Tommaso Redolfi Riva
Abstract: The aim of this paper is to show that Marx’s analysis of the form of value can give foundation to the main concepts of Adorno critical theory of society.
The concept of society as objective totality, developed by Adorno in his sociological writings, finds its own core in the concept of exchange understood as real abstraction. In the reflection of Adorno, the notion of real abstraction, taken from Alfred Sohn-Rethel, remains undetermined, and the task of showing the genesis of the social objectivity remains at the stage of a project.
Marx’s critique of political economy, understood at the light of the analysis of the form of value developed by Backhaus and the Neue Marx-Lektüre, is able to achieve the task Adorno assigns to critical theory, that is, to show the “anamnesis of the genesis” of the autonomization of the society.
0. L’intento delle pagine seguenti è quello di mostrare come il Marx teorico della forma di valore sia in grado di approfondire e portare a fondamento i concetti centrali della teoria critica di Adorno. Nei primi paragrafi (§§ 1-3) farò vedere che i temi essenziali della sociologia critica di Adorno, in particolare il tema dell’oggettività sociale e dell’autonomizzazione della società, trovano il proprio centro esplicativo nel concetto di scambio quale astrazione reale. Mostrerò poi che tale concetto rimane sostanzialmente indeterminato e privo di una precisa fondazione teorica nell’opera di Adorno. Nei paragrafi successivi (§§ 4-6) cercherò di mostrare che una fondazione dello scambio quale astrazione reale può essere guadagnata con l’analisi della forma di valore sviluppata dalla Neue Marx-Lektüre e in particolare da Hans-Georg Backhaus attraverso un’attenta lettura della critica dell’economia politica di Marx [1].
1. Nella Dialettica negativa, l’excursus su Hegel ha per titolo Spirito del mondo e storia naturale. Quello che appare come un dualismo tra la progressiva umanizzazione del mondo – quindi realizzazione della libertà, storia – e la cieca necessità della natura, ben presto si dà a vedere come una prosecuzione della natura all’interno della storia, come una continuazione dell’eteronomia nella sfera della vita storica: “la storia umana, il progressivo dominio sulla natura, prosegue quella inconsapevole della natura”[2]. Lo spirito del mondo, che nelle pagine hegeliane della filosofia della storia si mostrava come il progressivo processo di realizzazione della libertà, è letto da Adorno quale luogo dell’affermazione dell’universale a danno del particolare, momento di autonomizzazione di un processo complessivo di contro alle singole azioni che lo compongono. Più in particolare la critica alla logica hegeliana di universalità e particolarità si specifica nel richiamo adorniano alla legge dell’accumulazione capitalistica che si realizza per mezzo delle azioni individuali, e da esse si rende autonoma e oggettiva. Per Adorno, Hegel ha individuato questo processo sovraindividuale attraverso il concetto di spirito del mondo che per l’appunto “si disinteressa dei viventi, di cui […] ha bisogno, così come questi possono esistere solo grazie a quel tutto”[3], ma, invece di criticarlo nella determinatezza storica del modo di produzione capitalistico, lo ha elevato a “ipostasi filosofica”[4], a processo universale di affermazione della libertà.
Per Adorno, la filosofia di Hegel diventa in prima istanza un grimaldello per la comprensione dell’imporsi di una struttura oggettiva, ma nello stesso tempo oggetto di critica, in quanto eternizzazione, ipostasi, di un processo storicamente determinato.
L’istanza critica che muove Adorno è di grande interesse: la società dominata dal modo di produzione capitalistico si costituisce attraverso una specifica struttura nella quale le singole azioni individuali si compongono in un’oggettività che domina gli stessi agenti sociali. Nel modo di produzione capitalistico si infrange la classica antitesi tra natura e storia. Una tale antitesi è vera e falsa insieme: è vera in quanto la legalità che si impone agli agenti sociali è un loro stesso costrutto e quindi è storica; è falsa in quanto questa legalità prodottasi storicamente agisce sugli agenti proprio come una legge della natura. Come afferma enfaticamente Adorno: “l’oggettività della vita storica è quella di una storia naturale”[5].
2. Il tema della riproduzione della necessità naturale all’interno della dimensione storica si presenta con forza negli scritti sociologici. Adorno si riferisce alla società nei termini di una “prosecuzione eteronoma della natura”[6] ; la società è una totalità, un universale, essa è “preordinata a tutti i singoli soggetti, poiché questi anche in se stessi ubbidiscono alla sua pressione”[7].
Proprio a causa del suo carattere di totalità oggettiva, per Adorno, non è possibile definire la società a partire dai membri che la compongono, considerarla di volta in volta come il concetto “dell’umanità insieme a tutti i gruppi in cui si suddivide e di cui si compone”, oppure come “totalità degli uomini che vivono in un certo periodo di tempo”. Questa definizione formale, che procede astraendo dai particolari e costruendo un concetto generale del quale tutti i particolari sono predicabili, presupporrebbe che si parlasse di una “società di uomini”, quindi una società umana nei termini di un soggetto autodeterminantesi. Si eluderebbe così “la proprietà specifica della socialità” ovvero il “predominio sugli uomini di rapporti di cui essi sono diventati, alla fine, i prodotti privi di qualsiasi potere”[8]. Tra società e individuo esiste una contraddizione che non permette di giungere al concetto generale attraverso i particolari che lo compongono. Mentre i singoli uomini agiscono e si muovono per mezzo di posizioni di scopo, la composizione di tali azioni realizza un processo oggettivo che eccede e si impone alle singole posizioni di scopo. Ci troviamo di fronte ad una costruzione umana che si colloca oggettivamente di fronte ai soggetti che l’hanno costituita. Lo scopo della teoria dialettica della società è proprio quello di mostrare che “la società – ciò che ha assunto esistenza propria, autonoma – non è più comprensibile; è solo la legge di questa autonomizzazione”[9].
Adorno rileva che “l’ideale conoscitivo della spiegazione coerente” si rivela inadeguato alla cosa stessa, cioè alla società, perché essa non è coerente: la società è intimamente contraddittoria perché si presenta come un meccanismo autonomo di composizione degli atti teleologici dei singoli agenti che la compongono. È quindi in sé contraddittoria perché la composizione sovraindividuale di atti liberi conduce alla costruzione di un sistema autonomo autodeterminantesi che si oppone alle soggettività agenti.
