La libertà di Marx. O una ‘lossodromia’ retorica sulle Tesi su Feuerbach

Philippe-Joseph Salazar

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schifano_fibre_otticheABSTRACT Reading Marx’s Theses is a challenge for philosophers of rhetoric, and Marxists. The Theses pose a series of questions: what is the status of a philosophical manuscript? What is a philosophical “summary”? What is the relation between the private freedom of philosophizing and the manufacturing of a canon for public use? How does an editor intervene in a text of/for philosophy and enables its projection and distortion? Who are the readers of such a philosophical construction? What happens to an argument regarding the foundation of a philosophy when the text in question is read as foundation? Once these questions are addressed a larger issue comes to the foreground: should not the questions of both the uses of dialectics and of “materialism” be tested against the problematic nature of the text, and should not its political argument regarding “freedom” be tested against the enacting of “freedom” (its “clinamen”) the Theses, as manufactured and fractured by its own material production, place on the stage of philosophy?

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“La bouteille à la mer” : Tesi XI 1 Le Thesen über Feuerbach sono un gesto filosofico di straordinaria libertà2: annotazioni improvvisate, lasciate “così come sono” – già destinate a possedere il prestigio di una Scrittura 3 o di un codice con cui dischiudere il marxismo ed affrontare la questione della libertà. Il mio approccio alle Thesen è quanto, altrove, ho chiamato una “lossodromia” (rhumb)4: nel linguaggio nautico la linea lossodromica (rhumb-line) non è la linea di volo più diretta ma, seguendo la curvatura della terra con angolatura costante, è quella più interessante perché consente una maggiore durata di volo e pertanto la possibilità di fare maggiori scoperte. Volare non dovrebbe mai avere a che vedere con il fatto di raggiungere un luogo rapidamente: voli per toccare i cieli o rischi lo stallo, e ritrovare poi un equilibrio, non per attraversare i cieli come se essi non importassero, come se l’esteriorità dell’aria fosse immateriale e dovesse essere abolita nella matematica interiorità delle letture di navigazione. Seguiamo la curvatura della retorica di Marx e, sulla linea lossodromica delle Thesen, cerchiamo di comprendere la libertà di Marx. §1. Chi o cosa sono gli autori? Le Thesen sono rimaste nella loro forma originale di manoscritto per quarant’anni e la loro prima pubblicazione (1888) fu la risultante di un’interferenza autoriale. O, ad esser precisi, la risultante delle interferenze di Engels nella “trasmissione” (broadcast 5) di Marx agli intellettuali tedeschi. Utilizzo di proposito il termine “trasmissione”: Engels disturba (jams6) il testo di Marx apportando alcune correzioni. In francese la parola per indicare intenzionali interferenze radio, che traduce l’inglese jamming, è brouillage; questa parola, a sua volta, richiama un’altra parola, brouillon, che significa “bozza” (draft). Effettivamente, quando le Thesen furono pubblicate da Engels nel 1888, esse apparivano, in seguito a questa interferenza, come una rapido abbozzo o un brouillon: «Sono appunti per un lavoro ulteriore, buttati giù in fretta, non destinati in nessun modo alla pubblicazione, ma d’un valore inestimabile come il primo documento in cui è deposto il germe geniale della nuova concezione del mondo»7. Ad ogni modo le interferenze di Engels sono duplici: esse, in francese, brouillent, ossia disturbano (jam) la bozza, il brouillon, e al tempo stesso cambiano lo status delle Thesen, da un geniale brouillon ad un chiaro progetto Scritturale per Die deutsche Ideologie 8 e per lo stesso marxismo. Vale a dire: «le Tesi su Feuerbach furono scritte in connessione con il progetto de L’ideologia tedesca e rappresentano il primo abbozzo di numerose idee generali per il primo capitolo di questo lavoro. Quasi tutte le principali proposizioni delle Tesi furono in seguito sviluppate ne L’ideologia tedesca»9. Le maggiori interferenze si trovano nelle Tesi I e III10: I, Marx: « Der Hauptmangel alles bisherigen Materialismus … ist, daß der Gegenstand, die Wirklichkeit, Sinnlichkeit … gefaßt wird nicht … als sinnlich menschliche Tätigkeit, Praxis; nicht subjektiv. Daher die tätige Seite abstrakt im Gegensatz zu dem Materialismus vom dem Idealismus ‐ der natürlich die wirkliche, sinnliche Tätigkeit als solche nicht kennt ‐ entwickelt». I, Engels: «Der Hauptmangel alles bisherigen Materialismus … ist, daß der Gegenstand, die Wirklichkeit, Sinnlichkeit …, gefaßt wird nicht … als menschliche sinnliche Tätigkeit, Praxis, nicht subjektiv. Dahergeschah es, daß die tätige Seite, im Gegensatz zum Materialismus, vom Idealismus entwickelt wurde ‐ aber nur abstrakt, da der Idealismus natürlich die wirkliche, sinnliche Tätigkeit als solche nicht kennt». III, Marx: «Das Zusammenfallen des Ändern(s) der Umstände und der menschlichen Tätigkeit oder Selbstveränderung kann nur als revolutionäre Praxis gefaßt und rationell verstanden warden». III, Engels: «Das Zusammenfallen des Änderns der Umstände und der menschlichen Tätigkeit oder Selbstveränderung kann nur als umwälzende Praxis gefaßt und rationell verstanden werden». Oltre all’uso delle virgolette che Engels fa per ri/de-qualificare “bürgerlich” (borghese) (Tesi IX e X), e la purezza della sua sintassi (fine dell’estratto I), la sua azione di disturbo (jamming) si concentra in due interferenze chiave (cfr. i passaggi sottolineati negli estratti di cui sopra). In primo luogo, nella Tesi I (nell’originale di Marx) la parola Tätigkeit (attività) è qualificata prima come “umana” e poi l’intera frase “menschliche Tätigkeit” (attività umana) è ri-qualificata come “sensibile”. Ma nella versione di Engels la prima qualificazione di Tätigkeit è “sensibile” e solo in seguito l’intera frase “sinnliche Tätigkeit” (attività sensibile) è qualificata come “umana”. Nella prima versione, dalla penna libera di Marx, l’“umano” è preminente. Nella versione disturbata (jammed), quella di Engels, il “sensibile” viene prima. In secondo luogo, nella Tesi III, c’è una straordinaria interferenza: Engels cancella “Selbstveränderung” (autotrasformazione) e così facendo sostituisce il colloquiale “umwälzende” (rivoluzionario) al moderno “revolutionäre” per qualificare la praxis – in breve il “Selbstveränderung” è estromesso dalla praxis mentre la praxis perde in immediatezza rivoluzionaria ciò che guadagna nel risuonare linguisticamente tedesco. L’effetto di queste interferenze è il seguente: Engels rimuove due volte l’elemento umano dalla parola Tätigkeit (attività), prima di tutto disturbando (jamming) la Tesi I (quando la determinazione di “umano” è sussunta a quella di “sensibile”), poi disturbando la Tesi III (quando l’autotrasformazione umana è semplicemente rimossa in modo tale che l’attività (Tätigkeit) non sia contaminata da qualcosa di “troppo umano”). Questo consente ad Engels di sbarazzarsi dell’umano-diretto, lirico ed emozionale epiteto di “rivoluzionario” per ritornare all’oggettivato “umwälzende”. Perché accade questo? I disturbi testuali e le correzioni possono anche essere chiamati repentirs (pentimenti): la parola francese repentir11 indica una correzione fatta da un disegnatore o da un pittore mentre il disegno o il dipinto sono nel loro processo di produzione (e non quando sono già terminati). In questo caso Engels si comporta come se le Thesen nel loro abbozzo manoscritto siano una praxis in corso e non un prodotto terminato, quindi ancora soggette a repentirs. I suoi propri, infatti. È possibile così temperare le critiche implicite nelle osservazioni precedenti considerando che Engels ha trattato le Thesen come una praxis filosofica in corso, quindi incompiuta e ancora troppo profondamente egotistica ed immersa nell’umana Selbstveränderung. O, in altre parole, possiamo senza dubbio affermare che la praxis umana dell’autotrasformazione, ancora troppo libera e troppo umana, sia stata messa a tacere, e la penna libera di Marx trattenuta ed addomesticata, in breve censurata, per evitare qualsivoglia accusa o accenno di idealismo – lo Stalinismo è già all’opera in queste interferenze apparentemente innocue. §2. Qual è il punto di partenza retorico delle Thesen? Scritte nel 1845, e pubblicate nel 1888, le Thesen sono apparse in un primo momento in appendice al libro di Engels su Feuerbach. Passano, poi, all’inizio del libro nella versione inglese dei Collected Works12. Nei Werke fanno entrambe le cose: la versione di Marx è un prologo alla Deutsche Ideologie13, mentre quella di Engels appare come un epilogo 14. Prologo o epilogo? Le Thesen inaugurano o riassumono? In una celebre intervista televisiva (1969) vediamo e sentiamo Heidegger leggere le Thesen come se fossero una possibile prefazione probabilmente dall’edizione dei Werke 15. La lettura di Heidegger è un frammento cinematografico: dapprima egli ci annuncia che leggerà a voce alta la Tesi XI di Marx; la cinepresa zooma fortemente all’indietro – cosa che si perde nella versione stampata16; poi, da uno scaffale laterale della libreria, egli afferra il libro già aperto, legge lentamente dalle prime pagine, chiude con cura il libro e lo ripone con solenne disdegno. La cinepresa inquadra Heidegger che sta per consegnarci la sua grande scène: «All right, Leni, I’m ready for my close-read», ovvero Martin Heidegger come Norma Desmond nell’ultima scena di Sunset Boulevard17: «All right, Mr DeMille I am ready for my close-up»18. Che cos’è una close-read? È questo: Heidegger crea il nome composto “Weltveränderung” (cambiamento del mondo) per opporlo al suo “Weltvorstellung” (rappresentazione del mondo) che agisce come un determinativo del suo “Änderung” (cambiamento)19; in questa maniera priva il potente verbo marxiano “verändern” (cambiare) del suo prefisso performativo (ver‐) che indica che l’azione, cui la radice della parola si riferisce, è pienamente compiuta. Änderung non è verändern: è qualcosa di meno, o qualcos’altro, o qualcosa che “segue” come indica la possibile traduzione di Änderung come l’aristotelico μεταϐολὴ (μετα ossia dopo, oltre, ciò che è al di là o che segue). Marx non parla di un “cambiamento che segue”, ma di un cambiamento radicale (ver‐). O, per utilizzare l’analogo cinematografico: in un verändernrivoluzionario il film non ha un seguito: il ver‐ sarebbe pienamente compiuto. Laddove un Änderung sarebbe invece seguito da un altro, e da un altro ancora. Riassumendo, leggere le Thesen come una prefazione consente ad Heidegger di dis-fare (de-face) il testo fingendo di prenderlo per oro colato, e di trasformarlo in assurdità. Heidegger “intende” così chiaramente il significato della Tesi XI da essere in grado di provocare in noi la sordità (surdity) – egli cerca di assordare il significato di verändern, e di renderci, quindi, sordi ad esso – in breve: di metterci in uno stato di “as-surdità” (ab-surdity)20. Ci sono rischi e pericoli in una prefazione, o in un prologo. Ma perché è retoricamente pericolosa e che possibilità apre? Tutto questo ha a che vedere con ciò che un prologo o una prefazione filosofica compie. Al principio della Retorica, Aristotele determina il suo proprio verändern della retorica – ossia come egli debba andare al di là (ver-) del semplice uso strumentale che la retorica fa della politica e come possa mettere in moto un cambiamento radicale: egli determina il suo verändern come ὁδοποίησις 21. Poiché ὁδός indica una maniera di condurre ad un punto determinato22, le Thesen perseguono due scopi: da un lato indicano la via verso il cambiamento radicale, una praxische “verändert” (muta); dall’altro lato, come menzionato nella Retorica 1414b 21, ὁδοποίησις determina come l’introduzione di un discorso, il prologo di un poema ed il preludio di un brano musicale aprano la via (ὁδός) all’intera opera e ne dirigano l’andamento secondo le regole di un dato genere (oratorio, poetico, musicale), al fine di arrivare ad un punto determinato (la produzione dell’effetto desiderato sul pubblico). Come un commentatore spiega: «tutti questi sono cominciamenti (beginnings), è come se fossero, per ciò che segue, la pavimentazione di una via (preparazione pionieristica della strada) 23. Ciò che segue è la “determinazione”, ossia: la produzione di un terminus attraverso movimenti direzionali e finalistici. Riassumendo: se le Thesen sono un prologo, su che tipo di azione aprono, che direzione determinano, e qual è il loro terminus? Per il momento lasciamo questa domanda in sospeso e volgiamoci verso l’altra possibilità. Effettivamente se le Thesen fossero un epilogo alla Deutsche Ideologie, allora esse avrebbero una funzione differente. Non concluderebbero il libro semplicemente riassumendolo (se le si considerano come un sommario bisogna allora rispondere a due domande: la Deutsche Ideologi necessita di un “sommario”? Che cos’è un sommario filosofico?). Rappresenterebbero piuttosto un’apertura sul “marxismo”; vale a dire getterebbero un ponte tra il lavoro fondativo di Marx ed Engels e la praxis del verändern. In termini retorici cos’è dunque un epilogo? Prendiamo un esempio tratto dal Sud Africa. Quando nel 1993 il Sud Africa è passato da un’oligarchia razziale ad una democrazia a suffragio universale, momento saliente della liberazione politica nel