra il suo pari e quello di Marx:

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L’idea che l’uomo è «imbarcato» e che deve scommettere costituirà dopo Pascal l’idea centrale di ogni concezione filosofica cosciente del fatto che l’uomo non è una monade isolata e autosufficiente, ma un elemento parziale all’interno di una totalità che lo supero e alla quale è legato dalle sue aspirazioni, dalla sua azione e dalla sua fede ; l’idea centrale di ogni concezione che sappia che l’individuo da solo, con le sue proprie forze, non può realizzare nessun valore autentico e ha sempre bisogno di un soccorso super-individuale sull’esistenza del quale deve scommettere, non potendo vivere ed agire che nella speranza di un successo al quale deve credere.40

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Più che un omaggio a Pascal, questo passaggio propone una nuova interpretazione, molto eterodossa, del significato del marxismo come pari rivoluzionario.

Per una filosofia del progresso lineare e dell’evoluzione storica a senso unico il paradosso di un pensiero contemporaneamente più lucido e più «retrogrado» – Pascal di fronte a Descartes, rappresentante del progresso scientifico e razionale – è incomprensibile. Quanto a Goldmann, egli non esitava a riconoscere che «Il carattere tragico e non rivoluzionario del giansenismo gli ha permesso di evitare alcune illusioni del razionalismo progressista e di cogliere meglio di quest’ultimo numerosi aspetti della condizione umana (Un fenomeno analogo, come mostrato da Lukàcs, si è prodotto in Germana, dove è nato il pensiero dialettico)».41 Queste osservazioni sarebbero potute essere il punto di partenza di una critica marxista dell’ideologia del progresso, che purtroppo Goldmann non ha mai preso in considerazione. Gli scritti di Walter Benjamin gli erano sconosciuti e quelli della Scuola di Francoforte gli sembravano troppo pessimisti.

Goldmann non s’interessa molto dell’aspetto «matematico» del pari pascaliano, il calcolo delle probabilità, il paragone fra felicità finita sulla terra e felicità infinità dell’eternità – argomento che serve a giustificare, secondo Pascal, la scelta di scommettere sull’infinito. Non si tratta, per l’autore de Il dio nascosto, che di un «abito esteriore» che non concerne il nocciolo dell’argomento. Mi pare che si tratti, in ogni caso, di una differenza decisiva con il pari marxista: mentre il credente cristiano scommette su una felicità eterna grazie alla salvezza della propria anima individuale, il «credente socialista» scommette su una felicità collettiva alla quale non ha la sicurezza di prendere parte. È possibile che la fede socialista sia più ascetica di quella del giansenismo?

Secondo Pascal, colui che ha compreso «la règle des partis», la necessità per ogni essere umano, «déjà embarqué», di scommettere, sa che «deve lavorare per l’incerto». Troviamo quest’idea, con una terminologia differente, presso un autore che apparentemente non conosce Pascal; si tratta di un altro ebreo anti-fascista esiliato in Francia, ma che non ha avuto la stessa fortuna che Lucien Goldmann: Walter Benjamin.42 Il pessimismo melanconico di Benjamin non è privo di affinità con la visione tragica del mondo studiata da Goldmann, anche se, in ultima analisi, la speranza utopica resta l’orizzonte ultimo del suo pensiero. L’utopia emancipatrice è per Benjamin un «lavoro per l’incerto», un pari di cui nulla, nessuna legge della storia, ne garantisce l’esito favorevole.

La riflessione sul pari è senza dubbio uno degli aspetti più affascinanti dell’opera di Goldmann, ma essa non ha trovato molto posto nei più importanti lavori dedicati al suo pensiero. Certo, il pari figura nel titolo dell’eccellente biografia intellettuale pubblicata da Mitchell Cohen, The wager of Lucien Goldmann, ma tale wager non è troppo in questione nello stesso libro. In quanto al rimarchevole libro di Pierre Zima, esso include un capitolo intitolato Pari tragique/pari dialectique, ma paradossalmente non dedica al pari propriamente detto che due paragrafi.43 Tale critica è valida anche per il nostro lavoro del 1973 – mio e di Sami Naïr – che non contiene che una pagina e mezza sul pari. È stato soltanto nel 1995 che ho dedicato un saggio più sistematico a tale concetto: Lucien Goldmann ou le pari communitaire.44