È possibile sviluppare una critica nei confronti della sociologia empirica e dell’ideale della spiegazione coerente proprio perché essi si rivelano inadeguati rispetto alla “cosa stessa, la società” la cui logica immanente si mostra “diversa da quella che il sistema di categorie della logica discorsiva si aspetta a priori che siano i suoi oggetti”[10]. È necessario tematizzare la contraddizione per cui la società è “razionale e irrazionale insieme; è sistematica e irregolare, è cieca natura ed è mediata dalla coscienza”[11]. Se la scienza sociale mette da parte questo carattere contraddittorio del suo oggetto cade “per zelo puristico contro la contraddizione, nella contraddizione più fatale: quella fra la sua struttura e la struttura del suo oggetto”[12]. Adorno sintetizza la sua critica alla metodologia positivistica delle scienze sociali con una frase dal sapore esplicitamente hegeliano: “i metodi non dipendono dall’ideale metodologico ma dalla cosa stessa”[13].
Adorno condivide con la sociologia comprendente l’idea secondo la quale il modello delle scienze naturali non possa essere preso a modello per lo studio della società. Ma non certo perché si devono rifiutare i metodi che considerano un uomo parte della natura, cioè in quanto rinnegano l’umanità propria dell’uomo e quindi la sua autodeterminazione. Adorno afferma che “la sociologia non è una scienza dello spirito”[14]. Ciò significa che gli agenti sociali, in quanto dominati da una struttura oggettiva che agisce alle loro spalle, sono eterodeterminati. Adorno può ben affermare che “nella misura in cui l’indurimento della società abbassa sempre di più gli uomini alla condizione di oggetti, e trasforma il loro stato in una ‘seconda natura’, i metodi che li costringono ad ammettere questa realtà non sono affatto sacrileghi”[15]. Tuttavia questa concordanza tra oggetto della ricerca – l’agente sociale divenuto oggetto e quindi eteronomo – e il metodo oggettivistico delle scienze della natura deve a sua volta essere oggetto di riflessione. Qualora non lo fosse si ipostatizzerebbe la condizione eteronoma dell’agente sociale, la si renderebbe elemento astorico ed eterno di ogni formazione sociale. Se invece il rapporto congruenza tra oggetto e metodo è esso stesso oggetto di riflessione, la teoria è in grado di indagare il processo di genesi per mezzo del quale l’agente sociale si è trasformato in oggetto e, di riflesso, la genesi di questa forma di ricerca sociale quale scienza riconosciuta: “nel momento in cui la situazione che i metodi della research colgono e di cui sono insieme una manifestazione viene ipostatizzata come ragione immanente della scienza, anziché fare di essa l’oggetto del pensiero –, si contribuisce volontariamente o meno, a perpetuarla” [16].
Il carattere immanentemente contraddittorio della società permette di criticare sia la sociologia comprendente di stampo weberiano che il metodo oggettivante della sociologia durkheimiana. “La società è entrambe le cose, è insieme conoscibile e non conoscibile dall’interno”[17]. La società è conoscibile in quanto deve essere ricondotta agli uomini che la compongono. Essa non può né deve essere reificata, resa oggetto, resa natura, è comunque un prodotto umano. Deve essere conoscibile dal suo interno. Per Adorno, quindi, Weber e la sua sociologia comprendente hanno la propria ragion d’essere in questo momento del concetto di società. Tuttavia nello stesso tempo la società non è conoscibile dall’interno. Perché per quanto le azioni individuali siano riconducibili a una posizione di scopo individuale, quindi ermeneuticamente comprensibili, esse si compongono in una struttura oggettiva che trascende le singole posizioni di scopo: “a ciò si riferiva la regola di Durkheim secondo cui i fatti sociali devono essere trattati come cose, rinunciando per principio a comprenderli”[18] . Ma anche Durkheim rappresenta solo un momento, perché non è in grado di riportare quella cosalità dei rapporti alla loro genesi. Compito della sociologia è quindi “comprendere la non comprensibilità, […] mostrare come quei rapporti che si sono resi indipendenti e impenetrabili per gli uomini, derivino proprio da rapporti fra gli uomini”[19]. Sia il metodo di Weber che quello di Durkheim ipostatizzano un momento della società, non sono in grado di cogliere l’oggettivo processo di riflessione che si determina tra questi due momenti: nelle loro teorie, la coerenza tra il metodo e l’oggetto è solo unilaterale. Riassumendo: c’è conformità in Durkheim tra il metodo oggettivante e l’autonomizzazione della società rispetto agli agenti sociali. Durkheim ipostatizza il momento oggettivo, di cui non viene compresa la genesi e il fondamento umano. Ugualmente: c’è conformità tra la sociologia comprendente di Weber e la sua attenzione alla razionalità e al momento dell’azione soggettiva nel processo sociale, ma la società è davvero incomprensibile è davvero una cosa, e questo aspetto rimane celato se si parte dagli agenti sociali e dalle loro posizioni di scopo. Qui si è ipostatizzato il momento soggettivo.
La teoria dialettica di Adorno vuole comprendere e superare questi momenti unilaterali. Essa si conforma all’oggetto proprio perché comprende la soggettività e l’oggettività della società come momenti. Comprende la società come oggetto nel processo genetico della sua autonomizzazione dai soggetti.
3. La società deve essere esaminata a partire dalla categoria di totalità, intesa in senso dialettico e non come vorrebbero le teorie sistematiche del positivismo che si limitano a “raccogliere gli accertamenti in un continuum logico non contraddittorio, attraverso la scelta di categorie quanto più generali possibile”[20]. La categoria di totalità non è una categoria a parte subiecti, attraverso la quale lo studioso dei fenomeni sociali mette coerentemente in connessione i suoi accertamenti oggettivi. È invece una categoria oggettiva che preforma l’oggetto stesso che lo studioso apprende empiricamente. Dire che la società è una totalità, non significa semplicemente affermare con Hans Albert la banalità per cui “tutto è connesso con tutto”[21]. Si tratta di mostrare che nella società esiste un principio sintetico che immanentemente determina la connessione di ogni fatto sociale.
Lo scambio per Adorno assolve oggettivamente a questo compito: “ciò che rende la società un’entità sociale, che la costituisce sia concettualmente che realmente, è la relazione di scambio, che lega assieme virtualmente tutte le persone”[22]. Lo scambio è il principio di mediazione che assicura la riproduzione della società e che connette tra loro tutti gli agenti. Esso garantisce la socializzazione per mezzo di un processo di astrazione che “implica la riduzione dei beni che devono essere scambiati tra loro a qualcosa di equivalente ad essi, a qualcosa di astratto”[23].
Adorno riconosce, nell’analisi del processo di scambio, la possibilità di concepire quel processo di autonomizzazione che costituisce il tratto caratteristico della società capitalistica. Il processo di astrazione che sottende ogni processo di scambio non è un’astrazione soggettiva, “un prodotto rarefatto del pensiero”[24], bensì un’astrazione che opera oggettivamente “indipendentemente dalla coscienza dei singoli individui che le sono soggetti come da quella dei ricercatori”[25]. Nel modo di produzione capitalistico esiste un principio di “riduzione a unità”[26] che permette lo scambio delle merci. “Ciò che rende le merci scambiabili è l’unità del tempo di lavoro astratto socialmente necessario”[27], tale unità non viene determinata attraverso un processo di astrazione soggettivo compiuto dagli scambianti: “il tempo di lavoro astratto astrae dai veri contraenti”[28] i quali perciò sono inseriti in un rapporto sociale che si è reso loro autonomo.