XX secolo (sebbene, dal mio punto di vista, il più machiavellico), è stato scritto un breve testo come epilogo alla Costituzione provvisoria, chiamato il “ponte”24. Solitamente nella scrittura costituzionale la prefazione, o la dichiarazione preliminare, è di primaria importanza ed agisce come se la legge fondamentale fosse una deduzione dalle premesse formulate nella, spesso lirica, dichiarazione d’apertura. Nel caso del Sud Africa, il gesto retorico è stato lasciato alla fine: l’Epilogo alla Costituzione del 1993 non è né una perorazione magniloquente né una ricapitolazione forense, ma si mostra come un testo efficace, trasformativo e performativo, un verändern. L’Epilogo al tempo stesso creava i termini su cui si basava la riconciliazione razziale, definiva lo scopo della nuova società e fissava la sua base etica nel momento stesso in cui normava i tre bracci del governo – in breve assicurava l’unicità performativa del Sud Africa fungendo da ponte tra (“bridging over”) le procedure costituzionali25. Le ha “supplementate” (“supplemented”) con la volontà di produrre l’effetto desiderato: un verändern verso la democrazia attraverso la riconciliazione. A partire da questo esempio possiamo capire come un epilogo sia più di un discorso esteriore, un’aggiunta (epi-). È un “supplemento” che intende produrre un effetto che altrimenti non potrebbe essere prodotto da quanto lo precede. In altri termini: le Thesen intese come epilogo sono questo supplemento che fornisce di un effetto la Deutsche Ideologie e il marxismo. Come? Attraverso la correlazione tra epilogo ed epideixis. Nella retorica l’epideixis ha a che vedere solo ed esclusivamente con l’effetto26, ovvero: prima di tutto «di far sì che l’essere non sia nient’altro che un effetto del dire», ed in secondo luogo che tale «logologia» influisca sul mondo fino al punto del verändern27. La relazione tra la Deutsche Ideologie e le Thesen sarebbe dunque simile, in questo caso, a quella tra un testo inerte ed un discorso attivo, o tra un’“interpretazione” ed una praxis in azione. Prologo o epilogo? Apertura della via o oltrepassamento? Dove si situa la libertà di Marx? Nella ripetizione del gesto aristotelico del ὁδοποίησις o nell’affidamento all’effetto diretto dell’epideixis? Domande irrisolvibili a meno che non si esegua la prossima virata sulla linea lossodromica, passando a considerare i destinatari delle Thesen. §3. Il manoscritto della Tesi XI (in epigrafe al presente saggio) mi fa pensare ad un messaggio arrotolato all’interno di una bottiglia, gettato in mare da un naufrago (i francesi dicono “la bouteille à la mer”), nella speranza che da qualche parte, qualcuno, in un qualche momento, lo trovi, lo legga e giunga in soccorso – questo lettore sconosciuto è esattamente il pubblico delle Thesen. Ma a chi si rivolgono le Thesen? I loro interlocutori sono plausibilmente Feuerbach e i Giovani Hegeliani. Ma noi non siamo loro. Noi arriviamo, sulla linea temporale, dopo almeno due rivoluzioni marxiste-leniniste e dopo almeno due seri tentativi di realizzare ciò per cui le Thesen erano state concepite, attraverso quegli interlocutori primari, e due fallimenti: un verändern e una “revolutionäre Praxis”. Le Thesen facevano appello, in passato, a quelli che, nel futuro, avrebbero dovuto attuare una pratica materialistica di trasformazione del mondo. Essi stessi sarebbero stati i prodotti della loro lettura delle Thesen: sarebbero stati per-formati o trasformati (ver‐ändert) dal testo stesso. Le Thesen intendono mutare il proprio pubblico28. Mentre gli intrecci e i riferimenti a dibattiti, eventi e individui del 1845 appartenenti ad uno specifico milieu intellettuale sono scomparsi, o sono argomenti per storici delle idee tedeschi, ciò che rimane dei destinatari del messaggio marxiano siamo noi. Riassumendo, un cambiamento o uno scambio (una connotazione del verändern) ha luogo per il fatto che prendiamo il posto di coloro che erano i destinatari iniziali, li rimpiazziamo, e facendo questo attuiamo la nuova praxis della filosofia. Abbiamo completato un Aufhebung o, giocando con il linguaggio derridiano, abbiamo performato un relève – una sintesi dialettica: in primo luogo abbiamo “innalzato” (lever in francese) le Thesen alla loro volontà-per la “parte”, alla Diesseitigkeit 29; in secondo luogo abbiamo fatto “il cambio della guardia” della filosofia (relever la garde, in francese) ponendo la corretta “praktische Frage” (“domanda pratica”) (Tesi II; cfr. sotto, §5); in ultimo manteniamo, le Thesen come praxis. In quest’ottica le Thesen non sono un prologo e tantomeno un epilogo: sono una praxisattiva attraverso la quale il gesto libero di Marx, lo scarabocchiare della scrittura, lo scorrere libero del calamo sulla carta è, in senso stretto, una volontà di produrre un “effetto” di Aufhebung o relève. In altre parole, citando Badiou su Althusser: «l’intervento filosofico che era rappresentazione e mediazione tra le scienze e la politica, diviene esso stesso una forma di politica»30. Questo, a sua volta, fa sorgere un ulteriore interrogativo. §4. A quale genere di “intervento” retorico-filosofico appartengono le Thesen? “Scrivere filosofia”, direbbe Badiou, è una bizzarra attività o un bizzarro intervento. I filosofi dialogano direttamente l’uno con l’altro, ignorando variabili temporali, spaziali, psicologiche, sociali e naturalmente “sessuali”. Spesso affermano che orrori politici e catastrofi economiche o politiche autodistruttive non hanno nulla a che vedere con le loro “idee”, di cui si è fatto un “uso improprio” (“misused”) (ma che cos’è, poi, l’“uso” di un’idea?). Essi sono, per dirla in generale, esperti nell’auto-assoluzione, a meno che non siano Scettici che praticano il “libertinaggio delle idee” fino al punto dell’autoesaurimento – la libertà melanconica della pagana libido sciendi31. Da qui deriva spesso il loro trascurare la storia delle idee, il loro disprezzo per la filosofia politica, la loro irritazione nei confronti della teoria critica, i loro sorrisi indulgenti verso la sociologia e la psicologia e, in una forma estrema di auto-abrogazione, la volontà di alcuni di essi di ridurre o sublimare la “scrittura filosofica” al logicismo32. In breve, essi sostengono che la piena libertà, intesa come l’autonomia rispetto tutto ciò che, provenendo dal Diesseitigkeit, potrebbe contaminare le “idee” e ciò che tautologicamente definiscono “filosofia”. Nello stesso tempo tuttavia la “scrittura filosofica” è un’attività retorica che interviene in una catena di interventi. In un certo senso la “scrittura filosofica” è un’arte della memoria. E le Thesen non fanno eccezione. Le Thesen, ad esempio, posseggono la medesima tonalità di quanto