Non si può allora dire che il pari marxista-pascaliano di Goldmann abbia avuto molta influenza. Curiosamente, i teologi della liberazione l’hanno ignorato. Ma troviamo, qua e la, delle eco dei suoi ragionamenti presso alcuni pensatori marxisti. Ad esempio, in un riferimento evidente alla tesi di Goldmann – che egli aveva scelto come relatore per la tesi dottorale – Ernest Mandel argomentava, in una saggio sulle ragioni sulla fondazione della Quarta Internazionale (1988): poiché la rivoluzione socialista è la sola possibilità di sopravvivenza della razza umana, è ragionevole scommettere [parier] du di essa, lottando per la sua vittoria. Con le sue stesse parole:

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Mai l’equivalente del «pari pascaliano» in relazione all’impegno rivoluzionario è stato così valido come oggi. Non impegnandosi, tutto è perso da principio. Come si potrebbe non fare questa scelta ance se le possibilità di riuscita non fossero che dell’un percento? In realtà, le possibilità sono molto migliori di così.45

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Qualche anno più tardi, un altro brillante intellettuale marxista appartenente alla stessa corrente di Mandel, Daniel Bensaïd, renderà un omaggio insistito a Goldmann nel suo bel libro Le pari mélancolique. Ecco cosa scrive nell’epilogo, intitolato Politique du pari:

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Lucien Goldmann vede in questo pari «una svolta decisiva per il pensiero moderno»: il passaggio dalle filosofie individualiste al pensiero tragico. La teoria di Marx intrattiene secondo lui diverse affinità con l’atteggiamento pascaliano.

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L’impegno politico, legato all’incertezza dell’azione, «resta, irriducibilmente, nel segno [de l’ordre] del pari». L’accostamento tra Pascal e il marxismo si giustifica, poiché «nella religione del dieu caché come nella politica dell’evento improbabile, questo obbligo alla scommessa definisce la condizione tragica dell’uomo moderno». Sensibile a questa dimensione tragica, ma ostinatamente fedele al progetto rivoluzionario, Bensaïd termina il proprio libro con una constatazione: «È melanconico, senza dubbio, questo pari sull’improbabile necessità di rivoluzionare il mondo».46

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Per concludere: il pari è, forse, il contributo più importante, quello maggiormente innovatore ed il più significativo del marxismo pascaliano di Lucien Goldmann. Ed è anche il più attuale, in questo inizio di Ventunesimo secolo, dove la catastrofe ecologica, che si avvicina con una rapidità crescente, costituisce per l’avvenire dell’umanità una minaccia senza precedenti. «Un altro mondo è possibile», ma nulla ne garantisce, purtroppo, la sua realizzazione. Non ci resta che il pari, nella sua doppia dimensione teorica e pratica: comprendere il mondo e agire collettivamente per trasformarlo.

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Traduzione: Guido Grassadonio.

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1 [NdT] Questo saggio è disponibile, in originale, online all’indirizzo:http://blogs.mediapart.fr/blog/michael-lowy/061112/lucien-goldmann-le-pari-socialiste-dun-marxiste-pascalien. Una versione ridotta e riadattata è stata pubblicata, col titolo «Lucien Goldmann marxiste pascalien», in Anamnese, n.6, l’Harmattan, Parigi 2011. La presente traduzione ha mantenuto, laddove possibile, il termine originale francese, «pari», per indicare il concetto di scommessa in Pascal. Questa decisione segue una tradizione traduttiva che risale almeno alla traduzione in italiano de Le dieu caché, per cui rinviamo alla nota seguente. L’autore ha gentilmente concesso il permesso alla presente pubblicazione.

2 [NdT] Edizione italiana: L. Goldmann, Il dio nascosto. La visione tragica in Pascal e Racine, Laterza Bari 1971 Edizione originale: L. Goldmann, Le Dieu Caché ( DC) , Paris, Gallimard, 1955.