I mezzi che garantiscono l’esecuzione fluida dello scambio, quali il denaro, “sono accettati dalla coscienza ingenua come la forma auto-evidente di equivalenza e così come il mezzo auto-evidente dello scambio, esonerano i soggetti da una tale riflessione”[29].
Lo scambio è quindi un meccanismo oggettivo di riduzione a unità che agisce al di fuori della coscienza degli scambianti; come afferma Marx, che Adorno cita: “gli uomini non riferiscono, dunque, l’un l’altro i prodotti del loro lavoro come valori perché queste cose valgono per loro come involucri meramente cosali di lavoro umano di genere uguale; viceversa: in quanto nello scambio essi pongono l’un l’altro uguali, come valori, i loro prodotti di genere diverso, essi pongono l’un l’altro uguali, come lavoro umano, i loro lavori diversi. Non lo sanno ma lo fanno” [30].
La possibilità di parlare di un’oggettività che si è resa autonoma, di una totalità oggettiva, di un universale che si impone sul particolare, risiede quindi nel principio dello scambio, inteso quale processo astrazione reale che agisce per mezzo degli atti singoli di scambio e che si impone sugli agenti sociali dando vita ad una legalità oggettiva che agisce come una legge di natura.
Per Adorno, questo processo è il carattere di feticcio della merce: “il concetto di feticismo delle merci non è altro che questo necessario processo di astrazione”[31] che all’economia politica appare come processo naturale come “un-essere-in-sé delle cose”[32]. Il carattere dialettico del processo di scambio risiede nel fatto che “da un lato il feticismo delle merci è apparenza” e nello stesso tempo “è oltremodo reale”[33]: è apparenza, poiché ciò che viene concepito come qualcosa di naturale è in realtà dipendente dai rapporti sociali nei quali gli agenti sociali sono inseriti, è realtà poiché quel processo di riduzione a unità trascende la coscienza degli agenti, imponendo loro una legalità oggettiva.
Il processo di autonomizzazione della società rispetto agli individui che la compongono diviene esplicito attraverso la concettualizzazione dello scambio, che mostra in nuce il carattere contraddittorio della società stessa.
Il compito di decifrare la società quale processo di autonomizzazione è quindi assolto soltanto nel momento in cui si è in grado di spiegare la genesi dello scambio quale processo di astrazione reale e luogo di costituzione del feticismo: la teoria dialettica della società deve essere in grado di comprendere il processo di autonomizzazione della società e nello stesso tempo deve dare conto dell’ “oblio [das Vergessen] della sua genesi sociale. Il materialismo storico” – a cui, in questo dialogo con Sohn-Rethel, Adorno riconduce la teoria critica della società – “è l’anamnesi della genesi”[34].
Questo tema tanto è centrale e fondativo per la teoria critica, quanto rimane allo stato larvale negli scritti di Adorno. Ancora nel 1965 in un dialogo con Sohn-Rethel, Adorno affermava la necessità di una “analisi sistematico-enciclopedica dell’astrazione dello scambio”[35], che però non trovò mai realizzazione. Come afferma convincentemente Helmut Reichelt, nelle considerazioni di Adorno sullo scambio e sull’astrazione reale “sono riassunti tutti i temi della teoria dialettica, ma tutte le affermazioni rimangono sul terreno dell’asseverazione”[36], “tutta la teoria critica dipende dalla spiegazione convincente dell’ ‘astrazione oggettiva’. Se è impossibile concretizzare questo ‘concetto oggettivo’, tutti gli altri concetti […] sono esposti all’accusa di speculazione teoretico-sociale”[37].
4. A mio avviso la Neue Marx-Lektüre e in particolare l’opera di Hans-Georg Backhaus possono essere lette nell’orizzonte dell’approfondimento e della fondazione delle intuizioni di Adorno sullo scambio e sull’autonomizzazione della società. Alla base del progetto risiede una lettura approfondita dell’opera di Marx, nelle sue stratificazioni e nella sua specificità metodologica, al di fuori delle ortodossie e delle mode culturali[38].
Il primo passo della rilettura di Marx sviluppata da Backhaus è la messa in discussione del concetto di “produzione semplice delle merci” o “produzione mercantile semplice”. Questo concetto era stato sviluppato da Engels nelle Considerazioni supplementari. Engels cercava di rispondere alle critiche che rintracciavano problemi di coerenza logica nel rapporto tra valori e prezzi di produzione.
La contraddizione tra la teoria del valore e la teoria dei prezzi di produzione, veniva sciolta da Engels sul piano della storia: la legge marxiana del valore “ha una validità economica generale per un periodo di tempo che va dall’inizio dello scambio che trasforma i prodotti in merci fino al XV sec. della nostra era […] La legge del valore ha dunque regnato per un periodo che va da 5 a 7 mila anni”[39]. In questo periodo lo scambio delle merci sarebbe avvenuto in base alla quantità di lavoro contenuta nelle merci. Questa fase storica è definita da Engels “produzione semplice delle merci”. In essa vige sì la produzione delle merci, ma il lavoratore è ancora proprietario del proprio prodotto e dei mezzi di produzione; non c’è ancora la separazione tra le condizioni soggettive e oggettive della produzione: non si può ancora parlare propriamente di modo di produzione capitalistico. Engels ipotizzava una realtà storica in cui il prodotto assume la forma di merce, ma non ancora la forma della merce capitalistica; lo scambio è generalizzato, ma avviene inizialmente nella forma del baratto, la determinazione del valore mediante il tempo di lavoro è visibile alla superficie fino all’apparire del denaro, il quale “divenne la misura decisiva del valore e in grado tanto maggiore quanto più le merci messe nel commercio si moltiplicarono […] cosicché meno facile divenne il controllo del tempo di lavoro necessario per la loro fabbricazione”[40]. La società caratterizzata dalla produzione semplice di merci è quindi definita dallo scambio delle merci, in forma di baratto o attraverso la mediazione del denaro, in base alla quantità di lavoro erogato nella produzione delle stesse. A questa forma di società, per Engels, si riferisce interamente la prima sezione del primo libro. Con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico che per Engels storicamente si attua attraverso un ulteriore sviluppo della divisione del lavoro, l’accrescimento della produzione industriale e la polarizzazione in classi distinte delle condizioni soggettive e oggettive della produzione, si determina un mutamento nella legge che regola lo scambio tra le merci, le quali non si scambiano più in ragione della quantità di lavoro erogata per la loro produzione, ma in base ai prezzi di produzione. In sostanza quella contraddizione che i critici di Marx vedevano nella mancanza di coerenza logica tra il primo e il terzo libro del Capitale, viene sciolta da Engels riferendo la legge del valore e la legge dei prezzi di produzione a due epoche storiche differenti.