Rousseau sostiene in Du contract social – basti comparare il passaggio «L’uomo è nato libero, e ovunque è in catene. C’è chi si crede padrone di altri, ma è più schiavo di loro»33 con: «Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature»34. Toni, stili, parole analoghe, i due testi offrono un caso interessante di volontà-di riconoscimento poetico35. Un’ulteriore reminescenza: le Thesen fanno eco al grandioso gesto stilistico delle Réponses aux objections alle Méditations métaphysiques di Descartes36, pur adottando il linguaggio terso delle Méditations matérialistes la cui praxis richiede loro di essere laconiche per timore di apparire hegeliane o idealiste. Un’altra ancora: esse sono al tempo stesso un’invettiva, una satira e un appello, in breve un’eloquente dichiarazione rivolta agli intellettuali tedeschi – non diversamente dalle Novantacinque Tesi di Lutero37. Effettivamente la Deutsche Ideologie fa largamente uso di luoghi comuni e immagini religiose contro i “verschiedenen Propheten” (i “molti profeti”) del socialismo; e Marx deve essersi divertito a parodiare la brutalità di Lutero imitando il suo stile vituperante. E i lettori tedeschi hanno riconosciuto questo stile. Ma entrambe le Tesi, quelle di Lutero e quelle di Marx, invocano radicalmente una “riforma”: laddove Lutero intende riformare la pratica della fede attraverso la sua secolarizzazione, Marx intende secolarizzare o “materializzare” una pratica, quella della filosofia, con un analogo effetto di “liberazione”. Tutto questo, infine, attraversando la linea lossodromica: le Thesen con il loro declamatorio “Ad38 appartengono ad un piccolo gruppo di discorsi filosofici, scritti semplicemente per essere preservati come “voce vivente” (come dice Engels «non destinati in nessun modo alla pubblicazione»39). Questi discorsi/testi sono, per tale ragione, sia marginali che centrali. A questo misterioso genere appartiene il folgorante Mémorial di Pascal40. Faccio riferimento a questo esempio perché all’interno della filosofia francese la posizione del Mémorial è sia marginale che centrale rispetto ai Pensées, nella stessa maniera in cui le Thesen sono marginali e centrali alla Deutsche Ideologie – e in questa aggiunta sia i Pensées che la Deutsche Ideologie furono lasciati in una forma disordinata, frammentaria e inedita, pur assumendo un formidabile, strategico impatto pubblico una volta ricostruiti e canonizzati dagli editori. Per un verso abbiamo un testo pensato per uso pubblico, per quanto inadeguato e informe per quel che riguarda la sua struttura (i Pensées e la Deutsche Ideologie) e lasciato alla volontà di editori e discepoli per quel che riguarda il compito di formalizzarlo e canonizzarlo nelle Grandi Letture del Cattolicesimo o del Marxismo. Per un altro verso, abbiamo un discorso/testo privato (il Mémorial e le Thesen) che implica, una volta scoperto41, un’imperiosa pubblica summa della praxis filosofica che aiuta il pubblico a meglio comprendere la principale opera pubblica (i Pensées e la Deutsche Ideologie), priva di forma ma ri-formata. L’intento e l’essere privo di forma dell’argomento principale sono resi espliciti dalla dichiarazione privata; e questa privatezza, essendo un logos endiathetos (λόγος ένδιάθετος)42, rappresenta una conversazione interiore della mente con sé stessa, e la pura libertà del pensare in solitaria e con la propria voce. Detto in altri termini e secondo il linguaggio heideggeriano, queste dichiarazioni di libertà sono affermazioni “apofantiche” che sono né vere né false, semplicemente “quelle”43. §5. Tutto dipende dalla questione della verità, della libertà e del mondo materiale. La verità, dicono le Thesen, non è una questione (“Frage”) teorica ma «eine praktische Frage» (una questione pratica) (II) che è definita onticamente come «sinnlich menschliche Tätigkeit, Praxis» (attività umana sensibile, Praxis) (I)44 e attraverso la quale essa ha un andamento (“perform”) fenomenologico: «nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero» (II)45. A sua volta il Diesseitigkeit (il carattere immanente) è definito attraverso la duplice esperienza del lavoro e della scarsità, le due condizioni rivoluzionarie della trasformazione umana, dalle quali germoglia la “liberazione”, o non germoglia affatto. Leggendo Marx, Sartre ridefinisce la praxis in relazione al mondo in cui viviamo, il nostro “lato delle cose”, il Diesseitigkeit appena menzionato46. Ecco come Sartre coglie la sfida e affronta la dichiarazione apofantica. Primo passo: «La praxis nata dal bisogno è una totalizzazione, il cui movimento verso il proprio fine trasforma praticamentequel che circonda in una totalità» (p. 210). L’individuo assimila la molteplicità del mondo nella sua propria interiorità in un processo di “totalizzazione”. Viene a crearsi un rapporto attraverso il quale l’individuo nega se stesso in un’esteriorità che, dialetticamente, si presenta come il futuro. In altre parole: confrontati con la diversità di eventi materiali vorremmo incorporare questa stocastica diversità in qualcosa che somigli ad una totalità confortante e comprensibile; quindi, aggiungo, vorremmo creare una totalità, un dasein che “faccia senso” – Begriff, da begreifen, o in latino com‐prehendere, prendere insieme. In questa maniera, nonostante abbiamo sostanzialmente abdicato a noi stessi, chiamiamo questo movimento “libertà” poiché crediamo di creare, nella nostra negazione, l’anticipazione di ciò che desideriamo divenire come se questo futuro non sia la somma totale di ciò che è già al di fuori di noi. Sartre compie poi, nel suo commentario, un ulteriore passo: il mondo esteriore, in tutto il suo fascino variopinto e la sua presenza incontrovertibile (dalle intemperie al tedio delle infermità, dalla neve in estate al tradimento di un amante), ora materia incorporata, subisce un “trattamento” – noi trattiamo con esso, e lo trattiamo come fosse una cassetta di attrezzi o utensili grazie ai quali ci proiettiamo (project) nel mondo. Fenomenologicamente, pro-gettiamo (pro-ject), gettiamo noi stessi fuori e in avanti: «Il progetto unifica il campo d’utensilità intorno a sé, per farne una totalità che serva da sfondo agli oggetti particolari» (p.212). Questo pro-getto (pro‐jection) somiglia al modo in cui vengono curate le malattie virali, ossia utilizzando il virus come vaccino, alla maniera del pharmakon47. Questo momento o movimento conduce ad un “conflitto” tra la totalità esteriore sempre-sfuggente che vediamo come la nostra propria totalizzazione e la dolorosa evidenza del fatto che noi siamo solo una “totalità parziale” alla ricerca di ciò che non è raggiungibile. Più progettiamo per integrare, più il mondo aggiunge elementi da integrare, e