3 Mitchell Cohen, The wager of Lucien Goldmann, Princeton University Press, 1994

4Per l’aneddotica: in una lettera al biografo Mitchell Cohen, Leszek Kolakowski gli assicura che Goldmann gli avrebbe raccontato di essere stato membro di un gruppo trotzkista rumeno; due testimoni rumeno uno svizzero confermano questa informazione, cfr. M. Cohen 1994 (op. cit), p. 298. Se tutto ciò fosse esatto, si è dovuto trattare di un impegno piuttosto effimero. Trotzki non figura tra le principali fonti marxiste d Goldmann; ciononostante la critica allo stalinismo è ben presente.

5 [NdT] ML, cita col titolo francese, un’opera pubblicata inizialmente in tedesco col titolo Mensch, Gemeinschaft und Weilt in der Philosophie Immanuel Kants. Edizione italiana: L. Goldmann, Introduzione a Kant. Uomo, comunità e mondo nella filosofia di Kant, Sugarco 1972 (l’edizione presa da noi in esame è la ristampa del 1975, a cura della Oscar Mondadori, Milano).

6 [NdT] Edizione italiana: L. Goldmann, Scienza umane e filosofia, Feltrinelli, Milano 1961. Edizione originale: L. Goldmann, Sciences humaines et philosophies, Presses Universitaires de France, Parigi 1952.

7 [NdT] Edizione italiana: L. Goldmann, Per una sociologia del romanzo, 1967 Bompiani, Milano. Edizione originale: L. Goldmann, Pour une sociologie du roman, Gallimard, Parigi 1964.

8 [NdT] L. Goldmann, Structures mentales et création culturelle, Editions Anthropos, Parigi 1970.

9 [NdT] L. Goldmann, Marxismo e scienze umane, Newton Compton, Roma 1973.

10La sola biografia di Lucien Goldmann apparsa fino ad esso non è stata ancora tradotta in francese [NdT, né in italiano]: M. Cohen 1994, (op. cit).

11L. Goldmann, Les sciences humaines et la philosophie (SHP), Paris, Gonthier, 1966, pp. 97-98. [NdT: ML cita parafrasando molto il testo originale, eliminando varie parti non utili al suo discorso. Per tale motivo abbiamo preferito ritradurre il passaggio e non riportare il passo nella traduzione originale italiana. Cfr. L. Goldmann, Scienza umane e filosofia, Feltrinelli, Milano 1961, pp. 104, 105)

12L. Goldmann, La Communauté humaine et l’univers chez Kant, Parigi, P.U.F., 1948, p. 21. [NdT, l’edizione italiana, già citata, traduce l’originale tedesco e non riporta questa ulteriore prefazione].

13L. Goldmann, Le Dieu Caché ( DC) , Paris, Gallimard, 1955, p. 70. [NdT] Per l’edizione italiana (già citata) p.86.

14L. Goldmann, Recherches Dialectiques, Paris, Gallimard, 1959, p. 279, corsivi nostri. [NdT] Non esiste, a nostra conoscenza, una traduzione di questa raccolta di saggi.

15L. Goldmann, Mensch, Gemeinschaft und Welt in der Philosophie Immanuel Kants, Europa Verlag, Zûrich, 1945, p. 246. [NdT] Traduzione italiana già citata.

16H.Lefebvre, Pascal, Paris, Nagel, 1954, tomo II, p. 240. [NdT] Non esiste un’edizione italiana, per quanto ci sia dato sapere.

17L. Goldmann, La philosophie des Lumières, 1960, in Structures mentales et création culturelle, Editions Anthropos, Parigi 1970, pp. 29-30. [NdT] Per motivi di scorrevolezza del testo abbiamo deciso di ritradurre noi i passaggi di questo testo. Ad ogni modo, esiste una pubblicazione in Italiano di tale saggio (e non della raccolta): L. Goldmann, L’illuminismo e la società moderna, Einaudi, Torino 1967.

18Ivi pp. 27-37.

19L.Goldmann, SMCC, pp. 41, 89 e DC, p. 39. [NdT] Nell’edizione italiana di quest’ultimo (già citata), p. 49.

20L.Goldmann, SMCC, p. 122, DC p. 42. [NdT] Nell’edizione italiana di quest’ultimo (già citata), pp. 52, 53.

21L.Goldmann, SHP, p. 128.

22 [NdT] Nell’originale ML mette in grassetto il soggetto «io», sottointeso in traduzione, per metterlo in relazione con il «moi», «l’io odioso», pascaliano evocato subito dopo.