Il concetto di “produzione semplice delle merci” ha veicolato gran parte delle letture della teoria del valore di Marx. Per Backhaus la messa al centro di questo concetto ha dato vita a due correnti interpretative che possono essere considerate complementari, quella logico-storica e quella modellistico-platonica o “mitodologica”.
L’interpretazione logico-storica si richiama espressamente alla lettura engelsiana e intende lo svolgimento della forma di valore come lo svolgimento logico di un contenuto storico. La teoria del valore è la concrezione logica del funzionamento di quella società dominata dalla “produzione semplice delle merci” e l’analisi marxiana della forma di valore non è che il riflesso logico di un processo storico che ha poi portato alla nascita del denaro. In relazione a questa lettura Backhaus sviluppa delle critiche non soltanto relative alla pertinenza filologica nei confronti dell’opera di Marx, ma in relazione alla pertinenza storica del modello della “produzione semplice delle merci”. Mentre le affermazioni engelsiane relative alla vigenza della legge del valore e alla nascita del denaro non potevano essere supportate, perché ancora da venire, da ricerche etnologiche specifiche che avessero come oggetto le forme della produzione e riproduzione delle comunità antiche, l’ortodossia logico-storica dovrebbe potersi confrontare analiticamente con quei lavori che concretamente affrontano tali problemi da un punto di vista storico e vedere che i risultati del metodo logico-storico, per esempio quello sviluppato da W.F. Haug, in un importante saggio della metà degli anni Settanta[41], “non si dimostrano né logicamente esenti da contraddizioni, né storicamente plausibili”[42].
L’interpretazione “mitodologica” intende invece la “produzione semplice delle merci”, e gli attori di quegli atti di valutazione delle merci in rapporto al tempo di lavoro erogato, come figure ideali dalle quali è necessario partire per poi giungere al modo di produzione capitalistico in cui le merci non sono più vendute al loro valore bensì ai prezzi di produzione, mentre la teoria della forma di valore è relegata alla funzione di excursus storico esplicativo dell’evoluzione dello scambio dal baratto fino all’apparire del denaro quale elemento di mediazione che facilita la circolazione delle merci.
Alla base di entrambe queste correnti interpretative, che si differenziano profondamente in rapporto ai contenuti economici che esprimono, vi è un presupposto tacito che ne orienta lo sviluppo: l’idea iniziale di uno scambio generalizzato delle merci in cui il denaro non ha ancora fatto la sua comparsa, e la lettura dell’analisi marxiana della forma di valore come concrezione logica di un processo storico che ha portato alla formazione del denaro.
Entrambe le correnti interpretative possono essere considerate come teorie premonetarie del valore: esse esaminano l’analisi della sostanza e della grandezza di valore in sede separata rispetto all’analisi della forma di valore. Un certo orientamento teorico si sostanzia in una metodologia che considera lecita l’astrazione dal denaro e presenta in modo separato l’analisi dello scambio tra merci. Il denaro è considerato un fenomeno, che deve essere trasceso per giungere all’essenza dello scambio: esse “concepiscono come strutturalmente identiche le leggi dello ‘scambio’ nell’economia di scambio premonetaria e in quella monetaria: per esse infatti l’‘economia naturale di scambio’ è l’‘essenza’ dell’economia monetaria; le une e le altre vorrebbero venir a sapere che cosa si cela ‘dietro’ i prezzi mediati dal denaro”[43]. Secondo Backhaus la metodologia di queste correnti interpretative segue lo stesso procedimento della teoria soggettiva del valore, la quale cerca di spiegare lo scambio tra merci in base all’utilità soggettiva astraendo dalle mediazioni monetarie. Ciò che la teoria neoclassica del valore chiama “velo monetario” è concepito dalla tradizione marxista come fenomeno dal quale è necessario prescindere per giungere all’analisi dell’essenza, ovvero del rapporto di scambio tra merci. Ciò che sia le correnti interpretative marxiste che la teoria soggettiva del valore non prendono in considerazione è il processo inverso che dall’essenza porta al fenomeno, che dalla relazione di scambio tra merci porta al denaro quale “astratta unità di calcolo” intersoggettivamente valida. Il fenomeno o il “velo monetario” è inteso, dal marxismo e dalle teorie neoclassiche del valore, come elemento che occulta senza rivelare niente dell’essenza – occulta cioè le strutture premonetarie di un’economia di scambio – mentre per Backhaus, la teoria marxiana della forma di valore è quel processo che dall’analisi dell’essenza giunge al fenomeno, che adesso è mediato e compreso come manifestazione dell’essenza.
Una tale metodologia interpretativa ha portato molti autori marxisti ad essere del tutto concordi rispetto alla teoria del valore, e a scontrarsi ferocemente sulla teoria del denaro. Attraverso l’esame di un’ampia bibliografia marxista, che comprende sia autori occidentali che dell’Europa socialista, Backhaus riesce a mostrare che le dispute relative alla teoria del denaro in Marx dipendono dall’errata ricezione della forma di valore, per lo più ignorata o al massimo interpretata storicamente, e dalla riduzione della teoria marxiana a teoria premonetaria del valore. Proprio in base a questa errata ricezione dell’analisi della forma di valore è possibile distinguere la teoria specificamente marxiana dalle interpretazioni marxiste: “il fatto che l’intimo intreccio fra teoria del valore e teoria del denaro non sia stato tematizzato, mi sembra un indizio della necessità di distinguere per principio la teoria marxiana del valore dalla sua ricezione marxista”[44]. La famosa controversia riguardo alla teoria del denaro tra “nominalisti” e “metallisti” che risale allo scontro teorico tra Kautsky e Hilferding si è potuta ripetere all’interno del marxismo sovietico all’inizio degli anni settanta proprio perché non si è tenuto di conto di quella connessione presente nell’opera di Marx tra analisi dell’essenza e sua manifestazione, cioè tra l’analisi della sostanza e analisi della forma di valore.