dunque indietreggia. La nostra libertà provoca un “conflitto” (afferma Sartre) tra il fatto che la “totalità” sia senza limiti per via della volontà di “com-prensione” – l’idea cartesiana che la volizione sia la facoltà dell’infinito – ed il fatto che essa sia “parziale” nella misura in cui l’“utensilità” – ovvero il mondo trasformato in attrezzi– porta con sé la sua evidente limitazione. Successivamente, commentando le Tesi I e II Sartre compie un passo crudele: «L’uomo che produce la sua vita nell’unità del campo materiale è condotto dalla praxis stessa a determinare settori, sistemi, oggetti privilegiati in questa totalità inerte; non può costruire i suoi utensili (…) senza introdurre determinazioni parziali nell’omogeneità di quel che lo circonda (si tratti della terra o di una stretta fascia costiera tra il mare e la foresta vergine); così egli s’oppone a se stesso tramite la mediazione dell’inerte» (p. 214). In altre parole: l’arte dell’uomo, o la sua abilità (in Latino ars equivale ad “abilità”) e gli utensili grazie ai quali egli interiorizza il mondo attraverso la praxis, lo respingono precisamente perché il mondo è iners (in latino senza ars), in attesa di ricevere una forma, e non è una totalità significativa. La nostra libertà incontra l’inerzia. L’arte dell’uomo crea così insoddisfacenti, parziali determinazioni proprio quando l’uomo vuole soddisfare, illimitatamente, la volontà di comprensione totale, erroneamente chiamata libertà. Il commentario di Sartre è particolarmente astuto. Facendo scontrare arti e utensili e opponendoli all’inerzia del mondo, facendo giocare ars contro iners, egli tacita, qui, il terzo termine della praxis nel quale entrambi i termini sono sussunti e che provocano un aufhebung: la Natura. La Natura è sia l’esteriorità che il desiderio di interiorizzarla, con la seguente conseguenza: la dispersione dell’esperienza («introdurre determinazioni parziali nell’omogeneità di quel che lo circonda»). Sartre può così concludere che «la dialettica è già presente nella forma elementare» (ossia, elemento dopo elemento, utensile dopo utensile) e «completa» (ossia che tutto riempie) «di una legge di sviluppo e d’uno schema d’intelligibilità» (p. 216). Grazie all’attenta lettura di Sartre comprendiamo che il lavoro, incluso il lavoro filosofico, è uno sforzo volto ad afferrare il mondo e trasformarlo in una totalità intelligibile in base al quale la materia inerte è soggetta all’artigianato ed “interpretata” (ossia compresa e valorizzata). Questo impulso, essendo dialettico, porta con sé i suoi propri limiti – la credenza che il lavoro sia monodimensionale ed un rapporto con la merce – laddove il lavoro, incluso il lavoro filosofico, necessita di essere pienamente “secolarizzato” e spogliato di qualsivoglia nozione religiosa, trascendentale e metafisica (inclusi etica, morale o doveri). Chiamo questa consapevolezza l’“imperativo pagano”. § 6. Ciò che appare in primo piano è la questione della privatezza apofantica, della libertà del filosofo, e dell’“imperativo pagano” che questi implicano48. Per poterlo valutare, affronterò, in conclusione di questa lossodromia, due argomentazioni, una di Antonio Negri e l’altra di Jean‐Claude Milner, che metterò faccia a faccia come in un “glas49. L’argomento sviluppato da Milner riguarda l’assenza di limiti del post-capitalismo – attingendo dall’illimitatezza dei giochi dei prodotti finanziari diretti alla produzione di un’illimitata ricchezza in un ambiente illimitatamente rischioso e, presumibilmente, d’illimitata jouissance per lo stesso giocare, perdere o vincere un’illimitata quantità di denaro, inclusa ovviamente l’illimitatezza delle auto-rappresentazioni digitali. Negri mette in discussione la validità degli usi trasformativi tradizionali della dialettica – rispetto alla crisi finanziaria che, secondo lui, ha provocato la perdita dell’“isomorfismo” tra lavoro e capitale, e la rovina dei loro automatici effetti speculari o della natura “omologica” della persuasione capitalistica e della critica operaia. Milner: «Ci sono delle parole che sono equivoche. Prendiamo ad esempio la parola “società”. Oggi siamo tutti persuasi della convinzione spontanea che non vi sia nulla che sia esterno al dispositivo sociale preso nel suo insieme. In altre parole, l’idea – che è stata particolarmente presente nel mondo antico, medioevale e classico – che ci si possa, se lo si vuole, ritirare dalla società, in una forma di solitudine; questa idea non ha più corso… Abbiamo anche la sensazione che chi abbia scelto di ritirarsi adotti, in realtà, un certo tipo di condotta sociale. Non c’è dunque più nulla che sia esterno alla società e d’improvviso la società è divenuta illimitata poiché non è più in grado di trovare dei limiti. Allo stesso modo un tempo si pensava, fino a tempi molto recenti, che si potesse, ad esempio, fare voto di povertà e porsi al di fuori dei rapporti di denaro, praticare il dono puro, il dono gratuito, fare l’elemosina. Ebbene oggi abbiamo invece la convinzione che chi faccia questo continui in realtà ad inscriversi nella forma-merce, in una maniera particolare che egli nega nella sua mente, ma che è percepita come tale»50. Negri: «Dobbiamo aggiungere che non vi è più alcuna omologial’assetto istituzionale e la configurazione del potere capitalistico, e i movimenti proletari o della moltitudine nel loro specifico potenziale. I filosofi(comunisti) che sostengono che non vi siano rotture sostanziali con le istituzioni nelle libere e spontanee dinamiche dei movimenti e che le gabbie economiche e politiche del potere capitalistico perdurano, sono in errore e si dimostrano miopi perché non comprendono che qualsivoglia isomorfismo tra potere e potentia, e tra ordine e resistenza non esiste più… C’è stato recentemente un tentativo di recuperare Hegel… per ricostruire una dialettica aperta a partire dal basso, strutturata in termini di interattività e intersoggettività che sia ancora in grado di configurare una teoria della giustizia normativamente e storicamente chiara. È, questa, una ripetizione, nell’infinito tentativo di recuperare la dialettica sia come metodo di ricerca che come forma espositiva. Ma la difficoltà risiede qui:… il comune non è costituito come rappresentazione ma come espressione, ed è qui che la dialettica termina» 51. Perché giustappongo questi due testi? Perché sulla mia linea lossodromica porteranno la mia argomentazione su Marx e la libertà al punto in cui, ad un angolo costante attraverso la curvatura delle Thesen, saremo in grado di soppesare il materialismo contro l’illimitatezza, e di concettualizzare il “ritiro” (fr. retrait) di Milner52 in rapporto alla critica di Negri del metodo