23L. Goldmann, SHP, Gonthier, Parigi 1966, pp. 24-25. [NdT] Nell’edizione italiana (già citata) pp. 16, 17.

24L. Goldmann, Pensée dialectique et sujet transindividuel, in La création culturelle dans la société moderne, Gonthier, Parigi 1971 pp. 121-154. [NdT] Cfr. L. Goldmann, La creazione culturale. Saggi di sociologia della comunicazione, Armando, Roma 1972.

25Incontro con L.Goldmann, VH 101, «La Théorie», n° 2, Estate 1970, p. 43.

26L.Goldmann, Pour une sociologie du roman, Gallimard, Parigi 1964, pp. 30-31. [NdT] Per l’edizione italiana (già citata) pp. 16-18.

27Rinvio al mio volume, scritto in collaborazione con Robert Sayre e largamente ispirato al metodo di Lucien Goldmann, Revolte et Melancolie, le romantisme à contre-courant de la modernité, Payot, Parigi 1992.

28L. Goldmann, DC p. 40. [NdT] Edizione italiana p. 50.

29L.Goldmann, DC, p. 43-44. [NdT] Nell’edizione italiana pp. 53-55.

30L. Goldmann, SMCC, pp. 111-112.

31G. Gutierrez, La force historique des pauvres, Cerf, Parigi 1986, pp. 173, 203. Tuttavia, Gutierrez non fa riferimento a Il dio nascosto: la sfida intellettuale lanciata da Goldmann nella sua analisi parallela del pari pascaliano e di quello marxista resta ancora largamente da esplorare. [NdT] La traduzione del passo di Gutierrez è nostra (e traduce la traduzione francese riportata da Lowy). Per maggiori approfondimenti cfr. G. Gutierrez, La forza storica dei poveri, Queriniana, Brescia 1981.

32L.Goldmann, DC, p. 99. Questa formula richiama in maniera impressionante quella dell’Azione Cattolica : vedere, giudicare, agire… [NdT] Nell’edizione italiana cfr. pp. 132, 133.

33 L. Goldmann, DC, pp. 99, 104. [NdT] Edizione italiana, pp. 132-133, 136-137.

34 L. Goldmann, DCp. 102. [NdT] Edizione italiana, p.134.

35DC p. 336. [NdT] Edizione italiana p. 451

36S. Nair, M.Löwy, Goldmann, ou la dialectique de la totalité, Seghers, Parigi 1973, p. 133. Abbiamo pubblicato questo testo come «il testamento teorico di Lucien Goldmann». [NdT] Nell’edizione italiana dell’opera, non abbiamo trovato traccia di queste pagine, cfr. S .Nair, M.Löwy, Goldmann o la dialettica della totalità, Erre Emme, Roma 1990.

37L.Goldmann, DC, pp. 99-100 e Réponse à MM. Picard et Daix, in SMCC, p. 481. [NdT] Nel primo caso cfr. pp. 130-132 dell’edizione italiana.

38L.Goldmann, DC, pp. 334-336. [NdT] Edizione italiana pp. 450, 451.

39L.Goldmann, Recherches Dialectiques, pp. 187-189. Curiosamente in questa conferenza Goldmann attribuirà l’espressione «socialismo o barbarie» a… Lenin! Strafalcione strano, dato che in diversi altri testi analizza la vera autrice, Rosa Luxembourg.

40 L. Goldmann, DC, p. 337. [NdT] Edizione italiana p. 452.

41L.Goldmann, Le Dieu caché et le marxisme, in SMCC, p. 484.

42 [NdT] Per la lettura che ML propone di W. Benjamin cfr. M. Löwy, Segnalatore di incendio, una lettura delle tesi Sul concetto di storia di Walter Benjamin, Bollati Boringheri, Torino 2004

43 P. Zima, Goldmann, Dialectique de l’immanence, Ed. Universitaires, Parigi 1973, pp. 74-75

44Pubblicato in Recherche Sociale, n° 135, luglio/settembre 1995, pp. 54-61

45Les raisons de la fondation de la Quatrième Internationale et pourquoi elles restent valables aujourd’hui”, International Marxist Review, vol. 3, n°  2, autunno 1988, p. 154.

46D.Bensaïd, Le pari mélancolique, Fayard, Parigi 1997, pp. 294-297.

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