Proprio in questo contesto teorico Backhaus vede la necessità di riproporre come elemento centrale dell’opera marxiana il sottotitolo del Capitale inteso così come Marx lo aveva espresso a Lassalle in una lettera del 1858: “esposizione del sistema e critica dello stesso per mezzo dell’esposizione”[45]. Il complesso della teoria del valore deve cioè essere interpretato come critica delle teorie premonetarie del valore: “Marx voleva mostrare che non era possibile costruire senza contraddizioni il concetto di un’economia di mercato premonetaria e al contempo organizzata secondo la divisione del lavoro, e quindi anche il modello di un’economia naturale di scambio. Si doveva riconoscere che il concetto di una merce premonetaria è impensabile. A tale scopo occorreva anzitutto dimostrare che la costruzione di un processo di scambio di merci premonetarie è necessariamente destinata a fallire”[46].
In primo luogo è necessario richiamare l’idea marxiana secondo la quale “la stessa merce non può quindi comparire contemporaneamente nella stessa espressione di valore in entrambe le forme [quella relativa di valore e quella di equivalente]. Anzi, queste si escludono polarmente”[47]. L’analisi della forma di valore totale o dispiegata dovrebbe rendere conto di quella situazione che il marxismo, sulla scorta di Engels, considera un commercio di scambio generalizzato tra merci nel quale non ha ancora fatto la sua comparsa il denaro. Possiamo schematizzare questa situazione in questo modo:
b a a
c c b
a d b d c d ecc.
e e e
f f f
La merce a si troverebbe nel primo caso nella forma relativa di valore, mentre nel secondo e nel terzo nella forma di equivalente. Si tenga ben presente che i tre casi non sono cronologicamente successivi, bensì contemporanei: sono i punti di vista particolari di ogni possessore di una merce specifica. “Poiché ora nel modello di un’economia naturale di scambio premonetaria e tuttavia al tempo stesso organizzata mediante la divisione del lavoro si deve poter pensare una pluralità di merci che si trovino tutte nella forma premonetaria II, un tale modello è impossibile da pensare: ogni merce dovrebbe altrimenti poter comparire ‘al tempo stesso in entrambe le forme’”[48]. In questo modo l’analisi di un’economia di scambio generalizzata in cui non è presente il denaro si dimostra, alla luce dell’analisi marxiana della forma di valore, impossibile da pensare e la costruzione di un processo di scambio di merci premonetarie “deve al contrario fallire”[49]. Questa interpretazione, così lontana dalla vulgata marxista, si rivela coerente alla luce di un’attenta lettura del secondo capitolo del primo libro del Capitale: “per ogni possessore di merci ogni merce altrui vale come equivalente particolare della sua merce, la sua merce vale come equivalente universale di tutte le altre. Poiché, però, tutti i possessori di merci fanno lo stesso, nessuna merce è equivalente universale e le merci non posseggono, di conseguenza, neppure forma relativa universale di valore, in cui esse si pongano uguali come valori e si comparino come grandezze di valore. Esse non stanno, quindi, in genere le une di fronte alle altre come merci, bensì solo come prodotti o valori d’uso. […] [I possessori] possono riferire le loro merci le une alle altre come valori, e quindi come merci, solo in quanto le riferiscono oppositivamente ad una qualsiasi altra merce come equivalente universale”[50]. In base alla lettura di Backhaus, si può affermare che le analisi della forma di valore semplice e della forma di valore totale non sono altro che la dimostrazione dell’impossibilità di uno scambio generalizzato di merci senza la presenza di un equivalente generale. Si può affermare inoltre che il concetto di scambio è un concetto generale trans-storico come quello di lavoro o quello di prodotto, mentre invece il processo sviluppato da Marx nei primi tre capitoli del primo libro deve essere inteso come circolazione, come determinazione di forma del processo di scambio generalizzato in cui le merci assumono la forma di denaro e quindi la forma di prezzo. Lo scambio è quindi un concetto generale che si determina formalmente come baratto oppure come circolazione: “il ‘processo di scambio’ si svolge dunque solo entro determinate ‘forme’ storiche, si compie quindi solo come ‘baratto immediato’, oppure, invece, come ‘circolazione’”[51].
Sulla scorta di queste considerazioni dobbiamo quindi giungere alla conclusione che l’interpretazione engelsiana della prima sezione del primo libro come teoria della produzione semplice di merci risulta inadeguata, come risultano inadeguate tutte le interpretazioni marxiste che separano la teoria del valore dalla teoria del denaro. Si dovrà inoltre riconoscere che se una lettura logico-storica non si dimostra adeguata alla comprensione del contenuto critico della teoria marxiana del valore, non è neppure possibile considerare la merce con la quale Marx dà inizio alla propria sistematica espositiva quale merce precapitalista come “il primo e più semplice rapporto che ci si presenta storicamente, di fatto, cioè, […] il primo rapporto economico che troviamo davanti a noi”[52], bensì essa dovrà essere intesa come merce capitalisticamente determinata.
5. Come abbiamo visto fin qui, l’analisi del processo di scambio, condotta da Backhaus attraverso la lettura di Marx, permette di determinare in modo più approfondito il concetto di scambio a cui si richiama Adorno. Se si parla di società capitalistica, è necessario determinare lo scambio nell’orizzonte della circolazione capitalistica, nella quale il denaro non è un semplice velo o un fenomeno che possa essere trasceso per avvicinarsi all’essenza. Mettere da parte il carattere monetario del processo significa non cogliere la natura contraddittoria dell’erogazione del lavoro. A questo punto, per Backhaus si tratta di sviluppare il rapporto tra valore e denaro e spiegare la genesi dell’autonomizzazione della società a partire dalla contraddizione tra l’erogazione privata del lavoro e il suo processo di socializzazione.
Backhaus rintraccia il fondamento comune delle teorie premonetarie del valore nell’incapacità di concepire il processo di mediazione che dall’essenza, la sostanza del valore, porta alla forma fenomenica. È quindi necessario ricostruire il percorso marxiano che dalla sostanza del valore giunge alla sua forma fenomenica e mostrare il contenuto critico di esso.
La prospettiva teorica marxiana può essere compresa come risposta a una domanda che bene sintetizza il problema della relazione tra essenza e forma fenomenica: “perché questo contenuto assume quella forma, […] perché […] il lavoro si espone nel valore dei prodotti del lavoro e la misura del lavoro attraverso la sua durata temporale nella grandezza di valore di essi”[53]? Non si tratta semplicemente di riconoscere la sostanza comune delle merci che permette loro lo scambio, bensì comprendere perché il lavoro erogato nella produzione della merce esprima se stesso per mezzo della forma del valore, per mezzo del denaro. Questo orizzonte problematico era rimasto del tutto al di fuori del campo visivo della economia classica che aveva posto la propria attenzione esclusivamente sulla sostanza e sulla grandezza di valore. Ricardo si è limitato a ricondurre lo scambio delle merci alla loro essenza nascosta, il lavoro, ma perché il lavoro venga espresso come valore dei prodotti, come proprietà oggettiva da essi posseduta è completamente rimasto al di fuori della sua indagine. Possiamo affermare che la domanda che apre alla prospettiva teorica marxiana – e che sottende la teoria critica di Adorno – è “perché il valore ?” Mentre per l’economia classica lo scambio è un dato non ulteriormente analizzabile, che può essere reso comprensibile attraverso la riduzione della differenza qualitativa delle merci a una loro unità essenziale, Marx si pone un problema ulteriore e fondante la differentia specifica del suo procedere argomentativo: perché il ricambio organico sociale avviene attraverso la forma della circolazione delle merci, attraverso cioè un sistema di compravendite separate l’una dall’altra? Per rispondere a questa domanda Marx deve necessariamente passare attraverso l’analisi dell’essenza e nello stesso tempo comprenderne la forma di manifestazione. Deve quindi procedere a un’analisi della forma specifica del lavoro che produce merci e comprendere la ragione del suo manifestarsi nella forma di denaro.