meccanico imposto dai tradizionali “usi della dialettica” (per i quali siamo prigionieri sia dell’“omologia” dei discorsi che dalla riproduzione o “isomorfismo” degli utensili). L’assenza di limiti è un’illusione alimentata dalla spinta apparentemente inesauribile del capitale, una spinta la cui stessa premessa risiede nella persuasione retorica che vi sia un inesauribile desiderio generale di acquisire di più o, come ha osservato Roland Barthes a proposito delle riviste patinate lette da chi non potrà mai permettersi ciò che viene pubblicizzato, la virtualità del possesso illimitato. L’era digitale non ha cambiato le basi di questa tesi ma le ha rese più rilevanti: i suoi utensili hanno semplicemente accresciuto l’inganno in maniera esponenziale nella stessa maniera in cui l’invenzione della macchina da stampa fece crescere in maniera esponenziale la diffusione degli errori di scrittura53. “Yes, we can”, “il mondo è la tua ostrica”, “puoi avere tutto”, e l’isomorfo “social” network sono gli strumenti retorici dell’assenza di limiti: essi persuadono della presupposta naturalezza dei discorsi tra l’illimitatezza degli algoritmi ed il desiderio di “essere di più”, di “avere di più”, di “sapere di più”. Essi instaurano un’omologia tra l’umano e il digitale. Producono alienazione sotto l’apparenza della liberazione. Bacone avrebbe chiamato Facebook, e tutto il resto, un “idolo del mercato”54. E nella terminologia dei residui di Pareto gli utensili digitali/virtuali cadrebbero certamente nella sfera del magico55. In breve: essi sono trascendentali ed alimentano un materialismo trascendentale56. Al contrario un ritiro da questa situazione di alienazione è quanto troviamo contenuto nelle Thesen. Un vero materialismo invita, oggi, a mettere sulla bilancia idoli, magia e isomorfismi retorici e in un ritorno alla vera fonte del pensiero marxiano, ovvero l’antico materialismo. Il ritiro di Marx è rappresentato dallo stesso manoscritto: “non per la stampa” come dice Engels, senza comprendere realmente cosa intende. Vale a dire: le Thesen, mantenute private, come un “memoriale” sono in ritiro (en retrait) dal resto del lavoro a venire, effettivamente arrivato (come il Marxismo si è sviluppato, Marx ha mantenuto le Thesen in ritiro). Questo ritiro come dice Milner, non è un modo di produzione (isomorfico o una produzione sabbatica), è l’affermazione di libertà contenuta nel ritiro stesso. Questo ritiro è stato concettualizzato da Marx nella sua lettura del materialismo epicureo, il clinamen degli atomi che rappresenta il momento in cui la libertà entra nel materialismo. Recentemente uno studioso del rapporto tra Marx e la teoria epicurea del clinamen ha sottolineato come gli “usi della dialettica” omologici/isomorfici (per citare Negri) abbiano impedito, fino ad ora, di valutare l’importanza delle riflessioni di Marx sul clinamen: «Marx guarderà all’idea della libertà epicurea. Gli uomini agiscono in condizioni determinate, in condizioni che non sono scelte, ma agiscono liberamente… Se il primo punto non ci porta lontano da posizioni tradizionali difese da numerosi marxisti, il secondo è passato inosservato dalla maggior parte di essi, ossessionati che erano dall’idea di un marxismo scientifico in cui gli individui svolgono unicamente la parte per cui sono stati determinati dalle “infrastrutture”»57. E ora, nelle parole di Marx: «La declinazione dell’atomo dalla linea retta, cioè, non è una determinazione particolare che nella fisica epicurea compaia accidentalmente. Al contrario, la legge che essa esprime domina tutta la filosofia di Epicuro… Infatti la singolarità astratta può attuare il suo concetto, al sua determinazione formale, il puro esser-per-sé, l’indipendenza dall’esistenza immediata, la soppressione di ogni relatività, solo astraendo dall’esistenza che le si contrappone … Come dunque l’atomo si libera dalla sua esistenza relativa, la linea retta, da essa facendo astrazione, da essa deviando … Così lo scopo dell’agire è il fare astrazione, il ritirarsi dal dolore e dal turbamento, l’atarassia … Infine, dove la singolarità astratta si manifesta nella sua più alta libertà ed autonomia, nella sua totalità, là, coerentemente, l’esistenza cui ci si sottrae è ogni esistenza; e pertanto gli dèi si sottraggono al mondo, e non si curano di esso, ed abitano fuori di esso. Ci si è presi gioco di questi dèi di Epicuro … E tuttavia questi dèi non sono un’invenzione di Epicuro. Essi sono esistiti: sono i plastici dèi dell’arte greca… La calma teorica è un momento fondamentale del carattere degli dèi greci, come dice anche Aristotele: “Ciò che è il meglio non ha bisogno di alcuna azione, poiché è esso stesso il fine”58»59. Questo processo di “astrazione”, ritiro o retrait da condizioni che sono “divine” (vedi ad esempio nelle recenti crisi bancarie dove le istituzioni finanziarie agivano come entità divine con i propri, incomprensibili e intoccabili mezzi e fini), è la lezione silenziosamente incarnata nelle Thesen. Il verändern chiamato dalle Thesen è il riconoscimento che la nostra libertà individuale inizia da un clinamen, un ritiro dagli “dei” (da tutto ciò che agisce come illimitatezza intoccabile e desiderabile, ciò che ho chiamato materialismo trascendentale), vale a dire come, attraverso un Aufhebung, assumiamo che ciò da cui facciamo astrazione, come filosofi, “gli dei” in noi, in altre parole: come “strumentalizziamo” un imperativo pagano. Traduzione dall’inglese di Michela Russo

  1. «Die Philosophen haben die Welt nur verschieden interpretiert; es kommt aber darauf an, sie zu verändern»; tr. it. «I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta ora di trasformarlo», a cura di Fausto Codino, in Karl Marx, Tesi su Feuerbach, Tesi XI, p. 5, in Marx-Engels, Opere, vol. V 1845-1846, Editori Riuniti, Roma, 1972. Per consultare online il manoscritto in italiano cfr. l’indirizzo http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1845/3/tesi-f.htm.
  2. Karl Marx, Thesen über Feuerbach (Ad Feuerbach), in Karl Marx e Friedrich Engels, Werke, Dietz Verlag, Berlin‐DDR, vol 3, 1969, pp. 5ff e 533 ff, tr. it. Op. cit. pp. 3-5. È possibile consultare online la copia in lingua tedesca del testo originale di Marx del 1845 all’indirizzo http://www.mlwerke.de/me/me03/me03_005.htm e l’edizione rivista da Engels del 1888 all’indirizzo http://www.mlwerke.de/me/me03/me03_533.htm
  3. Utilizzo di proposito il termine “Scrittura” considerando le Thesen come un testo Sacro. Pauline Maier affronta una simile idea di sacralizzazione nel suo importante lavoro sulla dichiarazione d’indipendenza americana (Pauline Maier, American Scripture: Making the Declaration of Independence, A. Knopf, New York, 1997).