La sfera della circolazione è caratterizzata da produttori privati autonomi e indipendenti, che producono merci attraverso l’erogazione di un lavoro privato, particolare. Questo lavoro privato si sancisce come lavoro sociale soltanto se la merce prodotta viene venduta sul mercato delle merci. Il processo di scambio che permette la validazione sociale del lavoro privato come lavoro socialmente necessario, come valore, è possibile solo a condizione che esista una merce particolare e al contempo generale, nella quale il lavoro erogato per la produzione sia immediatamente sociale: il denaro. Soltanto lo scambio tra merce e denaro sancisce quindi la necessità sociale del lavoro erogato per la produzione di una merce particolare. La ragione, quindi, per cui il lavoro erogato nella produzione delle merci deve esprimersi nella forma di denaro risiede nella contraddizione immanente al modo di produzione capitalistico, la contraddizione tra il lavoro privato e il lavoro sociale, la contraddizione tra il lavoro particolare e il processo di astrazione reale che si compie nello scambio e che determina il lavoro particolare come lavoro astratto. Come afferma lucidamente Backhaus: “Marx ricava il concetto del ‘lavoro sociale’ e constata una contraddizione tra questa forma del lavoro e quella del lavoro ‘effettivo’ che ha un carattere privato. È questa contraddizione che viene considerata da Marx la causa del fatto che ‘il lavoro si presenta nel valore’, detto altrimenti: del fatto che esiste il denaro”[54].
Per Backhaus il contenuto della teoria marxiana del denaro è stato recepito dal marxismo soltanto nel suo lato critico nei confronti del socialismo proudhoniano, quel socialismo che voleva la merce ma non voleva il denaro e che quindi, non comprendendo l’intima contraddizione tra lavoro privato e lavoro sociale, pensava di poter sostituire il denaro con delle cedole che esprimessero la quantità di lavoro erogata nella produzione di ogni merce. Agli occhi di Backhaus, il marxismo si è dimostrato cieco di fronte al fatto che assieme alla critica a Proudhon Marx, per mezzo della comprensione del duplice carattere del lavoro che produce merci, proponesse una teoria del denaro del tutto nuova rispetto a quella ricardiana, e nello stesso tempo intimamente connessa con la sua teoria del valore. Un’interpretazione che pensi di poter astrarre dal denaro e analizzare uno scambio generalizzato in cui non appare alcun equivalente universale, non tiene conto del duplice carattere del lavoro che produce le merci, quindi della forma specifica in cui si attua la distribuzione del lavoro sociale nonché della “data situazione nella quale la connessione del lavoro sociale si fa valere come scambio privato dei prodotti individuali del lavoro”[55], pertanto lascia da parte ciò che veramente è l’oggetto della teoria marxiana, il modo di produzione capitalistico.
Un’interpretazione che metta da parte la connessione tra teoria del valore e teoria del denaro, che cioè separi l’analisi della sostanza da quella della forma, si riduce, per Backhaus, ad una teoria del valore-lavoro inteso come pena. Se invece di tematizzare la prima sezione del primo libro del Capitale come analisi della circolazione semplice, la si interpreta in un’ottica logico-storica come analisi dello scambio originario, come esame della “produzione semplice delle merci”, si dovrebbe postulare una misurazione soggettiva del tempo di lavoro erogato nella produzione delle merci e comprendere lo scambio in base al sacrificio soggettivo dei produttori. Una tale lettura della teoria del valore eluderebbe completamente il carattere immanentemente contraddittorio della produzione capitalistica, nel quale “a priori non ha luogo nessun cosciente disciplinamento sociale della produzione”, nel quale cioè il carattere sociale del lavoro erogato privatamente “si impone come media che agisce ciecamente”[56]. La legge del valore non è fatta valere consapevolmente dagli scambianti, è bensì un processo sovraindividuale che si attua oggettivamente rispetto alla coscienza degli scambianti. Il produttore privato autonomo eroga una certa quantità di lavoro nella produzione della propria merce, ma quanto di quel lavoro erogato si confermi nella circolazione quale lavoro sociale, quindi come valore, egli non può saperlo prima della vendita della propria merce. La teoria marxiana consiste proprio nello “svolgere come la legge del valore si impone”[57], nella comprensione cioè di quel processo oggettivo che si attua al di fuori della coscienza degli agenti economici.
Proprio in base alla struttura oggettiva del valore Marx può sviluppare la propria sistematica attraverso un’analisi categoriale che prescinde dalla costruzione di modelli di azione degli agenti del processo. Se il processo si impone oggettivamente agli agenti economici che strutturalmente non possono avere consapevolezza del lavoro sociale erogato nella produzione della propria merce se non in seguito allo scambio con denaro, è possibile sviluppare un’analisi delle categorie quali “forme, determinazioni d’esistenza”[58] o “forme di pensiero oggettive”[59] che esuli dalla costruzione di modelli simulati di comportamento degli agenti economici. Non è il comportamento degli agenti che determina la legge del valore, è bensì la legge del valore che si impone attraverso gli agenti economici. La struttura stessa della produzione capitalistica impone all’analisi sociale un completo abbandono di qualsiasi forma di individualismo metodologico e la sostituzione di esso con un’analisi che prescinda dalla socialità intesa a partire dagli agenti. Come afferma Backhaus nella teoria marxiana “non si tratta né di soggetti economici modellati, costruiti in modo idealtipico, né di soggetti economici che compiono azioni di scambio reali in società precapitalistiche; nei capitoli su merce e denaro […] si tratta piuttosto esclusivamente dell’analisi della struttura, della forma della relazione merce-denaro. I sostenitori di un’interpretazione mitodologica o storicistica cercherebbero invano qui termini il cui senso si riferisca ad atti intenzionali, a disposizioni economiche oppure ai contenuti, che stanno alla loro base, della coscienza o dell’inconscio di individui agenti l’uno insieme all’altro o l’uno contro l’altro”[60].