  4. Sulla “lossodromia” come strategia retorica di liberazione cfr. il mio saggio Philippe‐Joseph Salazar, What ‘1989’? A Rhetorical Rhumb On the Topic of Date, in “Advances in the History of Rhetoric”, 15, 2011 (in uscita).
  5. Lett. trasmissione televisiva o radiofonica (N.d.T.).
  6. Lett. secondo il lessico radiofonico disturbare (con interferenze) la frequenza o trasmissione (N.d.T.).
  7. «Es sind Notizen für spätere Ausarbeitung, rasch hingeschrieben, absolut nicht für den Druck bestimmt, aber unschätzbar als das erste Dokument, worin der geniale Keim der neuen Weltanschauung niedergelegt ist», Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach und Der Ausgang der klassischen deutschen Philosophie, in Karl Marx e Friedrich Engels, Werke, Berlin, Dietz Verlag, vol. 21, 1975, p. 263 (cfr. online il testo tedesco: http://www.mlwerke.de/me/me21/me21_263.htm); tr. it. a cura di Palmiro Togliatti, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Edizioni Rinascita, Roma,1950, Nota preliminare, cit. p. 9.
  8. Karl Marx e Friedrich Engels, Die deutsche Ideologie, in Werke, vol. 3, Berlin‐DDR, Dietz Verlag, 1969, pp. 5‐530 (cfr. online il testo tedesco: http://www.mlwerke.de/me/me03/me03_009.htm ), tr. it. L’ideologia tedesca, a cura di Fausto Codino, in Marx-Engels, Opere, vol. V 1845-1846, Editori Riuniti, Roma, 1972.
  9. Prefazione a Karl Marx e Friedrich Engels, The German Ideology, in Collected Works, vol. 5, a cura di Georgi Bagaturia e Norair Ter‐Akopyan, Progress Publishers, Moscow, 1975, p. xiii (cfr. online http://www.marxists.org/archive/marx/works/cw/volume05/preface.htm ).
  10. Per i riferimenti alle traduzioni italiane delle Tesi nella versione del 1845 di Marx e quella rivista da Engels nel 1888 rimandiamo rispettivamente a Karl Marx, Tesi su Feuerbach, trad. it. a cura di Fausto Codino, in Marx-Engels, Opere, vol. V 1845-1846, Editori Riuniti, Roma, 1972, e Karl Marx, Tesi su Feuerbach, tr. it. a cura di Palmiro Togliatti, in Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Edizioni Rinascita, Roma, 1950 (N.d.T.).
  11. Così come l’italiano “pentimento” (N.d.T.).
  12. Traduzione di Cyril Smith (cfr. http://www.marxists.org/archive/marx/works/cw/volume05/index.htm).
  13. Si veda l’irriverente analisi della Deutsche Ideologie di Terrell Carver, The German Ideology Never Took Place, History of Political Thought, 31(1), 2010, pp. 107‐127.
  14. V. sopra nota 2.
  15. I miei ringraziamenti al Dott. Sergio Alloggio per avermene informato. È possibile trovare il video online su Youtube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=jQsQOqa0UVc
  16. Il testo tedesco dell’intervista si trova in Martin Heidegger, Gesamtausgabe: Veröffentliche Schriften 1910‐1976 (Parte 1), vol 16, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 2000, p. 703.
  17. Billy Wilder, Sunset Boulevard, 1950 (Viale del tramonto).
  18. «Eccomi, DeMille, sono pronta per il mio primo piano», (N.d.T). La comicità in Heidegger è sovente trascurata (a vantaggio del carnevalesco fratello Friz, noto per la sua parodia sulla difesa della botte); cfr. il mio Manifeste, nella postfazione a Valerie Allen e Ares D. Axiotis, L’art d’enseigner de Martin Heidegger. Pour la commission de dénazification, Klincksieck, Paris, 2007, pp. 61‐83.
  19. Heidegger, M., op. cit., p. 703: «…daß eine Weltveränderung eine Änderung der Weltvorstellung voraussetzt…» («…un mutamento del mondo presuppone un mutamento della rappresentazione del mondo…»).
  20. Gioco di parole in inglese di difficile resa in italiano tra “surdity” (sordità) e “absurdity” (assurdità), (N.d.T.).
  21. Aristotele, Retorica, 1354a 8, analizzato in Philippe‐Joseph Salazar, “Rhetoric χ Rhetoric,or Rhetoric’s Chiasm (being a unscrupulous meditation upon Deleuze, Miró and Rhetoric 1354a 1‐11)”, in Boris Wiseman et al., Chiasmus in the Drama of Life, Berghahn, New York, 2011.
  22. Per i riferimenti filologici cfr. Pierre Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Klincksieck, Paris, 2008.
  23. «For all these are beginnings, and as it were a paving of the way (preparation, pioneering of the road) for what follows», Edward Meredith Cope, The Rhetoric of Aristotle, with a Commentary, Cambridge University Press, Cambridge, 1877, p. 162.
  24. Erik Doxtader e Philippe‐Joseph Salazar, Truth & Reconciliation in South Africa, The Fundamental Documents, David Philip/New Africa Books, Cape Town, 2007, p. 5.
  25. Per un’analisi dettagliata cfr. Philippe‐Joseph Salazar, Amnistier l’apartheid, L’Ordre Philosophique, Seuil, Paris, 2004.
  26. Barbara Cassin, L’effet sophistique, NRF/Gallimard, Paris, 1995.
  27. «De faire que l’être ne soit rien d’autre qu’un effet de dire», entrambe le citazioni sono tratte da Barbara Cassin, “Du faux ou du mensonge à la fiction (de pseudos à plasma)”, p. 17, in Barbara Cassin ed., Le plaisir de parler. Etudes de sophistique comparée, Minuit, 1986, Paris, pp. 3‐29.
  28. Verändern non è veramente ciò che sembra essere qualora si punti l’attenzione sul termine anders inferendone il senso di “alterità”. L’etimologia indo-europea, riproposta dal Grimm Deutsches Wörterbuch e dall’articolo di Benveniste su “L’Hospitalité”, conferma che il verbo o il suo etimo ha a che vedere con l’idea di “uno scambio di posti” (in latino permutatio) inteso come il trasferimento di qualcosa da un posto all’altro (cfr. Émile Benveniste, Le Vocabulaire des institutions indo‐européennes, Minuit, Paris, vol. 1, 1969, pp. 98‐99): “cambiare” o “trasformare” qualcosa o qualcuno cambiandoli di posto.
  29. Carattere immanente, terreno (o mondano) (cfr. Tesi II) secondo le traduzioni delle Tesi rispettivamente Editori Riuniti (1972) e Edizioni Rinascita (1950) (N.d.T.).