Nello stesso tempo, l’analisi marxiana mostra le condizioni di possibilità delle strutture sovraindividuali del valore e del denaro e le comprende nel loro specifico processo genetico, nel loro farsi oggettivo.
L’incapacità di mettere a tema la struttura oggettiva del valore quale processo sovraindividuale è proprio dovuta ad una mancata comprensione della forma. Sia nella teoria marxista che nella teoria soggettiva del valore si determina uno iato tra l’analisi compiuta dal teorico, che riduce la differenza qualitativa delle merci ad una sostanza comune (sia essa il lavoro o l’utilità soggettiva), e quella dimensione economica oggettiva nella quale le merci sono già commensurabili in quanto hanno un prezzo, in quanto rappresentano porzioni ideali dell’equivalente universale. L’analisi della forma di valore permette di analizzare la scissione “fra la ‘sostanza’ soggettivamente interpretata e la ‘forma’ oggettivamente anticipata del valore”[61]. La scissione di cui parla Backhaus è quella che origina la presenza di due misure del valore, una interna e una esterna, quella in valore e quella in prezzo, è quella stessa scissione che induce svariati economisti a metter da parte la teoria del valore come presupposto metafisico o prescientifico dell’analisi della realtà economica.
Per comprendere questa tematica è significativo il dialogo che Backhaus intraprende con Gottl-Ottlilienfeld e con il concetto di “dimensione economica”. L’economista austriaco, avversario della teoria del valore in genere, afferma l’esistenza di una regione ontologica, quella economica, nella quale agli oggetti è inerente un numero caratteristico oggettivo che “ha il senso di una grandezza valida”[62]. In sostanza “quando noi parliamo di merce o di bene vendibile, siamo costretti a pensarvi insieme l’assurdo stato di cose che alle cose sensibili ‘inerisca’ per così dire una qualità ‘sovrasensibile’, di modo che risulti giustificato parlare di una ‘dimensione economica’ ed equipararla alle ‘dimensioni’ naturali della lunghezza, del peso, della temperatura ecc.”[63]. Si tratta di sviluppare un procedimento teorico che sia in grado di pensare l’autonomizzarsi di una dimensione sociale, quella della forma di valore, rispetto agli individui che compongono questa socialità. Si tratta di sviluppare un’analisi che sia in grado di comprendere la forma di valore, o la dimensione economica, come struttura sovraindividuale e nello stesso tempo costituita dagli atti dei singoli individui. Come afferma Gottl-Ottlilienfeld si è costretti a pensare un capovolgimento nel quale “qualcosa di personale diventi qualcosa di impersonale”[64].
Per Backhaus la possibilità di pensare una struttura siffatta risiede nella contraddizione presente nella categoria iniziale della sistematica marxiana. La merce, intesa quale sinolo di valore d’uso e valore, rimanda alla contraddizione tra il lavoro privato e concreto, da un lato, e il lavoro sociale e astratto, dall’altro. Mentre il primo lato di queste coppie opposizionali rinvia ad un qualcosa di individuale, a qualcosa che è presente nella considerazione cosciente del produttore, il secondo lato rinvia a qualcosa di sovraindividuale, che si attua nella circolazione e che si impone oggettivamente agli agenti economici come media che agisce dopo e indipendentemente dalla erogazione privata dei lavori. L’opposizione tra valore d’uso e valore che caratterizza la merce è quindi l’opposizione tra il processo di erogazione privata del lavoro e la sanzione sociale di esso, è l’opposizione, potremmo dire con il lessico di Adorno tra il particolare e l’universale.
Tale opposizione, per Backhaus, è ancora un’opposizione “per noi”, un’opposizione analitica. Ciò che la merce esprime a noi quali teorici, la merce deve dimostrarlo nella realtà, attraverso il processo di costituzione di una dimensione economica, nella quale gli oggetti economici appaiano oggettivamente dotati di quella qualità sovrasensibile che è il valore. Il processo attraverso il quale la contraddizione immediata si determina quale contraddizione posta è quello sdoppiamento della merce in merce e denaro che da un lato permette la sanzione attraverso lo scambio del lavoro sociale erogato nella produzione delle merci particolari, dall’altro determina quella dimensione economica oggettiva nella quale le merci si concepiscono immediatamente commensurabili in quanto quantità ideali di denaro. In questo modo, quella dimensione economica sovraindividuale, nella quale gli oggetti assumono “qualità sovrasensibili”, è ricondotta al suo fondamento materiale.
È proprio questa scissione tra la dimensione individuale dello scambio e la dimensione sovraindividuale del processo di validazione sociale che sorregge il concetto feticismo: l’erogazione del lavoro sociale avviene per mezzo di lavori autonomi ed indipendenti che non hanno una coordinazione anteriore rispetto a quella che si attua attraverso lo scambio tra cose, merce e denaro. Il denaro è quindi il mezzo attraverso il quale si determina la connessione sociale dei lavori privati, esso costituisce la società, indipendentemente dalla consapevolezza dei singoli agenti. La connessione sociale si determina quindi attraverso uno scambio tra cose.
L’analisi marxiana del feticismo ci permette di comprendere quanto richiesto da Adorno: non solo la “genesi sociale” dell’ autonomizzazione, ma la spiegazione dell’“oblio” di questa genesi: si tratta di comprendere con precisione la natura del movimento riflessivo del valore, della sua manifestazione e del suo porsi quale apparenza oggettiva. È questo il carattere enigmatico del prodotto del lavoro nel modo di produzione capitalistico: “l’eguaglianza dei lavori riceve la forma cosale dell’uguale oggettualità di valore dei prodotti del lavoro; la misura del dispendio della forza-lavoro umana attraverso la sua durata temporale riceve la forma della grandezza di valore dei prodotti del lavoro; infine i rapporti dei produttori, in cui si attuano tutte le determinazioni sociali dei loro lavori, ricevono la forma di un rapporto sociale dei prodotti del lavoro”[65].
Lo scambio di cose che si determina sul mercato fa apparire i caratteri specifici della produzione capitalistica, la forma cioè in cui essa è articolata, un carattere oggettuale dei prodotti del lavoro, una “proprietà sociale di natura di queste cose”. È chiaro quindi che la parvenza oggettiva che si dà sul mercato delle merci è quella di un rapporto naturale che si determina tra le cose. In sostanza: una forma specifica di organizzazione sociale della produzione si realizza attraverso lo scambio privato di oggetti sul mercato.
In questa parvenza oggettiva risiede “l’oblio della genesi”: se lo scambio fa apparire che, la forma specifica in cui si attua la riproduzione sociale complessiva è determinata dalle cose stesse che si scambiano sul mercato, allora è chiaro che quella forma specifica appare agli agenti sociali come assoluta ed eterna, proprio perché è determinata dalla “natura” delle cose: la genesi sparisce nel proprio risultato.