  30. «L’intervention philosophique, qui était représentation et médiation entre les sciences et la politique, devient elle‐même une forme de politique», Alain Badiou, Qu’est-ce que Louis Althusser entend par ‘philosophie’, pp. 29‐45, in Sylvain Lazarus ed., Politique et philosophie dans l’oeuvre de Louis Althusser, PUF, Paris, 1993, cit. p. 41.
  31. Questo punto è ben illustrato da François de La Mothe Le Vayer in De la patrie et des étrangers et autres petits traités sceptiques, Philippe‐Joseph Salazar ed., Desjonquères, Paris, 2003.
  32. Sulla prosa filosofica cfr. Pierre‐Alain Cahné, Un autre Descartes: Le philosophe et son langage, Vrin, Paris, 1980. E la mia Postface ad un volume su filosofia e retorica in Francia, Philippe‐Joseph Salazar, Philosophy and Rhetoric, 42, 4, 2009, pp. 424‐426.
  33. Jean‐Jacques Rousseau, Du Contrat social, Paris, UGE, 1963; tr. it. di Valentino Gerratana, Il contratto sociale, Einaudi, Torino, 1966, cit. p. 9.
  34. «Vor ihren Geschöpfen haben sie, die Schöpfer, sich gebeugt», in Marx, K., Die deutsche Ideologie, p. 13 (http://www.mlwerke.de/me/me03/me03_011.htm#I ), L’ideologia Tedesca, tr. it. di Fausto Codino, Editori Riuniti, Roma, 1958, cit. p. 3.
  35. Riguardo alla poetica del riconoscimento mi permetto di rimandare a Philippe‐Joseph Salazar, “ افريقيا جنوب في المصالحة شاعرية / Anagnôrisis politique. Poétique de la reconciliation en Afrique du Sud” (testo in arabo e francese), in La Reconnaissance, Le Fennec, Casablanca, 2011, pp. 69‐93 (testo arabo), pp. 85‐100 (testo francese).
  36. René Descartes, Méditations métaphysiques, Florence Khodoss ed., Paris, PUF, 1970.
  37. Martin Luther, “Disputatio pro Declaratione Virtutis Indulgentiarum”, in Werke: Kritische Gesammtausgabe, Hermann Boehlau, Weimar, 1883, vol. 1, pp. 233‐238.
  38. Ad Feuerbach, dal latino “ad”, ossia “a” (Feuerbach).
  39. Nicht für den Druck bestimmt» (per l’originale tedesco cfr. online http://www.mlwerke.de/me/me21/me21_263.htm), in Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, tr. it. a cura di Palmiro Togliatti, Edizioni Rinascita, Roma, 1950, Nota preliminare, cit. p. 9.
  40. Rimando per un’eccellente versione al sito internet http://www.bibleetnombres.online.fr/memorial.htm
  41. Engels come un archeologo (v. sopra nota 5): «Dagegen habe ich in einem alten Heft von Marx die im Anhang abgedruckten elf Thesen über Feuerbach gefunden», «Invece ho ritrovato in un vecchio quaderno di Marx le undici tesi su Feuerbach che riproduco in appendice», in Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Op.cit. p. 9.
  42. Per uno riferimento a questo concetto Stoico e Neoplatonico, cfr. il saggio di Adam Kamesar, “The Logos Endiathetos and the Logos Prophorikos, in Allegorical Interpretation: Philo and the D‐Scholia to the Iliad”, in Greek, Roman, and Byzantine Studies, 44, 2004, pp. 163‐181 (http://www.duke.edu/web/classics/grbs/FTexts/44/Kamesar.pdf).
  43. Heidegger, Sein und Zeit, §44, tr. it a cura di Franco Volpi sulla versione di Pietro Chiodi, Essere e Tempo, Longanesi, Milano, 2005.
  44. Tat, ossia “azione”, è legata a praxis, entrambi concetti neo-hegeliani.
  45. «In der Praxis muß der Mensch die Wahrheit, i.e. Wirklichkeit und Macht, Diesseitigkeit seines Denkens beweisen», Tesi II, tr. it. Op. cit. (N.d.T.).
  46. Jean‐Paul Sartre, Critique de la raison dialectique, I, Paris, Gallimard, 1960, p. 170 e sgg., tr. it. di Paolo Caruso, Critica della ragione dialettica, 2 voll., Il Saggiatore, Milano, 1963, p.210 e sgg. .
  47. Cfr. Jacques Derrida, La dissémination, Paris, Le Seuil, 1972, tr. it. La disseminazione, a cura di Silvano Petrosino, Jaca Book, Milano, 1989.
  48. Si consiglia la lettura del presente saggio insieme a Philippe‐Joseph Salazar, “The Rhetorician as Melancholiac”, in Erik Doxtader ed., Inventing the Potential of Rhetorical Culture, Penn State University Press, University Park, Pennsylvania, 2010, pp. 46‐64.
  49. Naturalmente il riferimento è a Jacques Derrida, Glas, Denoël/Gonthier, Paris, 1981, tr. it. Glas di Silvano Facioni, Bompiani, Milano, 2006. Glas in francese significa “campana a morto”, come in Hemingway For Whom the Bell Tolls (Per chi suona la campana) (1940).
  50. Intervista, Marianne2 e France Culture (sono stati corretti gli errori di battitura), http://www.marianne2.fr/Jean‐Claude‐Milner‐le‐marche‐etait‐devenuillimite_a189660.html.
  51. Antonio Negri, The uses ofDialectics, in uscita in African Yearbook of Rhetoric, 3, 1, 2012.
  52. Sul roteiro ed il limite di morte rimando al mio “Midnight Rhetor, ou le roteiro de Joe Buck l’indomptable”, in Cahiers Michel Leiris, 4, 2012 (in uscita).
  53. Rimandiamo all’importante studio di Elizabeth Eisenstein, The Printing Press as an agent of change, Cambridge, Cambridge University Press, 1979, tr. it. di Davide Panzieri, La rivoluzione inavvertita: la stampa come fattore di mutamento, Il mulino, Bologna, 1986.
  54. Cfr. Francis Bacon, Novum organum (1620), I, §43.
  55. Vilfredo Pareto, Traité de sociologie générale, Paris/Genève, Droz, 1968, §944, p. 506 e sgg. (tr. it., Trattato di sociologia generale, G. Barbera, 1916).
  56. Il concetto è sous rature (barrato) perché è sia incontrovertibile che erroneo.
  57. Denis Collin, “Marx lecteur d’Epicure”, Les lettres françaises, 83, giugno 2011 (http://www.les‐lettres‐francaises.fr/2011/06/marx‐lecteur‐d’epicure/).
  58. Aristotele, De caelo, 292b; la farse prosegue “… e l’azione sempre richiede fini e mezzi …”.
  59. Karl Marx, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro (1941), in Marx-Engels, Opere, vol. I 1835-1843, tr. it. a cura di Mario Cingoli e Nicolao Merker, cit. p. 46; le note a piè di pagina sono state omesse dalla citazione.
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