6. L’analisi della forma di valore si dimostra capace di assolvere il compito che Adorno assegnava alla teoria critica: comprendere il processo di autonomizzazione della società, mostrare la genesi del dominio dell’oggettività sociale, svolgere cioè – nei termini di Marx – “come la legge del valore si impone”. La struttura produttiva che è condizione dell’apparire del valore è determinata dalla messa sul mercato di merci prodotte per mezzo di lavori privati autonomi e indipendenti che assumono la forma di denaro, quindi la loro forma sociale, solo ex-post. Il processo di socializzazione dei lavori si attua indipendentemente dal processo di erogazione e per mezzo di un sistema di scambi privati che dà origine a una forma di moto autonoma della società. Il ricambio organico sociale e i rapporti sociali si determinano attraverso uno scambio di cose che fa apparire eterno e immutabile ciò che invece è un portato della forma specifica del produrre. L’“anamnesi della genesi”, di cui Adorno parlava con Sohn-Rethel, trova il proprio chiarimento nella critica dell’economia politica.
[1] L’articolo in parte riprende e sviluppa alcuni temi presenti nel mio precedente Teoria del valore e ricostruzione dialettica. H.G. Backhaus e la critica dell’economia politica, in H.G. Backhaus, Dialettica della forma di valore, a cura di R. Bellofiore e T. Redolfi Riva, Roma, Editori Riuniti, 2009.
[2] T. W. Adorno, Dialettica negativa, Torino, Einaudi, 1970, p. 320.
[3] Ivi, p. 272.
[4] Ivi, p. 273.
[5] Ivi, p. 319.
[6] T. W. Adorno, Introduzione, in AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, Torino, Einaudi, 1972, p. 22.
[7] Ivi, p. 21.
[8] T. W. Adorno, Società, in AA. VV., La Scuola di Francoforte. La storia e i testi, Torino, Einaudi, 2005, p. 316.
[9] T. W. Adorno, Introduzione, cit., p. 25.
[10] T.W. Adorno, Sulla logica delle scienze sociali, in AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, cit., p. 126.
[11] Ibid.
[12] Ibid.
[13] Ibid.
[14] T. W. Adorno, Sociologia e Ricerca empirica, in AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, cit., p. 89.
[15] Ibid.
[16] Ivi, p. 90.
[17] T. W. Adorno, Società, cit., p. 319.
[18] Ibid.
[19] Ibid.
[20] T.W. Adorno, Introduzione, cit., p. 23.
[21] H. Albert, Il mito della ragione totale, in AA. VV., Dialettica e positivismo in sociologia, cit., p. 202, n.1
[22] T. W. Adorno, Einleitung in die Soziologie, Frankfurt a. M., Suhrkamp, p. 57.
[23] T. W. Adorno, Sociologia e ricerca empirica, cit., p. 96.
[24] T. W. Adorno, Società, cit. p. 321.
[25] T. W. Adorno, Sociologia e ricerca empirica, cit., p. 96.
[26] H.G. Backhaus, Anhang. Theodor W. Adorno über Marx und die Grundbegriffe der soziologischen Theorie.
Aus einer Seminarmitschrift im Sommersemester, 1962, in Id., Dialektik der Wertform, Freiburg, ça ira, p. 507.
[27] Ibid.
[28] Ibid.
[29] T. W. Adorno, Einleitung in die Soziologie, cit., p. 58.
[30] K. Marx, Il Capitale, MEOC, XXXI, a cura di Roberto Fineschi, Napoli, Città del Sole, p. 85.
[31] H.G. Backhaus, Anhang, cit., p. 507.
[32] Ivi, p. 508.
[33] Ibid.
[34] Notizien von einem Gespräch zwischen Th. W. Adorno und A. Sohn-Rethel am 16. 4. 1965, in A. Sohn-Rethel, Geistige und körperliche Arbeit. Zur Epistemologie der abendländischen Geschichte, Weinheim, VCH, 1989, p. 223.
[35] Ivi, p. 226.
[36] H. Reichelt, Neue Marx Lektüre. Zur Kritik sozialwissenschaftlicher Logik, Hamburg, VSA, 2008, p. 30
[37] H. Reichelt, Marx’s Critique of Economic Categories: Reflections on the Problem of Validity in the Dialectical Method of Presentation in Capital, in «Historical Materialism», 15, 2007, pp. 6-7.
[38] Per una contestualizzazione della Neue Marx-Lektüre e dell’opera di Backhaus, che qui sono presupposti, cfr. R. Fineschi, MEGA2: dalla filologia alla interpretazione critica. Un resoconto sul dibattito tedesco sulla teoria del valore negli anni ’70-’80, in A. Mazzone, (a cura di), Mega2: Marx ritrovato, Roma, Mediaprint, 2002; H. Reichelt, Neue Marx-Lektüre, cit.; I. Elbe, Marx im Westen. Die neue Marx-Lektüre in der Bundesrepublik seit 1965, Hamburg, Akademie Verlag, 2008; F. Engster, J. Hoff, La recente lettura di Marx nei paesi di lingua tedesca, in R. Fineschi, T. Redolfi Riva, G. Sgro’, Marx 2013, “Il Ponte”, 5-6, 2013.
[39] F. Engels, Considerazioni supplementari, in K. Marx, Il Capitale, Libro Terzo, Roma, Editori Riuniti, 1994, p. 39.
[40] Ibid.
[41] W.F. Haug, Vorlesungen zur Einführung ins “Kapital”, Köln, 1974.
[42] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di valore…, cit., p. 247.
[43] Ivi, p. 221.
[44] Ivi, p. 123.
[45] Marx a Lassalle, 22. 2. 1858, in K. Marx, Lettere sul Capitale, Roma-Bari, Laterza, 1971, p. 20.
[46] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di valore, cit., p. 226.
[47] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p. 59.
[48] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di valore, cit., p. 393.
[49] Ivi, p. 394.
[50] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p. 99.
[51] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di valore, cit., p. 403.
[52] F. Engels, Recensione, in K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, pp. 208-209.
[53] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p. 92.
[54] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di valore, cit., p. 365.
[55] Marx a Kugelmann, 11. 7. 1868, in K. Marx, Lettere sul Capitale, cit., p. 119-120.
[56] Ibid.
[57] Ibid.
[58] K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Firenze, La Nuova Italia, 1997, vol. I, p. 34.
[59] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p. 87.
[60] H. G. Backhaus, Dialettica della forma di valore, cit., p. 381.
[61] Ivi, p. 506.
[62] Ivi, p. 495.
[63] Ibid.
[64] Ibid.
[65] K. Marx, Il Capitale, Libro primo, cit., p. 83.